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Dunque, dicea, ch' io mi ritragga vinta
Da quest' impresa, e distornar non possa
Il re dei Teucri dall' Italia? Oh contro
Mi sono i fati! E Pallade il navile
De' Greci non poteva incender forse
E in mare essi sommergere, per sola
Colpa e furor dell' Oilide Aiace?
Dalle nubi ella stessa folgorando
Il fuoco rapidissimo di Giove,

Sperse le navi, e il mar turbò coi venti,
E lui che fiamme dal trafitto seno
Esalava, rapi nella bufera,

E lo confisse ad uno scoglio acuto.
Or io che degli Dei godo regina
Essere salutata, io che sorella

E sposa a Giove son, guerra tant'anni
Fo ad una gente. E dopo ciò saravvi
Chi di Giunon la maestade inchini
E supplicante ponga ostie sull'ara?

Ciò volgendo la Dea nell' infiammato
Core, all' Eolia va, patria di nembi,
Loco di furiosi austri fecondo.

Ivi re in un vast' antro Eolo costringe
Imperioso il riluttar dei venti

E chi più de' mortali

Sarà che mi sacrifichi e m'adori?

52. Eoliam. Una delle isole Eolie o di Lipari. È detta patria li nembi perchè i venti son cagione del perturbamento dell'aria e delle repentine piogge,

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Imperio premit, ac vinclis et carcere frenat.
Illi indignantes magno cum murmure montis
Circum claustra fremunt; celsa sedet Aeolus arce,
Sceptra tenens, molliique animos et temperat iras:
Ni faciat, maria ac terras coelumque profundum
Quippe ferant rapidi secum verrantque per auras.
Sed pater omnipotens speluncis abdidit atris,
Hoc metuens, molemque et montes insuper altos
Imposuit, regemque dedit qui foedere certo
Et premere et laxas sciret dare iussus habenas.
Ad quem tum Iuno supplex his vocibus usa est:
Acolo (namque tibi divům pater atque hominum rex:
Et mulcere dedit fluctus et tollere vento),
Gens inimica mihi tyrrhenum navigat aequor,
Ilium in Italiam portans victosque penates:
Incute vim ventis submersasque obrue puppes,
Aut age diversas et disiice corpora ponto.

Sunt mihi bis septem praestanti corpore nymphae,

54. Qui vincula non può significare catene, come osserva l' Heyne dicendo: Vincula per carcerem declarantur, non enim compedes esse possunt. Nella traduzione di Alfieri i venti sono di catene carchi.

57. Vana ed oziosa aggiunta del Caro: realmente adorno di corona e di scettro.

63. Iussus. Sottintendi ab Iove. Il C. l' omise affatto; l' Ambrogi, benchè con frase non molto poetica: Esecutor de' cenni suoi.

....

64. Ad quem · supplex. Vedi come la superbissima Dea tutta si raumilii fino a pregare un Dio minore per ottener la bramata vendetta; che è costume dei superbi. non degli alteri. ROTA. 68. Ilium in Italiam portans. La bellezza di questo modo figurato sparisce nel verso:

E d' Ilio le reliquie, anzi Ilio tutto.

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E i turbini sonori, e tienli a freno
Entro un sicuro carcere. Con grande
Rimbombo essi sdegnosi intorno fremono
Alle chiostre del monte. Eolo, impugnando
Lo scettro, è sopra un' alta roccia assiso,
E l'ire tempra e le baldanze acqueta.
Se ciò non fosse, il mar seco e la terra
Per l'aure porteriano e il ciel profondo
Nella rapina lor travolti e sparsi.
Ma, ciò temendo, li serrò fra buie
Spelonche il Padre onnipossente, e moli
Di monti alti v' impose, e loro diede
Re che, giusta il comando, ne sapesse
Con patto certo o stringere le briglie
O rallentarle. Supplichevol Giuno
Allor gli si rivolse in questi accenti:
Eolo, poichè turbar 'col vento i flutti
O racchetarli ti concesse il padre
De' Numi e Re degli uomini, una gente
A me inimica naviga il tirreno

Mare, in Italia Ilio recando e i vinti 100 Penati suoi. Deh spira ai venti forza, E sommergi le navi e le sprofonda,

O qua e colà le gitta, e in mar disperdi.
I naviganti. Io sette ninfe e sette

Quanto poi stranamente il Bondi abbia tradotto victos Penates colle parole i soggiogati lari ognuno sel vegga.

