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CANTO XXXIV.

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ARGOMENTO.

In fondo al pozzo que che tradirono la divina o l'imperial potestà: la regione, da Giuda è chiamata Giudecca. Il P. stimava la potestà imperatoria imagine della divina; perciò col traditore di Cristo accoppia i traditori di Cesare, trovando alcuna corrispondenza tra l'Et tu, Brute..! e l'Amice, ad quid venisti? Fanno scala dei peli di Lucifero, ed escono all'opposto emisfero.

Nota le terzine alla 5; la 7; la 9 alla 22; la 24 alla 27; la 29, 30, 39; la 41 alla 44, con l'ultima.

I.

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Vexilla regis prodeunt inferni

Verso di noi però dinanzi mira,
Disse'l maestro mio, se tu 'l discerni.

Come quando una grossa nebbia spira,
O quando l'emisperio nostro annotta,
Par da lungi un mulin che 'l vento gira,
Veder mi parve un tal dificio allotta.
Poi per lo vento mi ristrinsi retro
Al duca mio; che non v' era altra grotta.
Già era (e con paura il metto in metro)
Là dove l' ombre tutte eran coverte,

I.

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3.

4.

VEXILLA. Abbiamo una canz, di Dante della quale un verso è italiano, uno provenzale, uno latino. Questo è il primo verso d' un inno della chiesa alla croce, cantato nella settimana santa. Il P. che appunto di que' giorni si trova in Inferno, l'applica quasi ironicamente alle ale di Lucifero, il nemico del figlio di Dio. Dice prodeunt; come altrove: s' appressa la città. Si paragonino questi stendardi con que' della chiesa (Purg., XXIX).

SPIRA. Vento nebbioso.

DIFICIO. Inedito della Magliab.: Fenno fare un grandissimo dificio di legname; al quale puoseno nome cavallo di Pallade. Dificio per macchina bellica (Vill., 1. IX, c. 112). — Grotta. Non v'era più scogli, come lassù (XXI, 137). TUTTE. Con tutto il corpo. Più grave il delitto, più grave la pena.

Tomo I.

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II.

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E trasparean come festuca in vetro.

Altre stanno a giacere, altre stanno erte;
Quella col capo, e quella con le piante:
Altra, com' arco, il volto a' piedi inverte.
Quando noi fummo fatti tanto avante
Ch' al mio maestro piacque di mostrarmi
La creatura ch' ebbe il bel sembiante,
Dinanzi mi si tolse, e fe restarmi:
Ecco Dite, dicendo, ed ecco il loco
Ove convien che di fortezza t' armi.

Com' i' divenni allor gelato e fioco,
Nol dimandar, lettor; ch' i' non lo scrivo,
Però ch'ogni parlar sarebbe poco.

I' non mori' e non rimasi vivo;
Pensa oramai per te, s' hai fior d'ingegno,
Qual io divenni, d' uno e d' altro privo.
Lo 'mperador del doloroso regno
Da mezzo 'l petto uscia fuor della ghiaccia,
E più con un gigante i' mi convegno

Che i giganti non fan con le sue braccia.
Vedi oggimai quant' esser dee quel tutto
Ch'a così fatta parte si confaccia.

S'ei fu sì bel com' egli è ora brutto,
E contra 'l suo fattore alzò le ciglia,

BEL. Ezech.: In deliciis paradisi Dei fuisti: omnis lapis pretiosus operimentum tuum. Pier Lombardo (1. II, d. 6), dice che in cielo non era maggior di Lucifero.

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DITE. Nome di Plutone, da Virgilio usato più volte. Un gentile, non ha, secondo Dante, a chiamarlo Lucifero. - ARMI. Isaias (LI, 9): Induere fortitudinem. Ov.: Seque armat et instruit ira. Somma paura nel centro infernale; come gioia suprema nell'altissimo cielo.

PENSA. Provava lo spasimo della dissoluzione e tutta la forza della vitalità. Si noti la gradazione della paura ne' canti I, II, III, VIII, IX, XIII, XVII, XXI, XXIII, XXXI.

'MPERADOR. Nel c. I, chiamò Dio quello Imperador che lassù regna. Virg.: Stygio regi.

11. TUTTO. Se un braccio è più grande d'un gigante, ancor più che un gigante d'un uomo; tutto il corpo viene ad essere mille e più braccia (XXXI, v. 58, 66, 113).

