Sfuggir tu possa o tollerar le acerbe 720 Ire della fortuna; e, supplicata Che sia da te, con prospero cammino Che porgerti a me lice. Or va', co' fatti Il gran nome di Troia innalza al cielo. 725 Poichè parlato con favella amica Ebbe il vate, ordinò che a' nostri legni D'oro massicce e d' intagliato avorio, E delle prore il seno empie di grande 730 Peso d'argento, e dodonei lebeti Vi pone, e una lorica a maglie, d' oro 735 Ebbe Anchise i suoi doni. Indi cavalli Et tamen hanc pelago praeterlabare necesse est: Ausoniae pars illa procul, quam pandit Apollo. 480 Vade, ait, o felix nati pietate! Quid ultra Provehor et fando surgentes demoror austros? Nec minus Andromache, digressu maesta supremo, Fert picturatas auri subtemine vestes Et phrygiam Ascanio chlamydem, nec cedit honori, 485 Textilibusque onerat donis, ac talia fatur: 490 Accipe, et haec, manuum tibi quae monumenta Sint, puer, et longum Andromache testentur amorem, 482. Nec minus. Nelle espressioni di Andromaca che presenta doni ad Ascanio privo della madre, e tutta s'intenerisce rammentando il suo figliuoletto perduto, v'è una dolcezza malinconica di affetto che tocca profondamente il cuore. 485. Textilibus donis. Niuno dei moderni direbbe come qui il C. copia di biancherie. 490. Sic. Allo stesso modo nell' Odiss. Lib. 4, Menelao, riconoscendo in Telemaco le sembianze stesse del padre dice: Son d'Ulisse le mani, i piè son quelli quelle E il lanciar degli sguardi, e il capo e il crine. 493. Vivite felices. Quanta pietà, dice il Rota, in questa affettuosa invidia dell' infelicissimo esule agli esuli meno Devi sul mare perchè lungi è quella 750 Parte d' Italia che n' accenna Apollo. Vanne, o felice padre che ti onori Della pietà del figlio. A che più innanzi Vesti trapunte in oro, ed una frigia infelici! Quanta gentilezza in quel desiderio di un comune vincolo d'amore tra i discendenti delle due schiatte d'esuli! E tutto ciò quanto è semplice! Iam sua! Nos alia ex aliis in fata vocamur : 495 Vobis parta quies, nullum maris aequor arandum', Arva neque Ausoniae semper cedentia retro Quaerenda: effigiem Xanthi, Troiamque videtis, Quam vestrae fecere manus: melioribus, opto, Auspiciis, et quae fuerit minus obvia Graiis. 500 Si quando Thybrim vicinaque Thybridis arva Intrare gentique meae data moenia cernam, Cognatas urbes olim populosque propinquos, Epiro, Hesperia, quibus idem Dardanus auctor Atque idem casus, unam faciemus utramque Troiam animis: maneat nostros ea cura nepotes. Provehimur pelago vicina Ceraunia iuxta, Unde iter Italiam cursusque brevissimus undis. Sol ruit interea et montes umbrantur opaci, Sternimur optatae gremio telluris ad undam, 540 Sortiti remos, passimque in littore sicco· 505 Corpora curamus; fessos sopor irrigat artus. 500. Si quando. Il poeta allude qui alla città di Nicopoli fatta fabbricare da Augusto dopo la battaglia d' Azio, avendo egli voluto che fosse abitata da quelli dell' Acarnania cogli stessi diritti de' cittadini romani. 506. Ceraunia. Monti sassosi ove l'Epiro termina a settentrione; sono anche detti acrocerauni dal greco acron, punta, e ceraunos, fulmine, perchè sovente sono dal fulmine percossi. Da questo punto il mare prende il nome di adriatico, lasciando quello d'ionio. 510. Sortiti remos. Decidendo, col trarre le sorti, chi do È compiuta; noi siam tratti e sospinti 775 Di fato in fato. A voi pace e riposo Dà il cielo, nè solcar v'è d'uopo alcuna Deh con migliori auspicii, e meno esposta Ci gittiam su la riva, e a' corpi diamo 800 Le membra affaticate il sonno irriga. vesse star la notte presso i remi in nave, e chi dormire in terra. |