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Maxima natarum Priami colloque monile

655 Baccatum, et duplicem gemmis auroque coronam. Haec celerans iter ad naves tendebat Achates.

At Cytherea novas artes, nova pectore versat Consilia, ut faciem mutatus et ora Cupido Pro dulci Ascanio veniat, donisque furentem 660 Incendat reginam atque ossibus implicet ignem: Quippe domum timet ambiguam Tyriosque bilingues. Urit atrox Juno, et sub noctem cura recursat. Ergo his aligerum dictis affatur Amorem: Nate, meae vires, mea magna potentia, solus, 665 Nate, patris summi qui tela typhoia temnis, Ad te confugio et supplex tua numina posco. Frater ut Aeneas pelago tuus omnia circum Litora iactetur odiis Iunonis iniquae,

Nota tibi, et nostro doluisti saepe dolore. 670 Hunc phoenissa tenet Dido blandisque moratur Vocibus, et vereor quo se iunonia vertant Hospitia: haud tanto cessabit cardine rerum.

661. Ambiguam. Da non fidarsene perchè Cartagine era sotto il patrocinio di Giunone.

Ivi. Bilingues. Mendaci o ingannatori. Fides punica si disse poi da' Romani a significare perfidia.

667. Frater ut Aeneas. Venere dice a Cupido: Enea tuo fratello. Qual bisogno mai di aggiungervi, come fece il C., l'altro mio figlio ?

671. Iunonia . . . hospitia. L'ospitalità dove impera Giunone, ossia in una terra che le è sacra e devota.

672 Cardine. Importanza o gravità.

Ilione, la maggior delle figliuole

Di Priamo, e il suo monil di grandi perle
Dovizioso, e la corona insigne

1005 D'oro e gemme doppiata. Intento a questi
Comandi, ver' le navi il frettoloso
Piede Acate movea. Ma in petto volge
Novi artifizi e novi accorgimenti
Venere: come il viso e le sembianze
1010 Cupido muti, e vada alla regina

Del dolce Ascanio in vece, e con quei doni Il fervido di lei core infiammando Foco segreto in ogni vena spiri. Però che teme le accoglienze dubbie 1015 Edi Tirii fallaci; il fero sdegno

Di Giuno attizza; e quindi per la notte Le corre nel pensiero il crudo affanno. Essa ad Amore aligero con questi Detti. ragiona: O figlio, che mia forza 1020 E poter grande sei, figlio che solo La tremenda a Tifeo folgore sprezzi Del sommo padre, a te ricorro, aita Dal tuo nume implorando. Come intorno Ai lidi tutti per lo mar sia spinto 1025 Il tuo fratello Enea dagli odii iniqui Di Giunone, tu 'I sai, che ti dolesti Sovente al dolor mio. Lo tiene e indugia Con blande e carezzevoli parole

Or la fenicia Dido. lo da timore 1030 Sono stretta pensando ove riesca Un'ospitalità che di Giunone

Sotto gli auspicii dassi. Ella non fia

Quocirca capere ante dolis et cingere flamma Reginam meditor, ne quo se numine mutet, 675 Sed magno Aeneae mecum teneatur more. Qua facere id possis, nostram nunc accipe mentem: Regius accitu cari genitoris ad urbem

Sidoniam puer ire parat, mea maxima cura, Dona ferens pelago et flammis restantia Troiae: 680 Hunc ego sopitum somno super alta Cythera Aut super Idalium sacrata sede recondam, Ne qua scire dolos mediusve occurrere possit; Tu faciem illius noctem non amplius unam Falle dolo et notos pueri puer indue vultus, 685 Ut, quum te gremio accipiet laetissima Dido Regales inter mensas laticemque lyaeum, Quum dabit amplexus atque oscula dulcia figet, Occultum inspires ignem fallasque veneno. Paret Amor dictis carae genetricis, et alas

690 Exuit et gressu gaudens incedit Iuli.

686. Regales inter mensas. Qui il C. offende colla incolta frase il decoro della regina, dicendo:

.... e, come a mensa fassi,

Sarà bevendo e ragionando allegra.

688. Fallasque veneno. Tu la sorprenda, la colga alla sprovvista con infonderle il tuo veleno.

690. Gressu gaudens incedit Iuli. Non so che alcun traduttore conservi questo bel modo figurato: cammina giubilando col passo di Iulo. 1 vari modi usati da altri per rendere questa frase non hanno la stessa evidenza e leggiadria.

Certo che in caso di sì gran momento Senza oprar si rimanga. Onde m' avviso. 1033 Pria coglier con inganni, e d'amorose Fiamme Dido accerchiar, talchè il volere D'alcun Dio non la muti, e per Enea Meco di grande amor tutta s'accenda. Come ciò bene conseguir tu possa, 1040 Odi or la mente mia. Testè chiamato Dal caro genitore, a gir s' appresta Il fanciullo regal, dolce e suprema Mia cura, alla città, doni portando Che agl' incendi sfuggirono di Troia 1045 Ed ai flutti del mar. Vinto dal sonno Io su l'alta Citerea o su l' Idalio Lo asconderò nella sacrata sede, Perchè saper non possa in guisa alcuna Gl'inganni o dimezzarli. Astutamente 1050 Fingi di lui per una sola notte L'aspetto, e del fanciullo il noto viso Tu, fanciullo qual sei, con arte assumi, Acciò che quando in grembo accolga Dido. Te contenta e festosa, tra le mense 1055 Regali e di Lieo tra i colmi nappi,

Quando amplessi ti dia, dolci imprimendo Baci a te in volto, di segreto foco Tu l'arda e al cor di lei veneno instilli. Obbediente Amor s'acconcia ai detti 1060 Della sua cara genitrice, e l' ali Spogliasi, e camminar col portamento Gode di Iulo. Ma un soave sonno

At Venus Ascanio placidam per membra quietem Irrigat, et fotum gremio dea tollit in altos Idaliae lucos, ubi mollis amaracus illum Floribus et dulci adspirans complectitur umbra. 695 Iamque ibat, dicto parens, et dona Cupido Regia portabat Tyriis, duce laetus Achate. Quum venit, aulaeis iam se regina superbis Aurea composuit sponda mediamque locavit; Iam pater Aeneas et iam troiana iuventus 700 Conveniunt, stratoque super discumbitur ostro. Dant manibus famuli lymphas, Cereremque canistris Expediunt tonsisque ferunt mantilia villis. Quinquaginta intus famulae, quibus ordine longo Cura penum struere et flammis adolere penates; Centum aliae totidemque pares aetate ministri, Qui dapibus mensas onerent et pocula ponant. Nec non et Tyrii per limina laeta frequentes Convenere, toris iussi discumbere pictis.

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691. At Venus. 11 Delille osserva, a questo passo, che ogni altro poeta difficilmente avrebbe qui lasciato sfuggirsi l'occasione di descriver la reggia di Venere; ma Virgilio sa infrenare la propria fantasia quanto occorre perchè riescano ben disposte ed armoniche le varie parti del suo lavoro.

698. Non tutti gli antichi ebbero uso di stare a mensa distesi sopra letti; essendo stato questo veramente proprio degli Asiatici. I Romani presero ad imitare un tal costume soltanto allora che, vinta l'Asia, portarono a Roma le ricchezze ed i vizi di quei popoli. Non durò molto a lungo in Roma quest' usanza che mai non fa osservata dal gentil sesso. Nel tempo di Augusto gli uomini in casa ripigliarono a sedere alla mensa, e l'uso dei letti nel convito rimase solamente per le feste pubbliche.

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