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maggiore esattezza di correzione e con emendazioni ed aggiunte considerevoli (1) desunte da un esemplare postillato di mano dell'autore, era intenzione di Foscolo d' aggiungere al Poema tre discorsi intorno allo stato civile, letterario, religioso in Italia a'tempi di Dante: poi, per ogni cantica, osservazioni intorno ai passi ne'quali la storia e la poesia s'illustrano scambievolmente, e lunghe note, ricordate spesso nel manoscritto, sul sistema teologico del Poema, sulle applicazioni della teologia alla politica, sui latinismi di Dante, sull'aspetto e senso corporeo dell'ombre, ec., ec. Com'ei fosse strozzato a ridurre il primo disegno nelle minori proporzioni del lavoro ch'oggi si pubblica, appare dalla lettera inserita qui sópra e dalla prefazioncella, finora inedita, di Foscolo, che precede in questa edizione il Discorso sul Testo. E questo pure, dacchè la morte di Foscolo troncò l'edizione, si rimarrebbe, con danno e vergogna all'Italia, inedito tuttavia, se la generosità d'un libraio italiano qui in Londra, Pietro Rolandi, non ricomprava, a prezzo di quattrocento lire sterline, il manoscritto dalle mani del libraio inglese, avventurandosi a forti spese di stampa, dalle quali egli forse non ritrarrà che l'onore d'averle affrontate.

A chi intende come dopo tanto diluvio di commenti e note e lezioni e dissertazioni e logogrifi accumulato per cinque secoli da frati, abbati, monsignori, accademici arcadi o degni d'esserlo, e professori d'Università principesche sul Poema Sacro, non rimangono oggimai che sole due vie ad afferrarne l'anima e l'intima vita e l'eterno vero, lo studio della vita e dell'opere del poeta e la correzione

(1) Vedi a saggio delle aggiunte inedite le lunghe note alle scz. CIV. CXXI. CXLIII. CCX. e gran parte della sez. CCV, e tutta la CCII. Le emendazioni ricorrono pressochè ad ogni pagina.

del testo, il lavoro di Foscolo, così come i casi lo han fatto, parrà pur sempre importante. E vita e testo si stanno tuttavia a rischio d'essere fraintesi in Italia dove l'assoluta mancanza di critica letteraria lascia l'inesperienza dei giovani ai pericoli della diffidenza cieca e della cieca venerazione, e gl' indizi del vero dati, com'è concesso, dai pochissimi savi, vanno sommersi nella farragine degli errori : il testo, sviato e guasto in mille guise dalla molteplicità de'copisti, dalla ignoranza dei più fra loro, dall'esclusiva fiducia d'ogni editore nel proprio Codice, e dal meschinissimo pregiudizio che trascina i più fra gli scrittori toscani ed altri i quali, scrivendo pure intrepidamente lombardo, teorizzano coi toscani a ringrettire il verbo della nazione futura per entro i termini d'una provincia e la maestà severa della lingua dantesca tra gl'idiotismi e le sincopi effeminate d'un dialetto -e sia pure il migliore d'Italia: la vita, falsata prima da quanti non hanno, duce il Pelli, guardato in Dante che il letterato, poi da'biografi che scrissero, nessuno eccettuato, da guelfi o da ghibellini intorno ad un uomo il quale si svincolo, giovanissimo, dalle due fazioni e vanlavasi nel Poema d'

Aversi fatta parte per se stesso.

Dante è tal uomo i cui libri studiati in un colla vita sarebbero da tanto da ritemprare tutta una generazione e riscattarla dall' infiacchimento che tre secoli d'inezie o di servilità hanno generato e manténgono. Bensì, lo studio ha da essere severo, spregiudicato, libero d'ogni venerazione alle autorità, impreso non per notare e citare le molte terzine c gl'infiniti versi sublimi d'immagini e d'armonia che raccomandano il Poema all'orecchio e alla fantasia, mna coll'animo volto al futuro, e santificato dal dis

DANTE

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prezzo per tutta quanta la genía de' pedanti eunuchi e dall'amore pei milioni d'uomini nati in Italia che covano il pensiero di Dante, a trovare e svolgere quel pensiero, a raccogliere, colla religione con che il figlio interroga la sepoltura paterna, il segreto dell' Idea che Dante adorava, che lo innalzava al di sopra di quanti Grandi ha l'Italia, e lo confortò nella povertà, nella solitudine e nell' esilio. E lo studio ha da cominciare dalla vita del poeta, dalla tradizione italiana ch'ei compendiava e continuava colla potenza del genio, dall' opere minori ch'ei disegnava come preparazione al Poema, per conchiudersi intorno alla Divina Commedia, coronat dell' edifizio, espressione poetica del concetto ch'ei traduceva politicamente nella Monarchia, filosoficamente nel Convito, letterariamente nel libro su la Lingua volgare. Perchè Dante è una tremenda unità! individuo che racchiude, siccome in germe, l'unità e l'individualità nazionale; e la sua vita, i suoi detti, i suoi scritti s'incatenano in un'idea, e tutto Dante è un pensiero unico, seguito, sviluppato, predicato nei cinquantasei anni della sua esistenza ter restre con tale una costanza superiore alle paure e alle seduzioni mondane che basterebbe a consecrarlo genio dov' anche quel pensiero fosse utopia non verificabile mai: or di qual nome onorarlo quando fosse il pensiero fremente nella vita di cento inconscie, generazioni, misura del nostro progresso, segno della nostra missione?

