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di un principio agente, sparso per tutta la natura, che dà vita a tutti gli esseri animati, e questi poi, sciolto il corpo, di nuovo viene nel suo seno. E siccome questo principio, che tutto muove e vivifica, è detto avere la natura dell'etere sottilissimo e purissimo, per ciò gli spiriti che da esso emanano sono detti dal poeta aetherei haustus. E fin qui nulla di nuovo. Ma che cosa diremo del modo di ricuperare le api, quale ci è dato nella pietosa leggenda di Aristeo?

Sed, si quem proles subito defecerit omnis,

nec genus unde novae stirpis revocetur, habebit;
tempus et Arcadii memoranda inventa magistri
pandere, quoque modo caesis iam saepe iuvencis

insincerus apes tulerit cruor.... (Georg. IV, vv. 281-285).

E verso la fine del libro, dopochè Aristeo ha compiuto i rituali sacrificî espiatorî, tal meraviglia così felicemente si compie :

liquefacta boum per viscera toto

stridere apes utero, et ruptis effervere costis;

inmensasque trahi nubes; iamque arbore summa

confluere, et lentis uvam demittere ramis (vv. 555-558).

Davvero qui bisogna sbarrare gli occhi e spalancare la bocca! Pare proprio che il poeta abbia voluto preludere alle fole della generazione spontanea, la quale diciamolo beninteso soltanto per la in questi ultimissimi tempi si vanta di aver trovato un altro patrocinatore nel Burke!

storia

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Quale spiegazione potremo noi dare di così strano fenomeno?

Il dirlo una fiaba qualunque è cosa agevolissima, ma ciò non basta. La superstizione cela sempre nella sua origine qualche elemento di verità, e se noi non siamo capaci talora di scoprirlo, vuol dire che questo dipende, per lo più, da mancanza di fonti storiche, le quali potrebbero efficacemente aiutare le nostre ricerche; e questo è precisamente il caso. Lo stesso Plinio, che nell'opera sua ha raccolto quanto di vero e di falso si pensò dagli antichi, si contenta di riferire il fatto come credenza generale, e nulla più 1). E a noi non resta a dire se non che, per analogia, si attribuiva alle api la stessa origine

1) PLIN., Hist. XI, 20.

che ai più schifosi insetti, i quali emanano dai corpi in istato di putrefazione. Secondo alcuni il pregiudizio deriva da fonte egiziana.

Il baco da seta, o filugello, pare adombrato nel II delle Georg.,

V. 121:

Velleraque ut foliis depectant tenuia Seres.

op è, infatti, il filugello, che si credeva tessesse i suoi fili sulle foglie di certi alberi, dai quali poi i Seres li distaccavano 1). Ognuno sa come il seme del prezioso insetto sia stato introdotto in Europa, da due monaci, al tempo dell'imperatore Giustiniano.

Della lince tratta a lungo il Leopardi 2) in un intero capitolo, e per ciò illustreremo quel tanto solo che ne dice il poeta:

Quid lynces Bacchi variae, et genus acre luporum atque canum? quid, quae imbelles dant proelia cervi? scilicet ante omnis furor est insignis equarum

(Georg. III, vv. 264-266).

Il furor equarum, di cui ha antecedentemente parlato, è insignis, cioè va al di sopra di quello delle linci, dei lupi, ecc.

La lince non è dotata di memoria, e, in conseguenza, non ritorna la seconda volta ad una preda, come attesta S. Girolamo riferendo il pregiudizio comune nell'Epist. XLIV. Che poi Vergilio avesse conoscenza della lince e dell'uso delle sue pellicce consta dall' En. I, V. 325 e segg.

Interessanti sono particolarmente due luoghi dell'Eneide (I, v. 393 e segg., e VII, v. 699 e segg.), in cui vengono ricordati i cigni, animali da non trascurarsi in materia d'arte augurale.

Nel secondo di questi luoghi è descritta la marcia dei cigni nell'aria, a cui Vergilio paragona i popoli da Messapo chiamati all'armi:

Ibant aequati numero regemque canebant

ceu quondam nivei liquida inter nubila cycni,

cum sese e pastu referunt et longa canoros

dant per colla modos, sonat amnis et Asia longe

pulsa palus (vv. 699-703).

Il primo invece si collega con un omen, onde Venere conforta

1) Hist., VI, 17.

2) Op. c. c. XVIII.

il figlio Enea, il quale con sette navi, sole superstiti alle venti, si aggira incerto e desolato lungo le squallide regioni della Libia:

Aspice bis senos laetantis agmine cycnos,

aetheria quos lapsa plaga lovis ales aperto
turbabat caelo; num terras ordine longo

aut capere aut captas iam despectare videntur:
ut reduces illi ludunt stridentibus alis

et coetu cinxere polum cantusque dedere

haut aliter puppesque tuae pubesque tuorum

aut portum tenet aut pleno subit ostia velo.

