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Cui per domar nè di Tidide il braccio 305 Nè il valore bastò del Larisseo

Achille, non dieci anni e mille navi.
In questo mezzo, a noj miseri un altro
Sorvien maggiore e più tremendo assai
Caso, e gl' inavvertiti animi turba.
310 Laocoonte éra per sorte eletto
Sacerdote a Nettuno, e gli svenava
Presso altari solenni un pingue toro;
Quand' ecco due da Tenedo pel cheto
Mare (agghiaccio in ridirlo) a rote immense
345 Angui gittarsi noi vediam su l'onde,
E trarre insieme diviati al lido.

Gli erti lor petti e le creste sanguigne
Sopravanzano i flutti; il resto viene
A fior d'acqua strisciando, e sinuose
320 L'ampie terga divincolano: il rombo
Del mar si sente che percosso spuma.
E già tenean la riva, e aspersi d' atro
Sangue e di foco i livid' occhi ardenti
Fischiando si lambivano le bocche
325 Con lingue balenanti. A cotal vista.
Di qua di là fuggiam trepidi e smorti.
Essi a gran lanci si difilan verso
Laocöonte, e pria strettisi ai due
Suoi figli piccioletti ambo i serpenti

330 Li avviticchiano, a morsi divorando

De miseri le membra. Indi lui stesso

Ivi. Agmine certo. Cioè con impeto e dirittamente. Male interpretò il Lconi:

Di schiera in guisa che ordinata move.

Post ipsum auxilio subeuntem ac tela ferentem Corripiunt spirisque ligant ingentibus, et iam, Bis medium amplexi, bis collo squamea circum Terga dati, superant capite et cervicibus altis. 220 Ille simul manibus tendit divellere nodos, Perfusus sanie vittas atroque veneno,

Clamores simul horrendos ad sidera tollit: Quales mugitus, fugit quum saucius aram Taurus et incertam excussit cervice securim. 225 At gemini lapsu delubra ad summa dracones Effugiunt saevaeque petunt Tritonidis arcem, Sub pedibusque deae clypeique sub orbe teguntur.* Tum vero tremefacta novus per pectora cunctis Insinuat pavor; et scelus expendisse merentem Laocoonta ferunt, sacrum qui cuspide robur Laeserit et tergo sceleratam intorserit hastam. Ducendum ad sedes simulacrum orandaque divae Numina conclamant.

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Dividimus muros et moenia pandimus urbis.
Accingunt omnes operi, pedibusqne rotarum
Subiiciunt lapsus, et stuppea vincula collo

224. Incertam. Non abbassata con ben fermo e misurato colpo. Cosi Seneca, Agam. 777: Cervice taurus vulnus incertum ferens. 226. Sub. Cioè fra i piedi dietro lo scudo. HEYNE.

229. Merentem. Appena ocorre qui accennare l'orribile immed ralità di questa favola mitologica, in cui un difensore della patria, ha dagli Dei la pena dovuta ai più sozzi misfatti.

Afferrano che giunto è per alta
E reca l'armi; con ismisurate

Spire il legano, e già due volte avvinto 333 I petto e due con le terga squammose Il collo circondando, alta la testa

Levano e le cervici. Egli ad un tempo

Con le mani sgroppar tenta quei nodi
Tutto intriso di bava e di veneno
340 Le bende sacre, e disperate grida

Al cielo innalza; qual mette muggiti
Il toro quando dall' altar sen' fugge
Piagato, e scossa ha la mal c

Di sopra al collo. Ma ver' alto tempio 345 I due draghi saliscono guizzando Impetuosi, e van della severa

Tritonide alla rocca, e della Diva
Ai piedi si raggruppano, dall' orbe
Dello scudo coperti. Allora invade
350 Un terror novo i trepidanti petti,
Ed afferma ciascun che del suo folle
Ardir Laocoonte avea pagato

Meritamente il fio, dacchè la saera
Mole con scellerata asta nel fianco
335 Ebbe percossa e lesa: e gridan tutti
Che conducasi al tempio il sacro,
E dell' offesa Dea si plachi l'ira.
I muri dividiamo, e nella cinta

Un varco si dischiude; a compier l' opra 360 Ognun gareggia; ai piè sono adattate

Le scorrevoli rote, e al collo stretti

Intendunt. Scandit fatalis machina muros, Foeta armis; pueri circum innuptaeque puellae Sacra canunt funemque manu contingere gaudent; 240 Illa subit mediaeque minans illabitur urbi.

O patria, o divúm domus Ilium, et inclyta bello Moenia Dardanidum, quater ipso in limine portae Substitit, atque utero sonitum quater arma dedere. Instamus tamen immemores caecique furore, 245 Et monstrum infelix sacrata sistimus arce. Tunc etiam fatis aperit Cassandra futuris Ora, dei iussu non unquam credita Teucris. Nos delubra deûm miseri, quibus ultimus esset Ille dies, festa velamus fronde per urbem. Vertitur interea coelum, et ruit oceano nox, Involvens umbra magna terramque polumque Myrmidonumque dolos: fusi per moenia Teucri Conticuere; sopor fessos complectitur artus.

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Et iam argiva phalanx instructis navibus ibat.

239. Sacra. Canzoni sacre, inni.

241. Divûm domus. In bocca al pio Enea dice l' Heyne, questa denominazione è convenientissima. Par che si alluda ai ricchi templi che erano in Troia, o alle mura fabbricate da Apollo e da Nettuno.

242. Quater. Senti l'armonia espressiva che tanto aggiunge di bello alle poetiche eleganze.

245. Infelix. Cioè funesto, o portatore di esterminio alla città. Mal corrisponde fero del Leopardi, miserando dell' Arici.

250. Vertitur. Secondo la volgar credenza degli antichi, che egni notte il cielo si rivolgesse in giro. HEYNE

Il C. ha solamente:

Scende DALL' ocean la notte intanto.

Gran canapi. Così quella fatale

Macchina ascende nelle mura, il seno
Pregna d'armati; inni giulivi intorno
365 Le cantano fanciulli e verginelle,
E con mano toccar godon la fune.
Ell' entra, e minacciosa va per mezzo
Alla cittade. Oh patria! Oh di Dei loco
Ilio, oh mura Dardanie in guerra illustri!
Quattro volte allo stesso limitare
Della porta ristettesi, e altrettante

370

Dal ventre dieder l'armi un gran rimbombo.
E pur noi smemorati e per delirio
Ciechi insistiamo, e lo sciaurato mostro
375 È nella rocca sacra addotto alfine.

Anche allora Cassandra apre ai futuri
Fati la bocca, per voler d' un Dio
Non mai creduta dai Troiani. I templi
Noi miseri, a cui l'ultimo dovea
380 Esser quel di, veliam delle festive
Frondi per la città. Girasi intanto
Il cielo, e sopra il mar la notte cade,
Avvolgendo con grande ombra la terra
Eletra tutto e degli Achei le frodi;
385 Taceano entro le mura i Teucri sparsi:
Le loro stanche membra il sonno avvince.
E da Tenedo già verso le note
Spiagge se ne venia l'armata greca

254. Phalanx. Qui vale classis. L' Heyne dice che si può anche intendere l'esercito imbarcato sulle navi.

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