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Ci stringiamo, e il grand' occhio unico sotto La torva fronte mezz' ascosto, pari 990 A scudo argivo o a lampade febea,

Con palo aguzzo trivelliamo, alfine
Lieti di vendicar dei nostri l'ombre.
Ma voi fuggite, o sventurati, e tosto,
Su su troncate dal lido la fune;
995 Però che quale e quanto è Polifemo
Che nel suo smisurato antro racchiude
Lanosi greggi, e ne raccoglie il latte,
Altri ben cento albergano Ciclopi
Qua e là per questo sinuoso lido,
1000 Spaventosi a vedersi, e van pei monti
Errando. Già le corna per la terza
Volta fe' in disco ritondar la luna
Dacchè fra questi boschi va stento traggo
Nelle macchie deserte e nelle tane

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1005 Delle fiere la vita, e il capo sporgo
Da una rupe a vederli, e della loro
Voce e del calpestio tremo ed agghiaccio.
Per vitto miserevole gli arbusti

&

M' offron bacche e durissimi corniali;

1010 E strappate dal suol radici d'erbe

Pur mi son cibo. Sempre d'ogni intorno

645. Tertia. Erano scorsi già tre mesi. Lo stesso dice J'Ariosto nelle sue Rime:

Tre volte ha scemo ed altrettante il corno
Ricovrato il pianeta che più tace,

655

Omnia collustrans, hanc primum ad littora classem
Conspexi venientem: huic me, quaecumque fuisset,
Addixi satis est gentem effugisse nefundum.
Vos animam hanc potius quocumque absumite leto.
Vix ea fatus erat, summo quum monte videmus
Ipsum inter pecudes vastu se mole moventem
Pastorem Polyphemum et littora nota petentem,
Monstrum horrendum, informe, ingens, cui lumen
(ademtum,

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Trunca manu pinus regit et vestigia firmat; 660 Lanigerae comitantur oves; ea sola voluptas, Solamenque mali.

Postquam altos tetigit fluctus et ad aequora venit,
Luminis effossi fluidum lavit inde cruorem,

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Dentibus infrendens gemitu, graditurque per aequor 665 Iam medium, necdum fluctus latera ardua tinxit. Nos procul inde fugam trepidi celerare, recepto Supplice, sic merito, tacitique incidere funem; Verrimus et proni certantibus aequora remis. Sensit et ad sonitum vocis vestigia torsit. 670 Verum ubi nulla datur dextra affectare potestas, Nec potis ionios fluctus aequare sequendo;

662. Ad aequora. Molto innanzi nel mare.

663. Lavit.... cruorem. Si, lavò la ferita dell'occhio che ancora stillava sangue. Il C. ha la troppo schifosa espressione: sanguigna c⋅spa.

667 Sic merito. Che ben si era ciò meritato con avvertirci del gran pericolo.

669. Ad sonitum vocis. Qui è detto voce per lo strepito dei remi che battevano le onde.

Guatando, per le prime io queste navi
Giunger qua vidi, e ciecamente ad esse
Tutto m' abbandonai. Bella ventura
1015 Mi fia scampar da una nefanda gente.
Piuttosto voi con qual pena v'aggrada
Questa togliete a me vita angosciosa.

Ciò disse appena, ed ecco al monte in cima Vediam tra il gregge comparir lo stesso 1020 Polifemo pastor che in sua gran mole Si avanzava scendendo al noto lido, Smisurato, deforme, orrendo mostro Che la luce perdè. Troncato pino Stretto in sua man regge e assecura i passi. 1025 L'accompagna di pecore una folta Greggia, unico diletto e delle sue

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Pene ristoro. Poichè dentro gli alti
Flutti i piè pose, e in mar si spinse, il sangue
Terse dello scavato occhio, con rabbia

1030 I denti digrignando e sospirando,

E già cammina in mezzo al mar, nè l' onde
Gli ardui fianchi n' attingono. Lontano
Di là, raccolto il supplice, com' egli
Meritava, a fuggir velocemente

1035 Noi trepidi ci diamo, e a tagliar cheti

Le funi, e in mar con arrancata voga,
..Chini sui remi, a scorrere. Ci intese,
E verso quel rumore ei torse il passo;
Poi come non potè per niuna guisa
1040 Su noi stender la mano, nè l'altezza
Dell' Ionio eguagliar nell' inseguirci,

"

Clamorem immensum tollit, quo pontus et omnes Intremuere undae, penitusque exterrita tellus Italiae, curvisque immugiit Aetna cavernis. 675 At genus e silvis cyclopum ex montibus altis Excitum ruit ad portus, et littora complent. Cernimus adstantes nequidquam lumine torvo Aetnaeos fratres, coelo capita alta ferentes, Concilium horrendum: quales quum vertice celso 680 Aëriae quercus aut coniferae cyparissi

Constiterunt, silva alta Iovis lucusve Dianae. Praecipites metus acer agit quocumque rudentes Excutere et ventis intendere vela secundis ; Contra iussa monent Heleni, Scyllam atque Cha(rybdim 685 Inter utramque viam leti discrimine parvo, Ni teneant cursus. Certum est dare lintea retro. Ecce autem boreas angusta ab sede Pelori Missus adest. Vivo praetervehor ostia saxo Pantagiae megarosque sinus Thapsumque iacentem.

678. Coelo. Per ad coelum.

679. Concilium. Più squisitamente invece di turba.

682. Quocumque. Senza badare ove si andasse, purché si partisse subito di là. V

684. Contra. Il vento ci spingeva verso Scilla e Cariddi, ma noi volendo stare agli avvertimenti di Eleno che ci aveva inculcato di non navigare tra Scilla e Cariddi, eravamo già risoluti di tornare indietro nell' Adriatico, quando ecco il vento Borea, ecc.

686. Ni è per ne all' antica.

Si fiero trasse un ululo che tutto

Il mar tremonne, e le sue rive, e addentro
Spaventata ne fu l'itala terra,

4045 E l'Etna dalle sue caverne cupe

bosco

Ne rimugghiò. Ma concitata accorre
Dalle selve e dai monti alla marina
La razza dei Ciclopi, ed empie il lido.
Ritti scorgiam gli etnei fratelli, invano
1050 Minacciosi guardarci, e l'alte fronti
Al cielo sollevar; concilio orrendo !
Quali da eccelsa cima ergonsi all' aura,
Grandi querce o coniferi cipressi,
Selva che a Giove è dedicata,
1055 Sacro a Diana. Un rio timor ne spinge
Più che di furia a sciogliere le sarte
Ovunque fosse, e col vento che spiral
Tutte vele spiegar. Ma per lo incontro
Siam dai precetti d' Eleno ammoniti
1060 Che non si tenga fra Cariddi e Scilla
Il nostro corso, quinci e quindi scevri
Poco spazio da morte. Eravam fermi
Retro voltar le vele. Ed ecco Borea
Soffiando sopravviene dall' angusto
1065 Valico di Peloro. Oltre corriamo
Le foci di Pantagia irte di scogli,
E i megarico seno e l'umil Tapso.

688. Missus. L' Heyne interpreta veniens nel significato del greco θέμενος,

689. Jacentem. Quasi al livello del mare.

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