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Ante diem clauso componet Vesper Olympo. 375 Nos Troia antiqua, si vestras forte per aures Troiae nomen iit, diversa per aequora vectos, Forte sua libycis tempestas appulit oris.

Sum pius Aeneas, raptos qui ex hoste penates
Classe veho mecum, fama super aethera notus;
380 Italiam quaero patriam et genus ab love summo.
Bis denis phrygium conscendi navibus aequor,
Matre dea monstrante viam, data fata secutus;
Vix septem convulsae undis euroque supersunt.
Ipse ignotus, egens, Libyae deserta peragro,
385 Europa atque Asia pulsus. Nec plura querentem
Passa Venus medio sic interfuta dolore est:

Quisquis es, haud, credo, invisus coelestibus auras
Vitales carpis, tyriam qui adveneris urbem.

377. Forte sua. Per uno de' suoi casi, per una delle vicende strane che nelle tempeste s'incontrano.

378. Sum pius Aeneas. Secondo lo spirito della religione pagana, questo detto non era nè iattanza nè immodestia, e poteva l'eroe troiano dare a se stesso una lode che, nel suo fervore ed assequio verso gli Dei, riputava essere cosa semplicissima. Conservando nella traduzione italiana un tal modo, si cadrebbe, per la non piccola diversità della significazione che ha presso noi quell'epiteto, in una certa vanteria od esagerazione che move a sorriso. Non sembra perciò che abbia reso convenientemente il C.: Io sono Enea, quel pio. . . . Nè l' ab. Des Fontaines ha meglio compresa la nobile ingenuità del figlio di Venere, col tradurre: le suis cet Enée, qui fait profession d'una piété singulière envers les Dieux. 380. Dall' Italia era venuto Dardano suo primogenitore. Vedi libro II, 167. Dardano era figlio di Giove e di Elettra.

382. Questa bella immagine è travisata inutilmente dal C. col tirar fuori la stella di Venere.

575 Non finirei che avrebbe Espero, ombrato
Tutto il cielo, del di compiute l'ore.
Noi dall'antica Troia (se per caso

Venne di Troia il nome ai vostri orecchi)
Portati fummo per diversi mari,

580 E la tempesta, come suol, ci spinse
Alla libica terra. Io sono Enea
Che nelle navi, con pio zel sottratti
All' inimico i miei penati porto,
Per fama noto fin sopra le stelle.
585 Italia cerco antica patria, e vanto

Autor della mia stirpe il sommo Giove.
Con dieci navi e dieci in via mi posi
Sul mar di Frigia, mentre m' additava
La Dea madre il cammino, seguitando
590 I destini promessi. Or son rimaste
Appena sette dal furor dell' onde
Conquassate e dai venti. Ed io tapino,
Ignoto, erro, dall' Asia e dall' Europa
Respinto, in questi libici deserti.

595 Venere non soffri che in lamentanze
Oltre continuasse, e gl' interuppe
Quella si dolorosa ansia dicendo:

Chiunque sii, non già, credo, ai celesti
In odio spiri tu di vita l'aure

600 Poichè de' Tirii alla città sei giunto.

384. Altri interpreta a guisa d' un uomo ignoto, tanto più che sopra ha detto essere noto per fama in tutto il mondo. Ma i migliori hanno inteso che Enea si dice sconosciuto in quel paese di gente semi-barbara ed inconsapevole dell' arrivo di lui.

385. Nec plura querentem passa, invece di nec passa eum queri plura.

395

Perge modo: atque hinc te reginae ad limina perfer. 390 Namque tibi reduces socios classemque relatam Nuntio et in tutum versis aquilonibus actam, Ni frustra augurium vani docuere parentes. Adspice bis senos laetantes agmine cycnos, Aetheria quos lapsa plaga lovis ales aperto Turbabat coelo; nunc terras ordine longo Aut capere aut captas iam despectare videntur. Ut reduces illi luduut stridentibus alis, Et coetu cinxere polum, cantusque dedere; Haud aliter puppesque tuae pubesque tuorum 400 Aut portum tenet aut pleno subit ostia velo. Perge modo et, qua te ducit via, dirige gressum. Dixit, et avertens rosea cervice refulsit, Ambrosiaeque comae divinum vertice odorem Spiravere; pedes vestis defluxit ad imos;

