Page images
PDF
EPUB

10

15

Inferretque deos Latio: genus unde latinum
Albanique patres atque altae moenia Romae.
Musa, mihi causas memora, quo numine laeso,
Quidve dolens regina deum tot volvere casus
Insignem pietate virum, tot adire labores
Impulerit. Tantaene animis coelestibus irae?

Urbs antiqua fuit (tyrii tenuere coloni),
Carthago, Italiam contra tiberinaque longe
Ostia, dives opum studiisque asperrima belli,
Quam Iuno fertur terris magis omnibus unam
Posthabito coluisse Samo: hic illius arma,
Hic corrus fuit; hoc regnum dea gentibus esse,
Si qua fata sinant, iam tum tenditque fovetque.

6. Catone dice nei Libri delle Origini che l'Italia era tenuta già dai popoli Aborigeni, i quali, uniti ed affratellati, dopo la venuta di Enea, co' Troiani, presero in comune il nome di Latini dal Lazio.

Enea, vinto Turno, e domati i Latini, non solo si astenne dal toglier loro il nome, ma anzi chiamò col nome stesso i suoi Troiani.

9. Comincino qui i giovani ad osservare come la sobria e nitida esposizione del testo è alterata un tal poco dal Caro, che aggiunge o muta spesso a suo talento alcuna cosa. Regina Deum è reso da lui la Dea CHE È PUR DONNA e regina DEGLI ALTRI Dei. Molto improprio e sconveniente riesce poi quel dare a Giunone la taccia, da cui si sarebbe Virgilio ben guardato, di empia, quasi contrapponendo, per giuoco di parole, la empietà di Giunone alla pietà di Enea.

1 Gentili per la pietà intendevano la riverenza e l'ossequio verso gli Dei e verso i genitori.

11. Tantaene. Delille lo sospetta un frizzo di poeta incredulo (dice il professor G. Rota nelle sue belle e lucide annotazioni a questo Poema, d' alcuna delle quali mi varrò) contro le divinità »

10

15

20

25

Molto soffri, pria che fondar potesse
Una cittade, e i suoi numi riporre
Nel Lazio: onde il Latin seme, e gli Albani
Padri e le mura della eccelsa Roma.

Le cagioni a me di', Musa, per quale
Onta al cielo o perchè spinse crucciosa
Degli Dei la Regina in mezzo a tanti
Casi e travagli un valoroso, insigne
Per la somma pietà. Dunque si gravi
In animi celesti ardono l' ire?

Cittade antica, già colonia e sede
Di Tirii, fu Cartago, incontro posta
A Italia lungi ed alle Tiberine

Foci, in dovizie chiara e per guerresco
Ardor temuta. È fama che l'avesse
Giunon più cara di qualunque terra,
Fin più che Samo. Qui locò le sue
Armi, qui il carro; e qui del mondo tutto
(Se i fati consentissero) l'impero

Già la Dea por disegna e vi s' affanna.

del politeismo. Io non credo si apponga al vero; l'Olimpo degli antichi popoli era la vita di quaggiù abbellita. Solo dal Cristianesimo appresero gli uomini essere lassù

La vita intera d'amore e di pace.

14. Studiis belli. Per gran voglia, per ismania di guerreggiare. 16. Posthabita Samo. Non solo Giunone pospose a Cartagine Sparta, Micene, Argo, città che le erano molto care, ma Samo istessa, isola in cui nacque, e ove segui il suo matrimonio.

17. Giunone aveva il suo carro tirato da leoni; essa era particolarmente venerata in Cartagine.

18. Fovetque. Si fissa in questo suo intento con tutto l'animo e con tutti i pensieri. HEYNE.

20

25

30

35

Progeniem sed enim troiano a sanguine duci
Audierat tyrias olim quae verteret arces;
Hinc populum late regem belloque superbum
Venturum excidio Libyae: sic volvere Parcas.
Id metuens veterisque memor Saturnia belli,
Prima quod ad Troiam pro caris gesserat Argis;
Nec dum etiam causae irarum saevique dolores
Exciderant animo; manet alta mente repostum
Iudicium Paridis spretaeque iniuria formae,
Et genus invisum, et rapti Ganymedis honores.
His accensa super, iactatos aequore toto
Troas, reliquias Danaum atque immitis Achilli,
Arcebat longe Latio; multosque per annos
Errabant acti fatis maria omnia circum.
Tantae molis erat romanam condere gentem.
Vix e conspectu siculae telluris in altum
Vela dabant laeti et spumas salis aere ruebant,
Quum Iuno, aeternum servans sub pectore vulnus,

22. Sic volvere Parcas. Graziosa metafora, perchè fa immagine di idea astratta e dipinge alla fantasia le filatrici eterne. ROTA.

