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Un'ombra, lungo questa infino al mento: Credo che s'era inginocchion levata. D'intorno mi guardò, come talento

Avesse di veder s'altri era meco:

Ma poi che il suspicar fu tutto spento,
Piangendo disse: Se per questo cieco
Carcere vai per altezza d'ingegno,
Mio figlio ov'è, e perchè non è teco?
Inf. X. 28.

Farinata degli Uberti, chiamato dal Denina il Camillo de' Fiorentini, e Cavalcante de' Cavalcanti sono coloro qui descritti. Farinata in questo dialogo (che continua per più altri versi che io non cito) conserva tutta la fierezza del suo carattere. Il discorso versa sulle risse civili che passarono tra la famiglia di lui, e quella di Dante. I maggiori di questo poeta, anzi egli medesimo prima che fosse sbandito di Firenze, erano del partito Guelfo, e Farinata all'incontro del Ghibellino. Quest'ultimo partito come più potente cacciò l'altro ; ma i Guelfi essendo ritornati dopo qualche tempo si rivendicarono nello stesso modo, ed espulsero i Ghibellini. Essi si trovavano ancora raminghi al tempo di Dante; ond'egli rimprovera qui a Farinata, che i suoi non appresero bene l'arte di far ritorno essendo scacciati. L'altro sepolto, è Cavalcante de' Cavalcanti, che era nel fuoco con Farinata per essere stato, come spiegano i comentatori, di sentimento Epicureo. Il figlio di lui, di cui chiede

nuova a Dante, è Guido Cavalcanti, uno de' più celebri filosofi della sua età. Essendo grande amico del nostro poeta, quell'ombra lo interrogò perchè non si trovasse in sua compagnia, a cui Dante rispose, che neppur egli veniva all'Inferno per sua propria virtù, ma che vi era condotto da Virgilio, il quale, dic'egli, il tuo Guido, come filosofo, ebbe forse a disdegno. Onde l'ombra a tai parole:

Di subito drizzata, gridò: Come

Dicesti egli ebbe? non viv'egli ancora? Non fere gli occhi suoi lo dolce lome? (1) Quando s'accorse d'alcuna dimora,

Ch'io faceva dinanzi alla risposta
Supin ricadde, e più non parve fora.

Inf. X. 67.

Questo è un colpo da scena pieno di forza e di espressione. Dalla maniera con cui Dante esitava a dargli risposta, Cavalcante s'accorse che suo figlio era morto, e senz'altro dire si ascose nella tomba. Questo silenzio è più significante di qualsivoglia discorso. Quando l'anima è sopraffatta da una passione gagliarda ed improvvisa resta attonita, e si ritira tutta, dirò così, in sè medesima : l'è subito tolta la libertà delle sue azioni, la lingua intorpidisce, ed è incapace di articolare parole. Presso gli antichi tragici vediamo espresso

(1) Lume.

più d'una volta questo sbalordimento, che nasce all'arrivo di una nuova dolorosa. Dejanira nelle Trachinie di Sofocle dopo aver udito narrare da Hilo gli spasimi e i furori di Ercole suo marito, già presso a morte, senza formar parola parte dalla scena. Euridice nell' Antigone dello stesso Autore, sentito il tragico fine di suo figlio Emone parte anch'essa ammutolita. Dante che, come Sofocle, guardava la Natura con occhio penetrativo e sagace, s'incontrò con lui nell'afferrare questi tratti vivi ed energici. Io non dubito che egli non si fosse alzato al paro di Eschilo, o di Shakespear, se a' tempi suoi fosse stata in voga in Italia l'arte del teatro, e ch'egli l'avesse voluto coltivare.

Nella medesima tomba dove ardevano Farinata e Cavalcanti, Dante mette l'Imperatore Federico II. nipote del Barbarossa, persecutore fierissimo della Chiesa, e il Cardinale Ottaviano degli Ubaldini favoritore della parte Ghibellina. Non si sa comprendere come Dante avesse il coraggio di trattare con sì poca riverenza persone tanto potenti. Nè giova dire che fosse così ardito, perchè parlava di morti, che non si poteano più vendicare. Egli non avea riguardo di trattare i vivi nella stessa maniera, e basta vedere la mordacissima satira, che fece contro ser Branca d'Oria. Costui era un ricco Signore Genovese, la di cui anima essendo trovata da Dante nell' Inferno in mezzo ai traditori restò maravi

gliato di vederlo in quel luogo, perchè l'avea lasciato pur dianzi vivo e sano nel mondo. Fu poi informato, come finge, ch'era gran tempo che ser Branca d'Oria era morto, ma che si credeva ancora vivo, perchè, subito spirato, un diavolo andò a mettersi nel suo corpo, e prese le sembianze di lui. Quale Dante si mostra ne' suoi scritti, tal era eziandio nel suo contegno di vita, e quando gli venia a taglio di mordere altrui con qualche pronta risposta, non la perdonava a Signori, nè a Principi. Si narra di lui che in quel tempo che si trovava alla Corte di Can di Scala, venne alla presenza di questo Signore un buffone, che lo facea molto ridere con le sue piacevolezze; onde Can chiese a Dante come poteva essere, che colui

pazzo com'era sapesse farsi tanto amare, e ch'egli non potesse riuscirvi con tutta la sua sapienza. Non vi maravigliate, rispose Dante, s'egli vi dà sollazzo: la somiglianza di carattere forma gli amici.

Partito Dante dal sesto cerchio calò nel settimo, e scendendo per quelle pietre che spesso si moveano sotto a'suoi piedi per lo nuovo carco arrivò ad una gran fossa piena di sangue bollente, in cui erano immersi i violenti. Su per le rive andava in volta una frotta di Centauri co' dardi incoccati per saettare coloro che tentassero uscire del lago. L' Ariosto ebbe in mira questo passo, quando descrisse Orlando, che schiacciò i ladroni della grotta di Gabrina, e li

mandò Fra quegli spirti, che co' suoi compagni, Fa star Chiron dentro i bollenti stagni (1). C. XIII, st. 36.

Noi ci appressammo a quelle fiere snelle :
Chiron prese uno strale, e con la cocca
Fece la barba indietro alle mascelle.

Quando s'ebbe scoperta la gran bocca,
Disse a' compagni: Siete voi accorti,
Che quel di retro muove ciò che tocca?
Così non soglion fare i pie' de' morti.
Inf. XII. 76.

Virgilio informò allora Chirone come Dante era vivo, e gli comando che lo facesse trasportare da un Centauro di là del fosso. Chirone ubbidi, e Dante saltò in groppa al Centauro Nesso, guadò il lago di sangue, approdò all'altra riva, ed essendo passato nel secondo girone del settimo cerchio, dove si punivano quei che usarono violenza contro sè stessi, entrò in un gran bosco

(1) Così il Pulci in quella bizzarra sì, ma espressiva stanza, ove descrive la rotta di Roncisvalle.

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