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Obtulerat, fidens animi atque in utrumque paratus,
Seu versare dolos seu certae occumbere morti.
Undique visendi studio troiana iuventus

Circumfusa ruit, certantque illudere capto.
Accipe nunc Danaùm insidias, et crimine ab uno
Disce omnes.

Namque, ut conspectu in medio turbatus inermis
Constitit atque oculis phrygia agmina circumspexit,
Heu, quae nunc tellus, inquit, quae me aequora possunt
Accipere, aut quid iam misero mihi denique restat,
Cui neque apud Danaos usquam locus, et super ipsi
Dardanidae infensi poenas cum sanguine poscunt?

Quo gemitu conversi animi, compressus et omnis
Impetus. Hortamur fari, quo sanguine cretus,
Quidve ferat, memoret, quae sit fiducia capto.
Ille haec, deposita tandem formidine, fatur:
Cuncta equidem tibi, rex, fuerit quodcumque, fatebor
Vera, inquit; neque me argolica de gente negabo:
Hoc primum; nec, si miserum Fortuna Sinonem
Finxit, vanum etiam mendacemqne improba finget.
Fando aliquod si forte tuas pervenit ad aures
Belidae nomen Palamedis et inclyta fama

65. Crimine ab uno. Elegantemente invece di a crimine unius. 11 Tasso, Ger. 2.

La fede greca a chi non è palese?

Tu da un sol tradimento ogni altro impara.

68. Circumspexit. La tardità della fine del verso è qui arte per dipingere al vivo.

71. Super. Vale insuper.

75. Quae. Se possa addurre alcunchè per ottenere gi si perdoni la vita.

E all' una sorte e all' altra apparecchiato, O compiere la frode o non temuta Morte incontrar. Da tutte parti densa Per desio di veder corregli intorno 100 La gioventù troiana, e il prigioniero Schernisce a gara. Or tu le insidie apprendi De' Greci, e da quest'uno empio e ribaldo Tutti gli altri conosci. Ei come in vista Turbato, inerme, alla presenza nostra

103 Stette, e intorno a guardar le frigie turbeGli occhi lento rivolse: Ahi lasso! quale Terra, disse, qual mar fia che m' accolga, Ed omai che più resta a me infelice?

A me che non tra i Greci ho dove possa 110 Ricoverarmi, e a cui per giunta anch'essi Chiedon nemici i Teucri il fio col sangue? La pietà di quel gemito ci vinse; Ogni furor quetossi: il confortiamo A dire, ei narri di che gente sia, 115 Che rechi, e quale in darsene prigione. Ebbe fidanza. Egli, deposta alfine La paura: O re, disse, io farò tutto. Palese a te, checchè sia stato, il vero; Ne d'argolica gente esser l'ascondo; 120 Ciò prima; chè se può fortuna rea Far misero Sinon, già non varrebbe A renderlo spavaldo e mentitore. Non so se ragionando alcuna volta Ti venisse agli orecchi il nome a caso 125 Di Palamede che traea legnaggio

Da Belo, e la sua gloria che pertutto

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Gloria, quem falsa sub proditione Pelasgi
Insontem infando indicio, quia bella vetabat,
Demisere neci, nunc cassum lumine lugent:
Illi me comitem et consanguinitate propinquum
Pauper in arma pater primis huc misit ab annis.
Dum stabat regno incolumis regumque vigebat
Conciliis, et nos aliquod nomenque decusque
Gessimus. Invidia postquam pellacis Ulixi
(Haud ignota loquor) superis concessit ab oris,
Afflictus vitam in tenebris luctuque trahebam,
Et casum insontis mecum indignabar amici.
Nec tacui demens, et me, fors si qua tulisset,
Si patrios unquam remeassem victor ad Argos,
Promisi ultorem et verbis odia aspera movi.
Hinc mihi prima mali labes; hinc semper Ulixes
Criminibus terrere novis, hinc spargere voces

In vulgum ambiguas et quaerere conscius arma. 100 Nec requievit enim, donec Calchante ministro....