Ed è. La patria s'è incarnata in Dante. La grande anima sua ha presentito, più di cinque secoli addietro e tra le zuffe impotenti de'guelfi e de'ghibellini, l'Italia: l'Italia iniziatrice perenne d'unità religiosa e sociale all'Europa, l'Italia angiolo di civiltà alle nazioni, l'Italia come un giorno l'avremo. Quel presentimento spira, per entro a tutte le cose di

Dante e riveste aspetto di dogma nel suo libro de Monarchia, che uno scrittore torinese, guelfo, chiama anch'oggi tessuto di sogni, e uno scrittore lombardo, brancolante tra il guelfo ed il ghibellino, abbiettissimo libro. Oggi, pigmei, non intendiamo di Dante che il verso e la prepotente immaginazione; ma un giorno, quando saremo fatti più degni di lui, guardando indietro all'orme gigantesche ch'egli stampo sulle vie del pensiero sociale, andremo tutti in pellegrinaggio a Ravenna, a trarre dalla terra, ove dormono le sue ossa, gli auspicii delle sorti future e le forze necessarie a mantenerci su quell'altezza che egli, fin dal decimoquarto secolo, additava a'suoi fratelli di patria.

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E quando saremo fatti degni di Dante, troveremo oltre a quel segreto, nelle pagine ch'ei ci lasciava, una lingua, quale in oggi gli sfibrati scrittori che tengono in Italia il campo delle lettere, guasti dai francesi, guasti da' tedeschi, guasti da tutti e pure armeggianti a dichiararsi indipendenti da tutti, neppure sospettano troveremo una filosofia, nazionale davvero, anello tra la scuola italiana di Pitagora e i pensatori italiani del secolo xva troveremo le basi d'una poesia, vincolo fra i reale e l'ideale, fra la terra e il cielo, che l'Europa, incadaverita nello scetticismo e nell'egoismo, ha perduta: trove remo i germi d'una credenza che tutte l'anime in vocano senza raggiungerla. Gli studi di Foscolo su Dante, oggi non citati o citati a fior di labbro dai letterati, verranno allora in onore. E quando uomini imbevuti per lunghi studi della tradizione italiana, e santificati dall'amore, dalla sventura e dalla costanza, sacerdoti di Dante, imprenderanno, monumento dell'intelletto nazionale, una edizione delle sue opere, preporranno all'edizione un volume di critica che sarà quasi vestibolo al tempio ove Dante sarà vene

rato, e quel volume conterrà pure le cose di Foscolo.

Foscolo non fu sacerdote di Dante, nè le sue mani potevano ardere incenso al suo santuario. Troppe delle vecchie credenze sull' umana natura e sulla legge che regola le sorti delle nazioni combattevano nell'anima sua i nuovissimi presentimenti. Troppi errori accumulati da secoli si stavano fra Dante e lui, perch' ei potesse contemplare il Dio nello splendore del primitivo concetto. Venuto a tempi ne' quali l'intelletto italiano s'agitava più per impulso straniero che non per propria virtù, non ebbe fede, quanto volevasi, in una poesia nazionale, e pur faticando sull' orme del pensiero moderno, s' ostinò, anche per le memorie dell'infanzia, nelle forme greche. Irritato dalla serva plebe di letterati che gli stava intorno e dalle delusioni che amareggiarono gli ultimi anni del suo soggiorno in Italia, imparò da Dante l'energia delle passioni, l' indipendenza negli studi, la santità delle lettere, gli sdegni santi contro chi le contamina; non la credenza che calpesta uomini, cose e speranze contemporance e si leva a quell' Ideale che i più tra noi chiamano immaginazione e non è che presagio. Ma vide, se non quanto era in Dante, quanto almeno in Dante non era, e innestatovi nondimeno dalla malizia o dalla credulità dei commentatori, ne deformava le sembianze e la vita. Si armò di flagello contro ai pro fanatori del tempio. Si levò a distruggere

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e di

Distrusse il rispetto alle congetture avventale, alle imposture letterarie, agli anacronismi eruditi ai mille errori accettati senza esame, solo perchè patrocinati dall' autorità d'un nome o d'an' accademia. Distrusse la cieca fiducia ne' Codici tutti posteriori di molti anni al Poeta e da correggersi col confronto e colla logica e colla conoscenza della

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