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BEL. IS. (XIV, 11 e 15): Detracta est ad inferos superbia tua .... Ad infernum detraheris, in profundum laci. ALZÒ. V. S. Padri: Ardisce contro ai molti benefizii alzare gli occhi. Lucr.: Mortales tollere contra Est oculos ausus,

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Ben dee da lui procedere ogni lutto.

O quanto parve a me gran maraviglia
Quando vidi tre facce alla sua testa!
L'una dinanzi, e quella era vermiglia:
14. L'altre eran due che s' aggiungéno a questa
Sovresso 'l mezzo di ciascuna spalla,
E si giungéno al luogo della cresta:

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E la destra parea tra bianca e gialla;
La sinistra a vedere era tal, quali
Vengon di là ove il Nilo s' avvalla.

Sotto ciascuna uscivan duo grand' ali
Quanto si conveniva a tant' uccello:
Vele di mar non vid' io mai cotali.
Non avén penne, ma di vispistrello
Era lor modo: e quelle svolazzava
Sì che tre venti si movén da ello.
Quindi Cocito tutto s' aggelava.
Con sei occhi piangeva, e per tre menti

primusque obsistere contra. - LUTTO. Creatura si ingrata ben dev'essere rea d'ogni umano vizio e dolore.

TRE. Chi ci vede le tre parti del mondo; la nera l' Africa, la bianca e gialla l' Asia, la vermiglia l'Europa. Pietro di Dante ci vede la nera ignoranza, l' impotenza livida, l'odio ardente, opposti alla potenza, alla sapienza, all' amore divino. L'Anonimo aggiunge che d' ignoranza, d'ira e d'impotenza fece prova nella sua ribellione Lucifero; e che que'tre mali a lui fanno più prossimo l'uomo ; come i tre beni contrarii lo fanno più prossimo a Dio. Il Rossetti vede nelle facce il simbolo delle tre fiere e delle tre furie: Roma capo de'Guelfi, dall'insegna vermiglia; Firenze, sede de'Neri; Francia dallo stemma de'gigli bianchi e de' gialli. Interpretazione ingegnosa, e conciliabile coll'antica. Ma che in Lucifero sia adombrato Clemente papa, io non credo, sebbene i protestanti del secolo decimosesto in Satanno figurassero il papa, e lo dipingessero coi colori di Dante. Toglievan eglino queste imagini dal P.; non egli da setta alcuna.

AVVALLA. L' Etiopia. Ar. (XV, 64): Veder vuole ove s'avvalli, E quanto il Nilo entri ne' salsi flutti.

ALI. Sei ne dà il P. ai serafini ; e Lucifero era de' serafini.

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PENNE. Andreini, de' diavoli : Viperino è 'l capel, lo sguardo bieco, Gravida di bestemmie ognor la bocca, E bestemmiando sbocca Sulfureo nembo, schifa lava e foco. Son d'aquila le man, di capra il piede, L' ali di vipistrello. SVOLAZZAVA. In Toscana dicono attivamente: tremar le ali. - VENTI. Virg.: Ventosasque addidit alas.

QUINDI. Il vento, sì forte da farsi sentire alla incallita faccia di Dante, gelava il fiume. Il tradimento, e ogni colpa è pena a sè stessa: e il vento delle passioni sebben provenga da ardire soverchio, gela da ultimo le anime. Siccome, dice Pietro di Dante, dal ventilare dell' ali dello spirito di Dio che si aggira sul

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Gocciava pianto e sanguinosa bava.
Da ogni bocca dirompea co' denti
Un peccatore, a guisa di maciulla;
Sì che tre ne facea così dolenti.

A quel dinanzi il mordere era nulla
Verso 'l graffiar, che tal volta la schienal
Rimanea della pelle tutta brulla.

Quell' anima lassù ch' ha maggior pena,
Disse'l maestro, è Giuda Scariotto,

Che'l capo ha dentro, e fuor le gambe mena.
Degli altri duo ch' hanno 'l capo di sotto,
Quei che pende dal nero ceffo è Bruto:
Vedi come si storce, e non fa motto;

E l'altro è Cassio, che par sì membruto.
Ma la notte risurge, e oramai

È da partir: che tutto avém veduto.

