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Quae Phoebo pater omnipotens, mihi Phoebus Apollo Praedixit, vobis furiarum ego maxima pando. Italiam cursu petitis: ventisque vocatis Ibitis Italiam, portusque intrare licebit; 255 Sed non ante datam cingetis moenibus urbem Quam vos dira fames nostraeque iniuria caedis Ambesas subigat malis absumere mensas.

Dixit et in silvam pennis ablata refugit. At sociis subita gelidus formidine sanguis 260 Deriguit, cecidere animi; nec iam amplius armis, Sed votis precibusque iubent exposcere pacem, Sive deae, seu sint dirae obscenaeque volucres; Et pater Anchises passis de littore palmis Numina magna vocat, meritosque indicit honores: 265 Di, prohibete minas, dî, talem avertite casum Et placidi servate pios! Tum littore funem Deripere excussosque iubet laxare rudentes.

Tendunt vela noti: fugimus spumantibus undis Qua cursum ventusque gubernatorque vocabat. 270 Iam medio apparet fluctu nemorosa Zacynthos Dulichiumque Sameque et Neritos ardua saxis.

252. Furiarum... maxima. Le Furie talvolta nelle favole si confusero colle Arpie.

235. Datam. Cioè destinata, o prestabilita per voi.

257. Absumere mensas. L'esito di questa ambigua e strana profezia è narrato Lib. VII, 116.

Quello che a Febo il padre onnipossente, 395 E Febo a me predisse, io, delle Furie La maggior, vi disvelo. Il vostro corso Tende all' Italia; ed implorando i venti Voi nell' Italia giungerete, e i porti Entrarne vi fia dato. Ma non prima 400 Di mura la cittade a voi promessa Circonderete, che pel grave insulto Recatoci vi astringa orrida fame A divorarvi le corrose mense.

Ciò detto appena, rapida su l' ali 405 Si rinselvò. Per lo terrore il sangue De' miei gelossi incontanente: ogn' ira Cadde, e già voti e preghi, invece d'armi, Voglion per chieder pace, o fosser dive, O infami e sozzi augelli. Il padre Anchise, 410 Al ciel le palme dalla riva alzate, Invoca i grandi numi, e ci prescrive Che lor sien resi i meritati onori: O Dii, sperdete le minacce, e questo Caso lungi tenete, o Dii benigni, 415 Date scampo a chi voi venera e cole. Indi egli fa comando che ritratta Sia dal lido la fune, e che si allenti Il sartiame disciolto. Un vento amico Gonfia le vele, e noi per le spumanti 420 Onde in fuga corriam dove il cammino Segnan l'aura propizia ed il piloto. E già Zacinto appare in mezzo ai flutti Irta di selve, indi Dulichio e Samo E la petrosa Nèrito; gli scogli

Effugimus scopulos Ithacae, Laërtia regna, Et terram altricem saevi exsecramur Ulixi. Mox et Leucatue nimbosa cacumina montis', 275 Et formidatus nautis aperitur Apollo.

Hunc petimus fessi et parvae succedimus urbi; Ancora de prora iacitur, stant littore puppes. Ergo, insperata tandem tellure potiti, Lustramurque Iovi, votisque incendimus aras, 280 Actiaque iliacis celebramus littora ludis. Exercent patrias oleo labente palaestras Nudati socii: iurat evasisse tot urbes Argolicas mediosque fugam tenuisse per hostes. Interea magnum sol circumvolvitur annum, 285 Et glacialis hiems aquilonibus asperat undas. Aere cavo clipeum, magni gestamen Abantis,

273. Execramur. Cioè fuggiamo con orrore e con maledizioni la terra d'Ulisse. Non è degno dell' epica poesia il modo usato qui dal C.: E bestemmiando trapassiam gli scogli d' Itaca.

275. Formidatus.... ... Apollo.. I tempio a lui dedicato in cima alla rupe di Leucade, luogo famoso per essersi precipitata da quella, in mare l'infelice Saffo. Dice temuto dai nocchieri pei molti scogli, onde era alle navi difficile l'approdarvi.

280. Actia. Lusinga l'amor proprio d' Augusto che per la vittoria navale d? Azio si impadroni del mondo romano. Lo stesso Augusto aveva eretto colà un tempio ad Apollo ed istituiti i giuochi quinquennali. Al che destramente si allude. 286. Clipeum... figo. Costume antico di appendere armi

425 D' Itaca evitiam noi, Laerzio regno,
E il suol malediciam che vita diede
Allo spietato Ulisse. Ecco mostrarsi
Tosto a noi pure le nembose cime
Del monte di Leucate e quel che tanto
430 È riverito dai nocchieri, Apollo.

Noi lassi v' afferriamo, ed entriam tosto
La piccola città; gittasi a prua

L'ancora, e ferme stan le poppe al lido.
Poniamo adunque finalmente il piede

435 Sovra insperata terra, e offriamo a Giove
I sacrificii, e di votivi incensi

Ardon per noi gli altari, e festeggiamo
I lidi d' Azio co' Troiani giochi.
Nudi compagni ed unti, alle palestre,
440 Come è patrio costume, esercitarsi
Godono, e li diletta aver trascorse
Cotante città greche, e per lo mezzo
Degl' inimici essersi spinti a fuga.
Intanto il sole aveva l' annuo giro

445 Compiuto, e i soffi del gelato inverno
Inaspran l'onde. Io di rincontro affiggo
Sulle porte uno scudo d' intagliato

Bronzo che un di dal forte Abante in guerra

in trofeo e specialmente scudi con una scritta da ricordare

qualche fatto glorioso.

290

Postibus adversis figo et rem carmine signo: Aeneas haec de Danais victoribus arma. Linquere tum portus iubeo et considere transtris. Certatim socii feriunt mare et aequora verrunt. Protenus aërias Phaeacum abscondimus arces. Littoraque Epiri legimus portuque subimus Chaonio et celsam Buthroti accedimus urbem. Hic incredibilis rerum fama occupat aures: 295 Priamiden Helenum graias regnare per urbes, Coniugio aeacidae Pyrri sceptrisque potitum, Et patrio Andromachen iterum cessisse marito. Obstupui, miroque incensum pectus amore Compellare virum et casus cognoscere tantos. 300 Progredior portu, classes et littora linquens. Solemnes tum forte dapes et tristia dona

Ante urbem in luco falsi Simoëntis ad undum

287. Carmine. Motto o titolo. Ovidio spesso chiama pure carmen l'iscrizione d'un sepolcro.

Ho tenuto l'esempio del C. che aggiunge la rima a questa specie di epigramma.

Il Leoni ha creduto di servir bene allo stile epigrafico, traducendo il verso con un verso: Da' Danai vincitori Enea quest' armi. Ma tutti vedono che una tale soverchia strettezza di frase per modi ellittici è in italiano difettosa.

291. Aerias. Si dicono poeticamente aeree le cose altissime. Ivi. Abscondimus. Invece di absconduntur nobis. La terra de' Feaci è l'isola di Corcira, detta dai moderni Corfù.

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