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Le invetriate lagrime dal volto, Sappi, che tosto che l'anima trade, Come fec'io, il corpo suo l'è tolto

Da un Dimonio, che poscia il governa,
Mentre che il tempo suo tutto sia volto.
Ella ruina in sì fatta cisterna;

E forse pare ancor lo corpo suso
Dell'ombra, che di qua dietro mi verna.
Tu il dei saper, se tu vien pur mo giuso:
Egli è ser Branca d'Oria, e son più anni
Poscia passati, ch'ei fu sì racchiuso.
Io credo, dissi a lui, che tu m'inganni,
Che Branca d'Oria non mori unquanche,

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E mangia, e bee, e dorme, e veste panni. 141 Nel fosso su, diss'ei, di Malebranche,

Là dove bolle la tenace pece,

Non era giunto ancora Michel Zanche,
Che questi lasciò un Diavolo in sua vece
Nel corpo suo, e d'un suo prossimano,
Che il tradimento insieme con lui fece.
Ma distendi oramai in qua la mano,
Aprimi gli occhi; e io non glieli apersi:
E cortesia fu lui esser villano.
Ahi Genovesi, uomini diversi

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128. Bar. Le vetriate lacrime. 157. Ros. Bar. Doria. 159. Vol. Nid. diss'io lui. Pog. diss'io a lui. Maz. diss'a lui. 140. Pog. Ros. Bar. Doria. 144. Michel Zanche fu veduto fra gli usurai (C. XXII. 88) e Branca Doria che gli era genero lo trucidò a tradimento forse a torgli i danari.—145. Vol. il Diavolo, e piacerebbemi se qui non bisognasse chiarezza. Nid. Maz. Bar. un diavolo. 148. Ros. oggimai. 150. Ang. Ros. fu a lui.

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D'ogni costume, e pien d'ogni magagna,
Perchè non siete voi del mondo spersi?
Che col peggiore spirto di Romagna

Trovai un tal di voi, che per sua opra
In anima in Cocito già si bagna,
E in corpo par vivo ancor di sopra.

155. Ros. Trovai di voi un tal.

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CANTO XXXIV.

Vexilla Regis prodeunt Inferni
Verso di noi; però dinanzi mira,
Disse il Maestro mio, se tu il discerni.
Come quando una grossa nebbia spira,

O quando l'emisperio nostro annotta,
Par da lungi un mulin che al vento gira,
Veder mi parve un tal dificio allotta:

Poi per lo vento mi ristrinsi retro
Al duca mio, che non v'era altra grotta.
Già era (e con paura il metto in metro)
Là, dove l'ombre tutte eran coverte,

VARIANTI

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3. Ros. se tu discerni.

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6. Vol. Nid. che'l vento. Ros. che vento. Bar. Maz. che al vento (raffronta la post. addietro C. 111, 50.)-9. Vat. che non li er' altra grotta. — 11. Bar. tutte l'ombre

E trasparean come festuca in vetro.
Altre stanno a giacere, altre stanno erte,
Quella col capo, e quella con le piante;
Altra, com' arco, il volto ai piedi inverte.
Quando noi fummo fatti tanto avante,

Che al mio Maestro piacque di mostrarmi
La creatura ch'ebbe il bel sembiante,
Dinanzi mi si tolse, e fe' restarmi,

Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco,
Ove convien che di fortezza t'armi.

Com' io divenni allor gelato e fioco,

Nol dimandar, Lettor, ch'io non lo scrivo,
Però ch'ogni parlar sarebbe poco.

lo non morii, e non rimasi vivo:

Pensa oggimai per te, s' hai fior d'ingegno,

eran coperte. Ros. coperte.

12. Bar. festuche.

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15. Ald. Ros.

Nid. Vat. Altre sono a giacere, altre stanno. Ma per terrore della ripetizione fanno Dante rettorico più che poeta. Bar. « e altri ottimi codici » Altre sono a giacere altre, son erte. Ma l'essere narra, e lo stare dipinge e scolpisce. 14. Ros. Quale col capo quale con le piante. Ang. Qual va col corpo e qual va con le piunte, e queste pure le sono varianti di glossatori. - 15. Ros. Bar. a' pie' rinverle.

17. Pog. parve. 19. Pog. Ros. Bar. ristarmi, forse più proprio, ma la lez. comune sente di locuzione più energica. 26. Vol. Pensa oramai per te. Nid. omai tu per te. Ros. e Maz. Pog. oggimai, e lo lascio per la ragione che me lo fece rifiutare poc'anzi dove il dannato impaziente riprega Dante a tenergli il patto e schiudergli gli occhi (C. prec. v. 198). Quivi oramai è fuori di dubbio la voce unica propria. Ma qui dove il poeta ti parla dalla terra di cosa avvenutagli tempo fa nell' Inferno, l'oggimai riesce più confacente all' idea. Altri contenda a suo genio se siano sinonimi, o no, e se possano permutarsi. L'uso di usarli senza divario prevale; e dove poco rileva, la lite è da lasciarsi ai grammatici. Ma dove l'una delle due voci indica un

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Qual io divenni d'uno e d'altro privo.
Lo Imperator del doloroso regno

Da mezzo il petto uscia fuor della ghiaccia;
E più con un gigante io mi convegno,
Che i giganti non fan con le sue braccia:
Pensa oggimai quant'esser dee quel tutto,

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luogo, e non altro, un tempo, e non altro, non è egli terrore matto questo di tanti scrittorelli moderni che per non ripetere vocaboli, pervertono e lingue, e pensieri, ed immagini, e fila di ogni discorso, così che inavvedutamente talor contraddicono ciò ch'ei pure vorrebbero dire? E così in questo verso la Vol. Nid. e seguaci e tutti stampando oramai e omai per «< ormai »> lasciano oggimai poco dopo, mentre pur Dante senza alludere a luogo nè a tempo diverso, torna a parlare al lettore. 32. Qui pure lo spauracchio rettorico di parola ripetuta converte l'esclamazione poetica di meraviglia, in formola dottrinale. Dianzi tu trovi in tutte Edd. Pensa oramai per te («o lettore ») e ora vedi oggi mai. Non è da dire che il poeta non abbia talor voluto scrivere così in questo verso. Ma chi mai potrebbe congetturare quante volte, e in che modi, e per quali 'intenzioni andasse egli alterando le sue dizioni e con quanti pentimenti interlineari e su' margini gli eredi suoi abbiano ritrovato l'autografo? La tradizione tenebrosissima, tenuta per autentica verità, ch'ei facesse pubblico il suo poema, traviò i critici; nè lasciò raggio di lume a discernere traccia delle lezioni false, e le furono accolte spesso per genuine e decretate da Dante. Ma ch'egli mai pubblicasse, o lasciasse finito assolutamente il poema, e che anzi intendesse di rimutarlo qua e là, sono circostanze che il Discorso sul Testo avrà, spero, incontrastabilmente provato. Non è inverosimile, che negli esem plari primitivi fatti da' suoi figliuoli fra' quali egli moriva, ciascheduno adottasse la variante che più gli incontrava, e per quanto consultassero fra di loro, sarebbe miracolo che venisse lor fatto di conciliare i loro pareri: quindi ne' commenti di Pietro Alighieri e dell' Anonimo occorrono note e disputazioni intorno alla lezione migliore (v. alcuni saggi nell' Ediz. Fiorentina Vol. IV, p. 116). Quindi le centinaia di testi che s'accordano in una lezione, e le altre centinaia nella contraria. Non diversa pare che

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