Terra apparia, ma d'ogni parte cielo 305 E d'acque immensità, di sopra al capo Mi stette un fosco nagolo recando Notte e tempesta; orrida l' onda appare Vien di lampi e di folgori. Dal nostro Pel mare a caso e incerti. Alfin ci parve Nome dai Greci isole sparse in mezzo d' Arcadia e di Tracia, di cui contaminavano le mense, a punizione de' suoi delitti. Insulae Ionio in magno, quas dira Celaeno Harpyiaeque colunt aliae, phineia postquam Clausa domus, mensasque metu liquere priores. Tristius haud illis monstrum, nec saevior ulla 215 Pestis et ira deûm stygiis sese extulit undis. Virginei volucrum vultus, foedissima ventris Proluvies uncaeque manus et pallida semper Ora fame. Huc ubi delati portus intravimus, ecce 220 Laeta boum passim campis armenta videmus Caprigenumque pecus, nullo custode, per herbas. Irruimus ferro, et divos ipsumque vocamus In partem praedamque Iovem; tum littore curvo Extruimusque toros dapibusque epulamur opimis. 225 At subitae horrifico lapsu de montibus adsunt Harpyiae et magnis quatiunt clangoribus alas, Diripiuntque dapes, contactuque omnia foedant Immundo; tum vox tetrum dira inter odorem. Rursum in secessu longo sub rupe cavata, 230 Arboribus clausi circum atque horrentibus umbris, Instruimus mensas, arisque reponimus ignem ; Rursum ex diverso coeli caecisque latebris 215. Ira deúm. Cioè cosa che viene o è mandata dall' ira degli Dei. 222. Vocamus in partem. Promettiamo di offerire agli Dei, e principalmente a Giove una parte degli animali uccisi in caccia. 226. Quatiunt clangoribus alas. Servio intende che il suono delle ali deile Arpie si assomigli qui dal poeta allo squillar delle trombe. Al grande Ionio; ivi lor nido han posto 335 Dacchè di Fineo la magion si chiuse, E abbandonaro per timor le mense 340 Di Stige eruppe fuor. Gli strani augelli Noi colà spinti v' approdammo, ed ecco Sotto una rupe cava, intorno chiusi 360 D' arbori e di fitte ombre, apparecchiamo Le mense, e riponiam sull' are il foco; Un'altra volta da diversa banda E per nascoste vie quella stridente Turba sonans praedam pedibus circumvolat uncis, Polluit ore dopes. Sociis tunc, arma capessant, 235 Edico et dira bellum cum gente gerendum. Haud secus ac iussi faciunt, tectosque per herbam Ergo, ubi delapsae sonitum per curva dedere Littora, dat signum specula Misenus ab alta 240 Aere cavo. Invadunt socii et nova proelia tentant, Obscenas pelagi ferro foedare volucres. Sed neque vim plumis ullam nec vulnera tergo Accipiunt, celerique fuga sub sidera lapsae Semesam praedam et vestigia foeda relinquunt. 245 Una in praecelsa consedit rupe Celaeno, Infelix vates, rumpitque hanc pectore vocem: Et patrio harpyias insontes pellere regno? 250 Accipite ergo animis atque haec mea figite dicta. 246. Infelix. Trista indovina, o nunzia di calamità. Ivi. Rupit. Esprime il parlare stizzoso e fiero dell' Arpia. 247. Bellum. Non a caso l'arpia Celeno chiama i Troiani con questo nome, perocchè l'ira degli Dei contro Laomedonte era stata cagione di tanti mali. Ingegnosamente essa da l' uccisione degli armenti come cagione del disturbar le vivande e della futura fame che viene predicendo 249. Patrio... regno. Da questo soggiorno che Nettuno, padre nostro, ci assegnò Ivi. Insontes. Perchè non avevano punto nociuto ai Troiani prima che questi uccidessero gli armenti. Torma svolazza con adunchi artigli 365 In su la preda, e i cibi nostri tutti Col suo morso contamina. Allor grido Che si prendano l'armi, e che si debba Da' miei compagni far guerra a si truce Genia di mostri. Com' io dato aveva 370 Comando, essi dispongono celate Spade fra l'erba, ed appiattati scudi Coprono. Dunque appena udi 'l rombazzo Di lor che discendeano a' curvi lidi, Ne diè segnal con la canora tromba 375 Miseno ch' era in alto alla vedetta. Corron sui mostri i miei compagni, in nova Augei del mare. I colpi escono a vuoto, 380 Ricevon su le piume e nelle terga, Divinatrice, e con disdegno un aspro |