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555 Sin absumta salus, et te, pater optime Teucrum,
Pontus habet Libyae nec spes iam restat Iuli,
At freta Sicaniae saltem sedesque paratas,
Unde huc advecti, regemque petamus Acesten.
Talibus Ilioneus; cuncti simul ore fremebant
560 Dardanidae.

Tum breviter Dilo, vultum demissa, profatur:
Solvite corde metum, Teucri, secludite curas.
Res dura et regni novitas me talia cogunt
Moliri et late fines custode tueri.

565 Quis genus Aeneadum, quis Troiae nesciat urbem,
Virtutesque, virosque aut tanti incendia belli?
Non obtusa adeo gestamus pectora Poeni,

Nec tam aversus equos tyria sol iungit ab urbe. Seu vos Hesperiam magnam saturniaque arva, 570 Sive Erycis fines regemque optatis Acesten; Auxilio tutos dimittam opibusque iuvabo.

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555. Pater optime Teucrum. Dolce espressione dell' amore schietto e confidente di que' Troiani nel loro duce; ina il C. la guastò coll' aggiunta di nostro signor.

561. Vultum demissa. É un tratto da maestro quell' atteggiamento di pensosa che Didone prende dopo il discorso d'Ilioneo, e quella sua naturale verecondia.

563. Res dura. Prudenza, dignità e garbatezza spiccano nella risposta della regina.

Ivi. Regni novitas. L'essere io, nuova al regno, in paese barbaro. Il mi fan rigorosa del C. è modo prosaico e troppo ruvido. 568. Aversus. Dice Aristotile che gli uomini nelle terre sopra cui cadono più obbliquamente i raggi del sole vengono ottusi e ferini.

569. Saturniaque arva. Il Lazio che è quella parte d'Italia ove

855 Ogni salvezza, e te di Libia il mare,
Oltimo padre de' Troiani, ha in seno,
Nè più speranza omai resta di Iulo,
Almen tornar si possa alle marine
Della Sicania, ed alle amiche sedi

860 Onde siam qua venuti, e alla ospitale
Cittá d' Aceste. Con tai detti orava
Ilioneo; tutti i Troiani a un tempo
Bisbigliando assentivano. Con volto
Dimesso, brevemente allora Dido
965 Cosi risponde: Ogni timore, o Teucri,
Dal cor bandite; cessino gli affanni.
Le dure sorti e lo esordir nel regno
Mi costringono a tali atti d'intenta
Avvedutezza, e a por custodi armati
870 Lungo i confini. Chi d' Enea la stirpe,
E la città di Troia, ed i bei fatti
De' valorosi, e di cotanta guerra

L'incendio ignorar può? Non così ottuso
È l'animo de' Peni, e il suo raggiante
875 Carro non guida così avverso il sole
Dalla Tiria città. D' ogni sussidio
Manderovvi contenti, nè d' aita

Vi sarò scarsa, o ver' la grande Esperia
Edi Saturnii campi andar vi giovi,

880 0 d'Erice alle terre, od alla stanza
Del buon Aceste. Rimanervi forse

Saturno cacciato dal cielo si ricoverò e si nascose, detta perciò Latium da latere.

571. Tutus dimittam. Niuno tradurrebbe si prosaicamente:

in ogni caso liberi

Ve n' andrete e sicuri.

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580

Vultis et his mecum pariter considere regnis?
Urbem quam statuo vestra est: subducite naves;
Tros Tyriusque mihi nullo discrimine agetur.
575 Atque utinam rex ipse noto compulsus eodem
Afforet Aeneas! Equidem per litora certos
Dimittam et Libyae lustrare extrema iubebo,
Si quibus eiectus silvis aut urbibus errat.
His animum arrecti dictis, et fortis Achates
Et pater Aeneas iamdudum erumpere nubem
Ardebant. Prior Aenean compellat Achates:
Nate dea, quae nunc animo sententia surgit?
Omnia tuta vides, classem sociosque receptos:
Unus abest, medio in fluctu quem vidimus ipsi
585 Submersum; dictis respondent caetera matris.
Vix ea fatus erat, quum circumfusa repente
Scindit se nubes et in aethera purgat apertum.
Restitit Aeneas, claraque in luce refulsit,

Os humerosque deo similis: namque ipsa decoram
590 Caesariem nato genetrix lumenque iuventae
Purpureum et laetos oculis afflarat honores.
Quale manus addunt ebori decus, aut ubi flavo
Argentum pariusve lapis circundatur auro.