Perge modo et, qua te ducit via, dirige gressum (Aen. 1, v. 393–401).

Ma come mai al cigno si attribuisce una voce soave e armoniosa? Ciò dipende unicamente da quella leggenda accolta anche da Plutarco la quale fa Orfeo trasformato in cigno, in virtù della metempsicosi; per ciò quest'uccello diventa il favorito di Apollo, dio della musica, e, presso gli Egiziani, il geroglifico della musica stessa. Questo è quel tanto che se ne può sapere, nè giova curarsi di più.

Le colombe in Vergilio non hanno alcuna attinenza coi pregiudizî volgari; però sono uccelli di felice augurio, e, siccome sono sacre a Venere, di esse si serve la dea per guidare a fortunata meta l'errante figliuolo. Veggasi, ad esempio, come, nella discesa di Enea all'Inferno, esse compiano il delicatissimo ufficio, d'indicargli l'albero che nasconde il ramoscello d'oro destinato a Proserpina:

Vix ea fatus erat, geminae cum forte columbae

ipsa sub ora vivi caelo venere volantes

et viridi sedere solo. tum maximus heros

maternas adgnoscit aves laetusque precatur:

<< este duces o, si qua via est, cursumque per auras

dirigite in lucos. ubi pinguem dives opacat

ramus humum. tuque o dubiis ne defice rebus,

diva parens. » sic effatus vestigia pressit

observans, quae signa ferant, quo tendere pergant.

pascentes illae tantum prodire volando,
quantum acie possent oculi servare sequentum,
inde ubi venere ad fauces grave olentis Averni,
tollunt se celeres liquidumque per aera lapsae
sedibus optatis gemina super arbore sidunt,
discolor unde auri per ramos, aura refulsit

(Aen., VI, vv. 190-204).

Restano la noctua e il bubo. La prima è più interessante del secondo, perchè nel I Georg. v. 402-403 ci è presentata come nunzia della tempesta e del sereno, secondo che nota Plinio 1): « sic noctua in imbre garrula praesagit serenitatem, at sereno tempestatem »>, col che si accorda ciò che il poeta poco dopo soggiunge dell'uso degli uccelli marini di perseguitarsi nell'aria al riapparire del sereno. Il bubo, menzionato nell'En. IV, v. 462, e XII, v. 860 e segg. è sufficientemente illustrato dallo stesso Plinio 2) : « Bubo funebris, et maxime abominatus, publicis praecipue auspiciis, deserta incolit; nec tantum desolata, sed dira etiam et inaccessa; noctis monstrum; nec cantu aliquo vocalis, sed gemitu ».

(Continua)

MARCO BElli.

1) Hist., XVIII, 87

2) X, 12, 16.

ALCUNE LEGGENDE POPOLARI DI PAVIA

E DEI SUOI DINTORNI

Faccio seguito con questa raccolta di leggende ad altri piccoli contributi di demopsicologia pavese, che son venuto pubblicando dal 1899 in poi 1). E come ho già avvertito altre volte, anch'essa è in gran parte frutto delle ricerche di studenti liceali, che io ritengo, quando siano bene iniziati a questo genere di studi dall'insegnante di lettere italiane, elementi ottimi per raccogliere il nostro abbondante materiale folklorico ancora inedito 2).

Sono leggende còlte sopratutto sulla bocca del popolo di città: solo poche riguardano altre località della provincia di Pavia. Nè sono queste le sole che può fornire ancora, dopo tante perdite, una provincia così vasta e così ricca di tradizioni romane e medioevali. Ma chi pubblica questo piccolo saggio non si propone altro che di invogliare i Pavesi premurosi del loro Folklore a scavar meglio il terreno e a completare la raccolta.

1) Vedi Le campane del comune di Pavia e Costumanze pavesi (in « Archivio per le trad. pop. ital. » Vol. XVIII e XIX), e Credenze e superstizioni, raccolle nel territorio pavese (in « Niccolò Tommaseo » del maggio 1905)

2) Sono lieto di trovarmi, in questo pienamente d'accordo col prof. Ciro Trabalza, che due anni fa dettava alcune sensatissime pagine sull'utilità di questo esercizio scolastico, per cui « il folklore avrà trovato i suoi veri cultori... e avrà un aumento sicuro e considerevole, più di quel che non possan dare i dilettanti delle città, che da un'escursione fugace in un castello hanno subito da schiccherare un articoletto per il giornale, Dio sa con quanta esattezza e con quali illu

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