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MAGIA E PREGIUDIZII

IN P. VERGILIO MARONE 1).

Introduzione.

Della vita di Vergilio, de' suoi poemi e di quell'arte divina, che lo rese degno di culto immortale in ogni età, da Silio Italico, solito a celebrarne il dì natalizio e a visitarne la tomba, a Dante che ne fece il suo « maestro e il suo autore » e via via, per il Rinascimento, fino ai più illustri moderni rappresentanti del classicismo, tornerebbe diremo questa volta non solo inutile, ma forse dannoso aggiungere parola. E perchè? Perchè Vergilio è tale artista, che l'uomo dotto non deve studiare nei lavori critici, cioè seguendo le vestigia o impressioni d'altri: come un prisma riflette colori sempre nuovi, secondo i diversi punti di vista sui quali ciascuno ferma lo sguardo, così il Nostro presenta a colui ch'è veramente cosciente dell'arte bellezze del tutto particolari, secondo che diversi sono i rispetti onde si fa a studiarlo e meditarlo. Ma a questa desiderata meta certamente non si perviene se non con « lungo studio e lungo

1) Il presente studio di Mons. prof. dott. Marco Belli di Portogruaro (Prov. di Venezia) fa parte di altri studi, già da esso pubblicati, a cominciare dell'anno 1894, intorno all'arte magica e ai pregiudizi volgari nei poeti latini dal 70 av. Cr. al 117 d. Cr. Sono usciti finora: Magia e pregiudizi in Tibullo, Catullo, Properzio, Ovidio, Orazio, Fedro, Silio Italico, P. Stazio, Lucano, V. Flacco ecc., e l'opera, che li raccoglierà tutti in uno o più volumi, tra non molto vedrà la luce. (LA DIREZIONE).

amore »; e per ciò non mostrano di ben valutare il merito dell'opera vergiliana, quei critici e non sono pochi i quali, contenti di di celebrarne cumulativamente i pregi, si limitano a ravvisare nelle Georgiche un modello di forma più perfetto che nell'Eneide, e, nelle Egloghe, un esercizio d'imitazione del greco, per il quale si riconosce al poeta il vanto di avere, per il primo, introdotto in Roma un genere di poesia, il bucolico o pastorale, sconosciuto ai Latini. No! noi non siamo davvero di questo avviso: Vergilio è sempre Vergilio, cioè un modello di perfezione sia nel descrivere le meraviglie della natura, come nelle Georgiche; sia nell'epopea del ciclo troiano, come nell' Eneide; sia nell'imitazione, come avviene in molti luoghi delle Egloghe, dove l'originale greco è vinto dalla musa latina. Così Raffaello è sempre divino, benchè non sempre il medesimo, sia che lo si consideri nella Trasfigurazione, sia come continuatore del Perugino, sia come il Raffaello della Scuola d'Atene. È questo un dolce e delicato secreto dell'arte, che solo si rivela a pochi nobilissimi spiriti magni » destinati dalla Provvidenza a dividere tratto tratto, durante il lungo cammino dei secoli, le fitte tenebre che ci circondano.

E adesso ci convien dire di un'altra cosa, la quale almeno così a noi pare non è del tutto estranea al nostro studio. Chi è mai che non conosca quella leggenda medievale, che fece di Vergilio un mago strapotente? Anche qui non occorre spendere troppe parole, poichè questo argomento fu a pieno trattato dal Comparetti e successivamente dal Graf: però che cosa diremo dell'opinione di coloro, i quali pensano esistere una certa attinenza fra la leggenda e il disegno di Dante, nelle scegliere cioè Vergilio come guida attraverso le bolgie infernali e i gironi del Purgatorio? Sentiamo in prima il Comparetti 1): << Al tempo di Dante, oltre a quanto già abbiamo riferito della tradizione letteraria su Virgilio, erasi già anche diffusa le leggenda popolare relativa a questo nome, ed erasi già anche introdotta nella letteratura, sì nella romanzesca che nella dotta. Dante che non era estraneo nè all'una, nè all'altra, di certo ne aveva contezza, come

1) Virgilio nel medio-evo, tom. I. c. XV, pagg. 286 e segg.. Livorno 1872.

mostra di conoscere il suo dolcissimo Cino, che l'aveva appresa dal popolo a Napoli. È un errore ben grande però il pensare, come ha fatto qualche commentatore antico e quasi tutti i moderni, a quella leggenda al proposito del Virgilio dantesco. Dante non ne ha tenuto il menomo conto, e non c'è luogo nel suo poema, in cui pur da lontano Virgilio apparisca come mago e taumaturgo, o si accenni in qualche maniera a quanto si pensò su di lui in tal qualità... Dante non ha cercato pel suo Virgilio alcuna idea che fosse estranea agli ideali suoi, coi quali egli congiungeva il nome del poeta, e la magia in questi casi non c'era davvero ». Così il Comparetti; ma quanto a noi disposti, sia pure, ad affrontare un subisso di recriminazioni la pensiamo diversamente. Per la qual cosa, benchè negli angusti limiti di quest'introduzione, non possiamo fare a meno di dar luogo ad alcune semplicissime, ma non ispregevoli osservazioni:

1) attesa la massima popolarità della leggenda, era ben difficile, per non dire impossibile, che Dante non ne subisse l'influenza;

2) dato pure, come nessuno ne dubita, che Dante abbia in Vergilio personificata la ragione umana, sarebbe proprio un controsenso l'ammettere, che anche profittando della fama di mago e di taumaturgo, di cui egli godeva, se l'abbia scelto, in via a così dire secondaria, come duce e compagno nella sua misteriosa peregrinazione?