581. Unus. Oronte.

582 Nate dea. Tutti i traduttori conservarono debitamente questa qualificazione; ma il C. vi sostitui: SIGNOR, che pensi ? 585. Dictis. Alle predizioni di Venere. Vedi sopra, v. 90. 589 Ipsa. Così Ulisse è nell' Odissea reso più venerando agli occhi de' Feaci; cosi Goffredo nella Gerusalemme a quelli de' ribellanti.

Meco bramate in questo regno? È vostra
La città che qui fondasi. Traete
In sicuro il navil: Troiani e Tirii
885 Non guarderò con differenza alcuna.
E oh dal vento medesimo il re vostro
Enea fosse condotto a questi lidi!
Io tosto manderò chi attento corra
Lungo le rive, e fino i lembi estremi
890 Esplori della Libia, se gittato

Dal mar, per selve e per città s'aggìri.
Da tai parole imbaldanziti il forte
Acate e il grande Enea, di romper quella
Nube eran già bramosi. Acate il primo
895 A dir si fece: Quale or ti rampolla,
O figlio della Dea, pensiero in mente?
Tutto vedi al sicuro, e son Je navi
Ed i compagni a salvamento addotti.
Ne manca un sol che noi stessi vedemmo
900 Sommerso in mezzo ai flutti. Ogni altra cosa
Ai detti della madre appien risponde.

Finito ch' ebbe di parlar, la nube
Ond' eran cinti squarciasi repente
E al puro aer si mesce. Enea mostrossi

905 In chiara luce, egual per lo sembiante

E per gli omeri

un Dio; chè la sua stessa

Madre aggiunto gli avea beltà di chiome,

E più vivo splendor di giovinezza,

E negli occhi di lui messo d' onesta

910 Letizia un raggio. Tal da mani industri Rabbellito è l'avorio, o circondato

L'argento o il pario marmo in fregi d'oro.

Tum sic reginam alloquitur, cunctisque repente 595 Improvisus ait: Coram, quem quaeritis, adsum, Troïus Aeneas, libycis ereptus ab undis.

O sola infandos Troiae miserata labores,

Quae nos, reliquias Danaûm, terraeque marisque Omnibus exhaustos iam casibus, omnium egenos, 600 Urbe, domo socias, grates persolvere dignas

Non opis est nostrae, Dido, nec quidquid ubique est Gentis dardaniae, magnum quae sparsa per orbem. Di tibi, si qua pios respectant numina, si quid Usquam iustitia est et mens sibi conscia recti, 605 Praemia digna ferant. Quae te tam laeta tulerunt Saecula? qui tanti talem genuere parentes?

In freta dum fluvii current, dum montibus umbrae Lustrabunt convexa, polus dum sidera pascet, Semper honos nomenque tuum laudesque manebunt, 610 Quae me cumque vocant terrae. Sic fatus, amicum Ilionea petit dextra, laevaque Serestum,

Post alios, fortemque Gyan fortemque Cloanthum.
Obstupuit primo adspectu sidonia Dido,

Casu deinde viri tanto, et sic ore locuta est:

597. O sola. Affettuosissimo verso e da guadagnarsi vieppiù il cuore di Didone; e si noti l'accortezza di questo suo rivolgersi, fatto pure un saluto a' suoi, verso la regina. rota.

Altri, come Eleno, Aceste, ecc. avevano mostrato gran compassione delle sventure di Troia, ma essi erano amici o discendeuti da stirpe troiana. Didone sola, benchè straniera, si mostrava pietosa agli Eneidi.

613. Obstupuit. Restò piena di stupore prima al vedere Enea, poscia al considerare che un si grand' uomo fosse bersaglio di

tante sventure.

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