23. 24. 25. 26. 27. 28. 29. 30. : Che non è nero ancora, e 'l bianco muore. Fêrsi le braccia duo di quattro liste: Come 'l ramarro sotto la gran fersa Così parea, venendo verso l' epe E quella parte donde prima è preso Lo trafitto il mirò, ma nulla disse; Pur come sonno o febbre l'assalisse. specie di giunco spugnosa e porosa (VI, 93). Anon.: Come il papero d'una candela: quello che dinanzi alla fiamma viene oscurando. 27. 28. 29. 30. PERDUTI. Inf., III: Perduta gente. - Di. Crescenz. (II, 20): Del FERSA. Tuttora in Toscana: la sferza del sole. mese di luglio, o dinanzi a'di caniculari. - SIEPE. Virg.: Nunc virides etiam occultant spineta lacertos. FOLGORE. Ar.: Va con più fretta che non va 'l ramarro, Quando il ciel arde, a traversar la via. ACCESO. Armannino: A nuocere più accesi. PRESO. Il bellico. Dottrina, ch' era in Avicenna, e in Egidio Romitano, della formazione del corpo dell' uomo. Tasso (IX, 68): Poi fiere Albin là've primier s' apprende Nostro alimento. Ariosto: Là dove l'alimento prima Piglia il bambin, nel ventre ancor serrato. UN. Buoso degli Abbati, dice Pietro di Dante. SBADIGLIAVA. In Luc., IX, è descritto un avvelenamento sonnifero di ser pente. 31. 32. 33. 34. 35. 36. 37. 31. 32.. 33. 34. 35. 36. 37. Egli il serpente, e quei lui riguardava; Che duo nature mai a fronte a fronte Insieme si risposero a tai norme, Le gambe con le cosce seco stesse FUMMAVAN. Forse ad indicare la caligine in che s'avvolgono i ladri. S'erano, dice l' Anonimo, attossicati a vicenda. SABELLO. Luc., IX: Miserique in crure Sabelli Seps stetit exiguus, quem fixo dente tenacem ec. Parla dell' esercito di Catone ne' deserti di Libia: quivi mori anco Nasidio: Nasidium Marsi cultorem torridus agri Percussit Prester: illi rubor igneus ora Succendit, tenditque cutem. Sabello morì sfatto, Nasidio enfiato. SCOCCA. Purg.: Scocca L'arco del dir. Qui esprime la novità della cosa, che deve pungere con gli strali d'ammirazione. Par., I; Ariosto (XXX, 69). Il pensiero ha differente Tutto da quel che fuor la lingua scocca. CADMO (Met., III). ARETUSA (Met., V), Pone la sua pittura più alto che quelle di Lucano e d'Ovidio. A ragione. Ovidio e Lucano, dic'egli, mutan le forme io muto la materia insieme e la forma. NATURE. Pietro di Dante: Naturaliter fieri non potest ut forma mutetur in aliud corpus, nam aliter quantitas verteretur in substantiam, quod Aristoteles negat, ubi dicit quod sola substantia est susceptibilis contrariorum secundum se. RISPOSERO. Corrisposero. Virg.: Dictis respondent cetera matris. ORME. Piedi. Virg.: Vestigia primi Alba pedis. Sannaz.: E coi vestigii santi Calchi le stelle. APPICCAR. Questa trasformazione dà a pensare che tutti i serpenti della valle sien ladri; e a vicenda si trasmutino. TOGLIEA. Virg. Sumere formas. - PERDEVA. De' piedi. Luc.: Pereunte figu : 38. 40. 41. 42. 44. 45. 38. 39. ra. 40. 41. 42. 43. 44. Si facea molle, e quella di là dura. I' vidi entrar le braccia per l'ascelle; Mentre che 'l fummo l' uno e l'altro vela L'un si levò, e l'altro cadde giuso; Quel ch'era dritto, il trasse 'nver le tempie; Ciò che non corse indietro e si ritenne, Come face le corna la lumaccia. 45. E la lingua ch' aveva unita e presta, DURA. Dura la pelle dell'uomo mutato in serpe. ti squamas increscere sentit. VIDI. Pittura difficile e nuova e di maravigliosa evidenza. La bellezza sta tutta nelle particolarità, che gl'ingegni forti amano, ma le sanno scegliere: i mediocri le ammontano, e fanno confusione e frastaglio. Le bellezze di Dante stanno nell' insistere sopra un' idea e cercare la poesia nel fondo di quella, stanno nel riguardare il vero da vicino, e coglierlo nelle sue pieghe. COLOR. Il fumo, emanazione dell'una e dell'altra natura, dà il colore del serpe all' uomo, dell' uomo al serpe. Ovid.: Nigraque caeruleis variari corpora guttis. CADDE. Ovid. Ut serpens, in longam tenditur alvum.