3) ammesso ancora che nessun luogo del divino poema ci rappresenti più o meno chiaramente Vergilio in qualità di mago o taumaturgo, non per questo l'argomento ex silentio basterebbe a rigettare il supposto?

Ma v'ha di più: noi crediamo che nella Divina Commedia ci sia un luogo, su questo proposito, per lo meno molto discutibile e più decisivo di quello dell'Inf. IX, 22, riportato dal Comparetti in nota al luogo da noi citato. E questo luogo è il v. 88 e segg. dell'Inf. VIII, nel colloquio avuto da Vergilio coi demoni, che gli contrastano l'entrata nella città di Dite. 'Perchè Vergilio è chiamato, solo, at conferire coi demoni?

Allor chiusero un poco il gran disdegno

E disser: Vien » tu solo, e quei sen vada

Che si ardito entrò per questo regno.

E che cosa sono quelle parole secrete che non poterono essere intese da Dante?

Udir non pote' quel che a lor si porse;

Ma ei non stette là con essi guari,

Chè ciascun dentro a prova si ricorse...

Lo Scartazzini domanda: « Non potè egli udire a motivo della lontananza? O perchè parlò con voce sommessa? Naturalmente disse su per giù quanto avea detto a Caronte (III, 94), a Minosse (V. 22), a Pluto (8 e segg.). » Conclusione, quae nimis probat! Noi ci vediamo un incanto non riuscito. E basti!

Ora entriamo nell'argomento non senza però chiedere scusa al benigno lettore, se, in causa della molteplice varietà delle cose di cui dovremo discorrere, la classificazione delle medesime non sarà sempre, come dovrebbe essere, rigorosa e perfetta 1).

I. - Dei.

1. Gli dei, in sul meriggio, visitano spesso la terra. 2. Priapo. Ammone.

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Prima di ogn'altra cosa, ricorderemo un'altra volta il noto pregiudizio del meriggio, cioè di quell'ora, che, per gli antichi, era « tempo di terrore » in quanto che da essi si credeva, che gli dei, o gli spiriti più o meno benigni, scendessero frequenti volte a visitare la terra. Abbiamo detto « un'altra volta » poichè la è cosa già da noi lungamente discussa in Lucano, pagg. 66 e segg. E anche Vergilio ce ne offre evidentemente espressa memoria in due luoghi: primieramente nelle Bucoliche (Egl. II, v. 6 e segg.), dove il pregiudizio, a vero

1) L'edizione da noi seguita nelle citazioni del testo vergiliano è per l'Encide quella del Sabbadini; per le Georgiche e per le Bucoliche quella dello Stampini e anche quella del Bettoni (1819).

dire, appena si ravvisa, perchè il poeta, di preferenza, accenna alla quiete del meriggio; ma sempre tuttavia in ordine a quella credenza superstiziosa, che da tutti era ritenuta una verità di fatto! Ecco come Coridone esordisce il suo lamento verso Alessi :

O crudelis Alexi, nihil mea carmina curas?
ni nostri miserere? mori me denique coges.
Nunc etiam pecudes un.bras et frigora captant,
nunc virides etiam occultant spineta lacertos,
Thestylis et rapido fessis messoribus aestu
alia serpyllumque herbas contundit olentis.
at mecum raucis, tua dum vestigia lustro,

sole sub ardenti resonant arbusta cicadis (vv. 6-13).

In mezzo a tanta pace, durante il pieno e dolce riposo della natura e dei mortali, qual tempo più opportuno per la discesa degli dei? Più chiaramente il pregiudizio è indicato nel IV delle Georgiche: Cirene, madre di Aristeo, promette al figliuolo di condurlo, appunto nell'ora del meriggio, all'antro di Proteo, che suole in tale ora darsi al riposo :

Ipsa ego te, medios quum sol adcenderit aestus,

quum sitiunt herbae, et pecori iam gratior umbra est,

in secreta senis ducam, quo fessus ab undis

se recipit; facile ut somno adgrediare iacentem (vv. 401-404).

Il luogo non ha bisogno di commenti, perchè, come nota Servio, il « medios cum sol adcenderit aestus » indica da sè l'ora in cui sogliono i Numi comparire sulla terra 1).

Al pregiudizio del meriggio facciamo seguire il dio Priapo, il comico guardiano degli orti 2). Nel IV delle Georgiche si esprime il voto «< che gli orti, spiranti crocei odori, allettino le api, e che la tutela di Priapo di Lampsaco, discacciatrice dei ladri e degli uccelli con la sua falce saligna le conservi » :

Invitent croceis halantes floribus horti,

et custos furum atque avium cum falce saligna
Hellespontiaci servet tutela Priapi (vv. 109-111).

(1) LEOP. op. c., pag. 96.

(2) V. il nostro studio Magia e preg. in Orazio ecc. Venezia 1895, p. 33 e segg.

Archivio per le tradizioni popolari. Vol. XXIII.

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