Ho qui creduto bene di conservar nella traduzione letteralmente il modo del testo, e così feci ogni qualvolta l' indole della lingua nostra nol contrastasse.

28. Genus invisum. A cagione di Dardano, figlio di Giove e di Elettra, dal quale i Troiani ebbero origine.

30. Reliquias, Quanti ne rimasero dopo le molte stragi fatte dai Greci, e spezialmente da Achille.

33. Magnifico epifonema che non poteva non lusingare grandemente l'orgoglio dei conquistatori del mondo. Il dar principio, del Caro, il dar base, dell' Alfieri, non rendono la grandiosa metafora del fondare o erigere l'immenso edificio (per usare un termine nuovo) della nazionalità Romana.

30

35

40

45

50

Ma udito avea che di troiano sangue
Gente deriverebbe, onde abbattute

Sarieno le sue rocche; e un popol quindi
Re di vasti paesi e per possanza
D'armi superbo, a disertar la Libia
Andrebbe: cosi volgere le Parche.
Di ciò temendo la Saturnia Diva,
E memore che già per la diletta
Argo ella prima avea di Troia a' danni
Portato guerra, ancor fisse dell' ira
Le cagioni entro l'animo serbava,
E un rio dolor: di Paride il giudicio
Nella profonda sua mente è riposto,
E di beltà l' ingiurioso sprezzo,
E la schiatta abborrita, ed i celesti
Dell' involato Ganimede onori.

Da tali sdegni accesa, i Troi balzati
In tutto il mar, che pochi eran del greco
Furore avanzi e dell' iroso Achille,
Dal Lazio lungi rimovea; molt' auni
Erravan essi ad ogni lido intorno
Condotti dal destin. Di tanta mole
Era a fondarsi la Romana gente!

Usciti appena fuor della veduta
Della Sicula terra, in mar le vele
Apriano e lieti con le prue di bronzo

Fendean l'acque spumanti, allor che in petto
L'eterno suo rancor Giuno covando,

36. Vulnus. Una piaga al cuore è il serbar vivo il dispetto e lo sdegno per le offese ricevute.

40

45

Haec secum: Mene incepto desistere victam,
Nec posse Italia Teucrorum avertere regem?
Quippe vetor fatis. Pallasne exurere classem
Argivûm atque ipsos potuit submergere ponto
Unius ob noxam et furias Aiacis Oilei?

Ipsa, Iovis rapidum iaculata e nubibus ignem,
Disiecitqae rates evertitque aequora ventis;
Illum expirantem transfixo pectore flammas
Turbine corripuit scopuloque infixit acuto.
Ast ego, quae divim incedo regina, Iovisque
Et soror et coniux, una cum gente tot annos
Bella gero? Et quisquam numen Iunonis adoret
Praeterea aut supplex aris imponat honorem?
50 Talia flammato secum dea corde volutans

Nimborum in matriam, loca feta furentibus austris,
Aeoliam venit. Hic vasto rex Aeolus antro
Luctantes ventos tempestatesque sonoras

37. La brevità per modi ellittici è propria di chi parla nell' impeto della collera. Sottintendi aequm est, o fas est. Anche senza ellissi è maniera che si conviene al parlar degli sdegnati; come chi dicesse: Io abbassarmi, io scendere a tanta viltà?

39. Quippe. Detto ironicamente, come nel libro IV, verso 218. 46. L'incedo qui torna meglio che sum; poichè il maestoso e grave portamento è segno di orgoglio. Non so che alcun traduttore abbia reso questa espressione caratteristica. Forse io tenni un modo che vi corrisponde, e significa quella superba compiacenza che vi si racchiude.

48. Non dice me, ma numen Iunonis, modo conveniente all'orgoglio fastoso della irritata Dea. Si direbbe che il Caro nulia di ciò ha compreso traducendo:

« PreviousContinue »