405 Et vera incessu patuit dea. Ille ubi matrem

390. Relatam. Lo stesso che rieuperata o tornata a raccogliersi. 402. Rosea cervice. Il color di rosa è il più gradevole, epperciò roseo val quanto dire bellissimo. Anche Orazio lib. I, Ode 13, ha roseam cervicem parlando della avvenente Lidia.

Vedi affettazione in questi versi:

la neve e l'oro

E le rose del collo e delle chiome,

Come l'aura movea, divina luce

E divino spirar d' ambrosia odore.

Oltrechè il succedersi di chiome e come è misero e stucchevole. 403. Ambrosiaeque comae. I capelli sparsi d' ambrosia; colla qual parola era indicato così il nutrimento preso dagli Dei, come an che l' unguento di cui si servivano nell'acconciatura del capo.

Ora procedi, e va quinci alle soglie
Della regina, chè i compagni tuoi
Reduci e il tuo navil raccolto insieme.
Io t'annuncio e condotto dai mutati
605 Venti in sicuro, se parenti inetti
Non m'appresero invan l'arte augurale.
Mira sei cigni e sei festanti in frotta
Cui dall' eteria region venuto

A cielo aperto sgominava il fero
610 Augel di Giove; or sembrano calarsi
In lunga fila a terra, o già conforto
Aver della sua vista. E come l'ali
Starnazzando al ritorno essi di gioia
Davano segno, e in aer di sè rota
615 Fecero e cauti alzaro, a cotal guisa
Sui legni tuoi la gioventù troiana
O nel porto assecurasi, o v' imbocca'
A piene vele: or lietamente innanzi
Affretta il passo ove la via ti mena.
620 Disse, e indietro volgendosi rifulse
Nella rosea cervice; e dalle chiome
Un divino d' ambrosia odor si sparse;
Giù le discese il manto infino al piede:
E nell' andar leggiadro e maestoso
625 Dea vera dimostrossi. Allor la madre

405. Incessu. Non dicesi dai Latini che del portamento maestose dei re o degli Dei. Cosi di sopra Ast ego quae divûm incedo regina. Il semplice andare del C., passo del Bondi e il camminare (anche peggio) dell' Ambrogi, non corrisponde.

410

Agnovit, tali fugientem est voce seculus: Quid natum toties, crudelis tu quoque, falsis Ludis imaginibus? Cur dextrae iungere dextram Non datur, ac veras audire et reddere voces? Talibus incusat, gressumque ad moenia tendit. At Venus obscuro gradientes aëre sepsit, Et multo nebulae circum dea fudit amictu, Cernere ne quis eos, neu quis contingere posset, Molirice moram, aut veniendi poscere causas. 415 Ipsa Paphum sublimis abit sedesque revisit Laelu suas, ubi templum illi, centumque sabaeo Thure calent arae sertisque recentibus halant.

Corripuere viam interea qua semita monstrat; Iamque adscend-bant collem qui plurimus urbi 420 Imminet adversasque adspectat desuper arces. Miratur molem Aeneas, magalia quondam, Miratur portas strepitumque et strata viarum. Instant ardentes Tyrii, pars ducere muros Molirique arcem et manibus subvolvere saxa, 425 Pars optare locum tecto et concludere sulco;

413. Contingere qui ha forza, come nota Heyne, di inferre vim o injuriam.

417. A Venere non si offeriva il sangue delle vittime come alle altre deità.

419. Plurimus sta in vece di maximus. Cosi nelle Georg. II1, 52 plurima cervix.

421. Molem. Cioè la grandezza della città. Magalia quondam, già abitazioni villerecce.

424. I più vogliono che gl' infiniti ducere, moliri, ecc. dipendano da instant.

425. Per solco intendesi qui la fossa scavata per poi gittarvi le fondamenta.

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