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Cosa non fu dagli tuoi occhi scorta
Notabile, com'è 'l presente rio

Che sopra sè tutte fiammelle ammorta.
Queste parole fûr del duca mio:
Perchè l pregai che mi largisse 'l pasto
Di cui largito m' aveva 'l disio.

In mezzo 'l mar siede un paese guasto,
Diss' egli allora, che s' appella Creta,
Sotto 'l cui rege fu già 'l mondo casto.

Una montagna v'è che già fu lieta
D'acque e di fronde, che si chiamò Ida:
Ora è diserta, come cosa vieta.

Rea la scelse già per cuna fida
Del suo figliuolo: e per celarlo meglio,
Quando piangea, vi facea far le grida.

Dentro dal monte sta dritto un gran veglio,
Che tien volte le spalle inver Damiata,
E Roma guarda sì come suo speglio.

AMMORTA. È nel Cresc. (II, 27), e nelle R. di Dante. E Albertano: Le saette affocate ammortare.

31. PASTO. La metaf. del cibo applicata alle conoscenze della mente torna frequentissima nel Poema. E l'ha Plat. più volte.

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MAR. Ne parlano Ovid. e Isidoro (X, 13). Virg.: Creta Jovis magni medio jacet insula ponto. GUASTO. Lat.: Vastatus. Non ha più le cento città delle quali Virg., III. CRETA. Posta quasi nel mezzo del mondo allor conosciuto. ·SOTTO. Aurea quae perhibent, illo sub rege fuere Saecula: sic placida populos in pace regebat (Virg., VIII). CASTO. (OV., Met., I). Per puro; latinismo noto. Ma forse accenna a quel di Giovenale: Credo pudicitiam Saturno rege moratam In terris. Virg. (Aen., VI), promette rinnovellata sotť’Augusto la felicità di Saturno: e però Dante lo nomina quasi primo simbolo della monarchia da sè vagheggiata.

MONTAGNA. Virg. : Mons Idaeus ubi, et gentis cunabula nostrae. Creta origine de' Troiani, vale a dire dell' impero romano. E il vecchio guarda a Roma. Il P. chiama quell'isola cosa vieta, per indicare l'antichità tenebrosa de' primi secoli; e forse la dimenticanza delle vere origini della buona monarchia. LIETA. Curzio: Colles frondibus laeti. Virg.: Humus, dulcique uligine laeta. FRONDE. Virg. Idaeumque nemus.

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REA. Virg.: Hinc mater cultrix Cybele Corybantiaque aera.— FIDA. Virg.: Hinc fida silentia sacris.

DRITTO. Il mondo. Lo fa diritto per indicare la serie non interrotta delle umane cose.DAMIATA. Creta è in retta linea tra Damiata d'Egitto e Roma. Nota il Costa accennarsi alla monarchia egizia e al romano impero. I più intendono l'antica idolatrica civiltà, e per Roma il centro del nuovo universo. Par., XXXII: Che a Cristo venuto ebber li visi.

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La sua testa è di fin oro formata,
E puro argento son le braccia e 'l petto;
Poi è di rame infino alla forcata.

Da indi in giuso è tutto ferro eletto,
Salvo che 'l destro piede è terra cotta:
E sta 'n su quel più che 'n su l'altro, eretto.
Ciascuna parte, fuor che l' oro, è rotta
D'una fessura che lagrime goccia,
Le quali accolte foran quella grotta.

Lor corso in questa valle si diroccia;
Fanno Acheronte, Stige, e Flegetonta;
Poi sen va giù per questa stretta doccial

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ARGENTO. OV. (Met.): Postquam, Saturno tenebrosa in Tartara misso, Sub Jove mundus erat; subiit argentea proles. RAME. Daniele del sogno di Nabucodonosor: Et ecce ... statua... grandis ... stabat contra te, Hujus statuae caput ex auro optimo pectus de argento

...

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venter ex aere ...