Com'a lui piacque, il collo gli avvinghiai,
Ed ei prese di tempo e luogo poste:
E quando l' ale furo aperte assai,

Appigliò sè alle vellute coste:

Di vello in vello giù discese poscia,

l'acque, spiran ordine e amore, così fredda invidia dall'ali del nemico di Dio. Dice la Bibbia: Diabolus, qui seducebat eos, missus est in stagnum ignis et sulphuris. Al nostro parve migliore cacciarlo in istagno gelato, perchè nell'idea del calore è troppa vita. SANGUINOSA. Del sangue de' rei maciullati. Virgil.: Mixtum spumis vomit ore cruorem.

TRE. Apoc., XVI: Vidi de ore draconis,et de ore bestiae, et de ore pseudoprophetae, spiritus tres immundos.

DINANZI. Nella bocca vermiglia: Giuda, il qual riceve altri baci da quelli che diede a Cristo.

LASSU. Tant'alto è Lucifero che sebbene esca solo con mezzo il petto, a guardargli la bocca, Virg. dice lassù.

NOTTE.

22. SOTTO. Fuor della bocca spenzolone. MOTTO. Come uom fermo. I due ingrati a Cesare benefattore del mondo stanno con Giuda ingrato a Gesù. 23. ALTRO. Nella bocca a destra. MEMBRUTO. Cicerone rammenta: L. Cassii adipem. Dante l'avrà forse confuso con C. Cassio, uccisore di Cesare. Virgilio fa dire alla Sibilla: Nox ruit, Aenea; nos flendo ducimus horas. AVVINGHIAI. Trecentista inedito nella Laurenz.: Era sì grasso che nullo l'avrebbe potuto avvinghiare. ASSAI. Lento è il vento dell'ale. Virgilio s' appo

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sta in modo che mentre Lucifero le solleva e le abbassa, e' coste di lui.

possa scendere per le

VELLUTE. Virg. Villosaque saetis Pectora. Le setole di tanto animale dovevano essere sode quasi scale a Virgilio.

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Tra 'l folto pelo e le gelate croste.

Quando noi fummo là dove la coscia
Si volge appunto in sul grosso dell' anche,
Lo duca con fatica e con angoscia

Volse la testa ov' egli avea le zanche,
E aggrappossi al pel, come uom che sale:
Sì che in inferno i' credea tornar anche.
Attienti ben: che per cotali scale,
Disse'l maestro ansando com' uom lasso,
Conviensi dipartir da tanto male.

Poi uscì fuor per lo foro d' un sasso,
E pose me in su l'orlo a sedere:
Appresso porse a me l'accorto passo.
I' levai gli occhi; e credetti vedere
Lucifero com' i' l' avea lasciato,
E vidili le gambe in su tenere.

E s' io divenni allora travagliato,
La gente grossa il pensi, che non vede
Qual era il punto ch' i̇' avea passato.

Levati su, disse 'l maestro, in piede.
La via è lunga, e 'l cammino è malvagio:
E già il sole a mezza terza riede.

ANGOSCIA. Virg.: Superasque evadere ad auras, Hoc opus, hic labor est. Si capovolge con fatica, perchè nel punto ove la forza centripeta è massima. ZANCHE. Gambe: oggidì cianche; come da ciotto, zoppo. Nota Pietro, che questo significa doversi porre sotto i piedi gli abiti rei per escire dal male. SCALE. Inf., XVII: Omai si scende per si fatte scale.

ORLO. Lucifero dal bellico in su è nell'uno emisfero, giù nell' altro. La metà di sopra, mezza è fuori del ghiaccio, mezza nel ghiaccio; la metà di sotto, mezza circondata dallo scoglio, mezza (le gambe cioè) guizza in aria. Virgilio esce dello scoglio attiguo alle cosce di Lucifero, e mette Dante a sedere sull'orlo. Poi fa un picciol salto, dai velli del mostro al luogo ov'è Dante.

LEVAI. S'imagini sempre Lucifero tanto grande che da ogni lato sovrasta al riguardante come montagna.

GROSSA. V. Nuova: Persona grossa.

LUNGA. Devon trascorrere tutto il semidiametro della terra. Il centro distà dalla superficie, dice Pietro, tremilleduecentoquindici miglia; e quello è 'l punto più lontano del cielo: e però più conveniente a Lucifero. Non si creda però che tanto cammino sia misurato dal P. se non in modo simbolico. MALVAGIO. L'usa l'Ar. (XXIX, 71). TERZA. Ii tempo del viaggio è l'equinozio, quando il giorno ha ore dodici. Essendo esso giorno diviso in terza, sesta, nona, vespro; mezza terza è un ottavo di giorno. Nell'altro emisfero sorgeva la notte; in questo dunque doveva essere mezza terza.

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