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È questo il fin ch' ebbe di Priamo il fato; 850 Per sorte questo termine condusse. A veder arsa Troia e diroccata Pergamo lui che un giorno di cotanti Popoli e terre d' Asia era superbo Dominatore. Gran tronco ei si giace 855 In su la riva, un busto a cui divelto Il capo manca, e innominato un corpo. Ma primamente allor mi si diffuse Fiero intorno un ribrezzo; istupidii; Mi ricorse al pensier la cara immago 860 Del genitore, quand' io vidi il rege Pari a lui d'anni, per crudel ferita, Esalante lo spirto: mi sovvenne Creusa abbandonata, e della mia

Casa il saccheggio, e i rischi a cui soggetto 865 Era il piccolo Iulo. Addietro io guardo Per esplorar qual numero vi sia

De' miei compagni intorno. Aveanmi tutti
Lasciato stanchi, e s' erano d' un gitto.
Precipitati al suolo, o disperati

870 Nel foco spinti. Già de' molti io solo
Era io rimaso, quando rifuggita

o perchè fosse disdicevole ad Enea l'infierire contro una donna, o perchè le cose si narrano tutte diverse da Deifobo Lib. VI, 510. Ma se si togliessero questi, osserva il Wunderlich, si dovrebbe far lo stesso dei 589-601. Quanto alla differente narrazione di Deifebo, egli soggiunge, potè accadere a Virgilio poeta ciò che sappiamo essere accaduto a storici di buona fede, che talora discordano da sè stessi, nelle cose ricavate da diverse fonti, a cui attinsero in due o più luoghi.

Servantem et tacitam secreta in sede latentem Tyndarida adspicio: dant clara incendia lucem 570 Erranti passimque oculos per cuncta ferenti.

Illa, sibi infestos eversa ob Pergama Teucros, Et poenas Danaûm et deserti coniugis iras Praemetuens, Troiae et patriae communis Erinnys, Abdiderat sese atque aris invisa sedebat. 575 Exarsere ignes animo, subit ira cadentem Ulcisci patriam et sceleratas sumere poenas. Scilicet haec Spartum incolumis patriasque Mycenas Adspiciet partoque ibit regina triumpho, Coniugiumque domumque, patres natosque videbit, 580 Iliadum turba et phrygiis comitata ministris ; Occiderit ferro Priamus, Troia arserit igni, Dardanium toties sudarit sanguine litus?

Non ita: namque etsi nullum memorabile nomen Feminea in poena est, nec habet victoria laudem, 585 Exstinxisse nefas tamen et sumsisse merentis

570. Erranti. Enea dunque era già sceso dal tetto del palazzo.

573. Erinnys. Peste, rovina.

574. Invisa. L' Heyne preferisce d' interpretare non veduta o inosservata.

576. Sceleratas poenas. Lo stesso che poenas sceleris.

582. Svdarit. L' Einsio sospetta che qui fosse undarit. 583. Non ita. Impeto naturale nè inescusabile, se tutto si consideri, il momento, il cumulo degli affanni, e il ripensare che colei era la principal cagione degl' infiniti mali e dell' eccidio della patria.

385. Nefas. Cioè nefariam feminam.

La Tindaride scorgo entro le soglie Di Vesta e nel sacrario chetamente Ascosa. A me le vampe dell' incendio 875 Rischiarano la via, mentre ora in questo, Ora in quel lato gli occhi, errando, giro. Paurosa de' Teucri a sè nemici

Fer l'abbattuta Pergamo, e del fio Ce i Greci le serbassero, e dell' ire 880 Dd tradito consorte, ella, comune Erini d' Ilio e della patria, s'era Ivi occultata, e fuor dell' altrui vista Preso l'are sedea. Nell' alma un foco Mi dvampò; già m'era vïolenta 885 Ira uo sprone a vendicar la mia Cadent patria, ed a colpir di pena La sceerata. Or dunque fia che illesa Costei vegga Sparta e la paterna Micene, con trionfo entri regina? Il talamo la casa, i genitori Ed i figlivedrà, con gran corteo D' Iliache 'onne e Frigii servi? Ucciso Sarà Priam di ferro, arsa da fiamme. Troia, e disangue tante volte asperso 895 I Troian lia? Ah no! chè sebben nullo S'acquisti ore e pregio a punir donna, Nè il vincerlasia bello, io senza lode Pur non andred' aver tolto di vita Mostro si abbonando, e scontar pena

-890

900 Fatto alla merivole, e sarammi

Laudabor poenas, animumque explesse iuvabit Ultricis flammae et cineres satiasse meorum. Talia iactabam et furiata mente ferebar; Quum mihi se, non ante oculis tam clara, videndam 590 Obtulit et pura per noctem in luce refulsit Alma parens, confessa deam qualisque vileri Coelicolis et quanta solet, dextraque prihensum Continuit roseoque haec insuper addidit ore: Nate, quis indomitas tantus dolor excitit iras? 595 Quid furis, aut quonam nostri tibi cura recessit? Non prius adspicies ubi fessum aetate parentem Liqueris Anchisen, superet coniuxne reusa Ascaniusque puer, quos omnes undiqe graiae Circum errant acies, et, ni mea cup resistat, 600 Iam flammae tulerint, inimicus et haserit ensis? Non tibi Tyndaridis facies invisa icaenae Culpatusve Paris, divum inclemenia, divům, Has evertit opes sternitque a culrine Troiam. Adspice; namque omnem, quae nur obducta tuenti 605 Mortales hebetat visus tibi et huidu circum

586. Explesse... flammae. Detto alla reca, in luogo di explevisse animum flamma (ira) ultri

596. Nun prius. La vista d' Elen arrabbiandolo, gli trasse dalla memoria la sua famiglia. r Venere gliela ricorda di nuovo. ROTA.

601. Lacaenae. Di Lacedemone os Sparta. È il femminino di Lacon, come Lea, Leaena.

604. Aspice. Imitarono stupendarite questo passo Milton XI del Par. Perd. e Tasso XVI: a Ger. Lib.

Dolce cosa sbramar la sete ultrice
Che nell' animo ferve, e render paghe
Le ceneri de' miei. Queste parole
lo gittava e il furor mi conducea;

905 Quando, non mai si chiara per lo innanzi, S offerse a me la veneranda madre E la notte irraggiò di viva luce.

910

Dea mostrandosi in tutto, e quale e quanta
I Celesti la mirano; e per mano

Mi prese, mi rattenne, e con la rosea
Bocca tai detti sopraggiunse: O figlio,
Che offesa tanto grave in cor ti desta
Le indomit' ire? perchè infurii? o dove
Ando la cura che di noi ti prendi?
915 Non guarderai tu prima ove lasciato
Abbi il tuo genitor dagli anni oppresso?
Se ancora salvi restino la cara

Tua consorte Creusa il fanciulletto
Ascanio? intorno ai quali errano tutte
920 Le Argive schiere d'ogni parte; e s'io
Lor non facessi scudo, avriali il foco
O il brando ostil consunti e divorati.
Ah non della Tindaride Spartana
Il viso che tu abborri, ed il biasmato
925 Rapimento di Paride, ma il fero
Animo degl' Iddii questa possanza

Rovescia e Troia dal suo colmo abbatte.
Guarda (perch' io torrotti appien la nube
Che, stesa innanzi agli occhi, umida appanna

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