- LUCERNE. Per occhi, è nel Burchiello, e nell'uso toscano d'oggidì. Vangelo: Lucerna corporis tui est oculus tuus. Gli occhi rimanevan ferini nel novell' uomo, umani nel serpe. SCEMPIE. Che prima erano scempie, senz'orecchi. LUMACCIA. Lumaca. È in Giovanni Villani. FENDE. Biforcute credevansi le lingue de' serpi. Ovid. (IX, 65): Cumque fero movi linguam stridore bisulcam. 46. 47. 48. 49. 50. 51. 46. 47. 48. 49. 50. 51. L' anima ch' era fiera divenuta, E avvegna che gli occhi miei confusi Ch'io non scorgessi ben Puccio sciancato; L'altro era quel che tu, Gaville, piagni. FUGGE. Ovid.: Junctoque volumine serpunt; Donec in appositi nemoris subiere latebras. SUFOLANDO. Il fischio è de' ladri: dice Pietro di Dante. ALTRO. Puccio Sciancato. - Buoso. Il novello serpente. Armannino, de'golosi: D'ora in ora mutano loro forma: ora paiono porci, or lupi, or draghi, per divorare parati. ZAVORRA. Arena, perchè per zavorra si mette anco rena. - NOVITA'. Nelle Rime: Cose ch'uom non può ritrarre Per loro altezza e per loro esser nove ....; el. IV (c. 1): Udite il ragionar ch'è nel mio core; Ch'i' nol so dire altrui, si mi par novo. FIOR. Alcun poco (XXXIV, 9): S'hai fior d'ingegno. ABBORRA. Erra, non è ferma e precisa al solito: l'usa Fazio. O: abborrisce i fiori del dire. O si stende (da borra, cosa soverchia e dappoco), più che non converrebbe. Il primo pare il più vero. : SMAGATO (Purg., III, 4). Smarrito. Smagare per disperdere vive in Toscana. CHIUSI. Per nascosti ; altrove parlar chiuso. Chiuso per coperto s'usava anco in prosa (Ott., II, 442). PUCCIO. De' Galigai. L'ALTRO. Che feri Buoso, e tornò uomo, è Francesco Guercio o Guelfo Cavalcante, ucciso in Gaville, castel di Val d'Arno; il quale pianse non la sua morte, ma per la sua morte, da che per vendetta di lui molti furono uccisi di quegli abitanti. Tre de' fiorentini ladri appariscon da prima: Agnolo, Buoso, Pnccio: Agnolo domanda ov'è Cianfa : Cianfa, in forma di serpe a sei piedi, viene e s'incorpora a lui. Buoso, assalito da un serpentello ch'è Guercio Cavalcante, si trasforma in serpe; Guercio in uomo. Il solo che non muti, gli è Puccio. CANTO XXVI. 199 ARGOMENTO. Rimontano dall' argine al ponte, poichè la testa del ponte fa un rialzo sull'argine, e giungono sopra la nona bolgia, di que' che la frode esercitarono in cose di guerra. Vanno ravvolti in una fiamma che si move con loro; a significare, dice Pietro, che i tristi consigli son faville d'incendio. Vengono in una fiamma insieme Ulisse e Diomede ; uniti a mal fare quando tolsero il Palladio di Troia, quand entrarono notturni nel campo nemico, e uccisero Dolone per via. Ulisse narra il modo e il luogo della sua fine. Nota le terzine 1, 2, 4; la 6, alla 15; la 19, 20, 25, 27, 29, 30, 32, 33, 34, 39, 40, 41, 43, 45, 47. 1. 2. 3. 4. 1. 2. 3. 4. E Godi, Firenze, poi che se' sì grande Che per mare e per terra batti l' ali, Ma se presso al mattin del ver si sogna, ALI. Ar. (XVIII, 87): Di Grifon celebre il nome Per tutta la città batter le penne. Ennio: Volito vivo' per ora virúm. L'elogio era vero, quindi più amara l'ironia. ram SALI. Cic. (Orat.): Propter quem ascendit in tantum honorem eloquentia. SOGNA (Pur., IX): Era ed è opinione del volgo. Ovid. (Her. XIX): Sub AuroSomnia quo cerni tempore vera solent. Dante sognava continovo la pena della parte nemica. SENTIRAI. Accenna forse alla ruina micidiale del Ponte alla Carraia, all'incendio di millesettecento case, alle discordie de' Bianchi e de' Neri avvenute nel 1304. E forse accenna a' mali avvenire più terribili ancora. PRATO. Sua vicinissima, e oppressa già da Firenze. PER TEMPO. Troppo presto. Petr.: Il ciel m' aspetta : a voi parrà per tempo. |