71. Eolo era stato fino allora infelice nei figliuoli Sisifo, Macareo e Canace. Vedi Ovid. nella lett. di Canace a Macareo. Perciò Giunone gli promette una delle sue ninfe acciò sia egli più fortunato nella prole; e conveniva a Giunone, Dea che presiede ai riti nuziali, di fare ad Eolo una tal proposta.

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Quarum quae forma pulcherrima, Deïopeiam,
Connubio iungam stabili propriamque dicabo,
Omnes ut tecum meritis pro talibus annos
Exigat et pulchra faciat te prole parentem.
Aeolus haec contra: Tuus, o regina, quid optes,
Explorare labor, mihi iussa capessere fas est.
Tu mihi quodcumque hoc regni, tu sceptra Iovemque
Concilias, tu das epulis accumbere divûm.
Nimborumque facis tempestatumque potentem.
Haec ubi dicta,cavum conversa cuspide montem
Impulit in latus; ac venti, velut agmine facto,
Qua data porta, ruunt et terras turbine perflant.
Incubuere mari, totumque e sedibus imis
Una eurusque notusque ruunt creberque procellis
Africus, et vastos volvunt ad litora fluctus.
Insequitur clamorque virum stridorque rudentum.
Eripiunt subito nubes coelumque diemque

76. La risposta d'Eolo accoppia alla squsita gentilezza del cortigiano l'avvedutezza di un Dio minore. Viene a dirle: Tu abbi soltanto la briga di considerar bene ciò che brami da me; io non devo pensar altro, ed avrò il tuo comando per legge. Così egli è ossequente a Giunone, e si premunisce contro il risentimento di Nettuno nel cui regno sta per suscitare lo scompiglio.

78. Niuno saprebbe vedere l'opportunità di questa aggiunta del C. (ben qualificata dall' Algarotti di frivola inezia): Se re può dirsi un che comandi ai venti. Nè si opponga che egli abbia voluto rendere od allargare il senso del quodcumque hoc regni.

80. Potentem. Qui vale dominatore.

81. Cuspide. La punta dell' asta che gli Dei usavano portare a modo di scettro.

88. Veggano gli studiosi come questa mirabile descrizione della tempesta è alterata ed infiacchita dal C.:

Ho d' egregia beltà, fra cui la prima 105 Per avvenenti forme è Deiopea;

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E questa a te con nozze ferme unita
Farò tua propria, a fin che gli anni tutti
Essa menando teco, avventuroso
Padre ti renda di leggiadri figli.

Eolo rispose: Tua sola, o Regina,
Sia cura l'indagar quel che più brami;
A me i comandi adempiere fia bello.
Tu questo regno, qual pur è, mi fai
Stabile, e scettro m' assecuri Giove
115 Sempre benigno; tu mi dài che segga
Al banchetto de' numi, e per te posso
Di nembi aver dominio e di tempeste.

Ció detto al cavo monte egli nel fianco Voltata l'asta diè di cozzo; i venti 120 Ove un varco dischiudesi prorompono Come stretti in un gruppo, e turbinando Rabbuffano la terra. Indi sul mare Piombano, e tutto sossopra dall' imo Lo volgon Euro e Noto, e il procelloso 125 Africo, ed alle rive incontro fanno Impeto vasti flutti. Allor si mesce De naviganti il grido e delle sarte Il cigolar. Le nubi, il cielo e il giorno

Avean già co' lor turbini ripieni

Di polve e di tumnlto i colli e i campi,
Quando quasi in un gruppo ed Euro e Noto
S'avventaron sul mare e fin dall' imo
Lo turbar si che ne fer valli e monti,
Monti, che al ciel quasi di neve aspersi,

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