84. Bella vetabat. Dissuadeva la guerra. É questa, fra le tante sue menzogne, sottile scaltrezza per entrar nelia benevolenza dei Troiani.

88. Pauper. Abilmente si scusa dell' aver concorso alla guerra, dovendo obbedire al padre che non avea mezzi da mantenerlo. - Primis. Sul principio della guerra durata dieci anni. Diversamente il C. con alterazione del testo:

11 pover padre mio ne' miei prim' anni

Pria per valletto nel mestier dell'armi,

Poi per compagno a questa guerra diemmi.

92. In tenebris. Vivendo segregato dalla società. Gli afflitti e piangenti non sogliono amare, dice Servio, la luce, nè la compagnia degli uomini.

99. Conscius. Lieto di conoscere l'imminente pericolo di Sinone.

Erasi sparsa. Iniquamente i Greci
Con vano indizio e sotto false accuse
Di tradigion, perchè cessar la guerra
130 Avria voluto, a morte lo dannaro;

Or lo piangono estinto. A lui mandommi
Compagno è stretto in parentela il mio
Povero padre qua dagli anni primi

Pel mestiero dell' armi. Infin ch' egli ebbe
135 Regno felice, ed il suo senno aggiunse
Al concilio dei re, ne trassi anch'io
Alcun decoro e nome. Ma dappoi
Che per livor del frodolento Ulisse
(Non parlo ignote cose) ei dalla terra
140 Si fu partito, in tenebre ed in lutto
Io la vita menava, e meco stesso
D' ira fremea sopra l' indegno caso
Dell' innocente amico. Nè tacermi
Seppi stolto, e giurai, se la fortuna
145 Mi consentia che vincitore in Argo
Ritornassi, di far le sue vendette,
E contro me colle parole accesi
Fierissim' odii. Quinci del mio male.
La prima fonte, quinci sempre Ulisse
150 Si diè con nuove accuse a spaventarmi,
A seminar nel volgo ambigui detti,

E con deliberato animo tutte
L'armi cercò, nè si rimase infino

Che Calcante entromessosi.... Ma queste

Arma Mezzi, frodi, occasioni di nuocere.

100. Ministro. Tronca a mezzo la frase e il racconto. per meglio avvivare la curiosità. Sottintendi usus, ciè servendosi Ulisse del ministerio di Calcante.

Sed quid ego haec autem nequidquam ingrata revolvo? Quidve moror, si omnes uno ordine habetis Achivos, Idque audire sat est? Iamdudum sumite poenas: Hoc Ithacus velit, et magno mercentur Atridae. 105 Tum vero ardemus scitari et quaerere causas, Ignari scelerum tantorum artisque pelasgae. Prosequitur pavitans et ficto pectore fatur: Saepe fugam Danai Troia cupiere relicta Moliri et longo fessi discedere bello;

110 Fecissentque utinam! Saepe illos aspera ponti Interclusit hiems, et terruit auster euntes; Praecipue, quum iam hic trabibus contextus acernis Staret equus, toto sonuerunt aethere nimbi. Suspensi Eurypylum scitantem oracula Phoebi · 115 Mittimus; isque adytis haec tristia dicta reportat: Sanguine placastis ventos et virgine caesa,

Quum primum iliacas, Danai, venistis ad oras; Sanguine quaerendi reditus, animaque litandum Argolica. Vulgi quae vox ut venit ad aures, 120 Obstupuere animi, gelidusque per ima cucurrit

101. Ingrata. Che non mi possono conciliare alcun favore. Così Servio.

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102. Uno ordine habetis. I Greci tutti tenete egualmente per nemici.

104. Suprema furberia! Senza dubbio, osserva l' Heyne, 1 Troiani doveano perdonar la vita a Sinone, perchè la morte di lui sarebbe stata graditissima ad Ulisse e ad Agamennone.

109. Mobiri. Verbo grave e solenne, nota 1 Heyne, invece di apparecchiare.

117. Venistis. Cioè quando volevate venire.

118. Litandum anima. È questa la frase riserbata al linguaggio sacro presso i Gentili.

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