Tibiae... ferreae, pedum ... pars ... ferrea,... quedam autem fictilis. In questa statua Daniele vedeva gl'imperii del mondo antico. Dante vuol forse rappresentare e le epoche del mondo morale e civile; e le varie nature degli uomini santi, buoni, men buoni, cattivi, pessimi, e vili. Congiungendo l'idea biblica con la tradizione mitologica delle quattro età del mondo, da Ov. descritte, congegna l'imagine simbolica dell' umana vita e fors' anco, siccome vuole il Costa, del progresso de governi monarchici. Questo canto dimostra meglio d'ogni altro con quali fini accoppiasse Dante nel suo poema la mitologia con la storica verità. E' riguardava quella come simbolo della verità stessa, come deposito delle antichissime tradizioni del genere umano. E si compiaceva in quegli autori principalmente, poeti o filosofi, che dalla favola facevano trasparire le sembianze del vero.

TERRA. Gioven., s. XIII: Nona aetas agitur, pejoraque saecula ferri Temporibus ; quorum sceleri non invenit ipsa Nomen, et a nullo posuit natura metallo. Qui cade notare quello che dice del P. il Bocc.: Familiarissimo divenne di Virgilio, d' Orazio, d' Ovidio, di Stazio e di ciascun altro poeta fa

moso.

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38. ROTTA. La fessura indica la perduta integrità dell'umana innocenza. LAGRIME. Bello presentare i vizii e i peccati come un rivo di lagrime, le quali corrono a tormentare i dannati; come dire che il delitto pcna a sè stesso. Boet.: Improbis nequitia ipsa supplicium est. QUELLA. Dell' Ida. CORSO. Per Acheronte tragittano le anime, passano cioè per quel fiume di lagrime che da' lor vizii deriva: Stige è tormento agli iracondi e ad altri; Flegetonte a'tiranni. Esce della selva, c traversa l'arena, e va in fondo all'abisso l'acqua che fa Cocito. Com'è, si dirà, che le lagrime accolte facciano quattro fiumi, uno de'quali ha colore sanguigno? Forse la natura del girone è tale da render sanguigna l'acqua che per esso discorre. Ma di questo non dà ragione il P. Quello che taluno potrebbe forse affermare si è che di questo fiume il quale viene dalla terra, gli fosse ispirata l'idea da quell' Eridano che scende nell' Eliso, e che Virgilio dipinge.

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Insin là ove più non si dismonta.
Fanno Cocito: e qual sia quello stagno,
Tu 'l vederai; però qui non si conta.
Ed io a lui: se'l presente rigagno
Si deriva così dal nostro mondo,
Perchè ci appar pure a questo vivagno?
Ed egli a me: tu sai che 'l luogo è tondo,
E tutto che tu sii venuto molto
Pure a sinistra giù calando al fondo,

Non se' ancor per tutto 'l cerchio vôlto.
Perchè se cosa n' apparisce nuova,
Non dee addur maraviglia al tuo volto.

Ed io ancor: maestro, ove si truova
Flegetonte e Letéo? che dell' un taci,
E l'altro di' che si fa d' esta piova.

In tutte tue question certo mi piaci,
Rispose: ma'l bollor dell' acqua rossa
Dovea ben solver l' una che tu faci.

Lete vedrai, ma fuor di questa fossa,
Là ove vanno l' anime a lavarsi,
Quando la colpa pentuta è rimossa.

Poi disse: omai è tempo da scostarsi
Dal bosco. Fa che diretro a me vegne.
Li margini fan via che non son arsi,
E sopra loro ogni vapor si spegne.

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LA'. Al centro. V. Inf., XXXIV.

SI DERIVA. Crescenz. (1. VI): Le piove che vi caggiono se ne derivino e scolino. - VIVAGNO. Inf., XXIII. Orlo di girone. Nel Par., IX, vivagno è per orlo

di veste.

SINISTRA. Dante volge sempre a man manca: talchè, quando sarà in fondo all'abisso, avrà percorsa, scendendo, tutta la circonferenza del mondo infernale. La forma dell'Inferno, nota il Boccaccio, è in Dante un cono diritto, la cui punta è nel centro della terra, la bocca alla superficie: e si scende quasi per iscala a chiocciola.

LETEO. L'usa Armannino per Lete. PIOVA. Delle lagrime che piovono dal gran vecchio. Pet.: Piovonmi amare lagrime dal viso. ROSSA. Flegetonte. Virg.: Flammis ambit torrentibus

LAVARSI (Purg., XXXIII).

...

Phlegethon.

FAN. Modo virgiliano. ARSI. Sugli argini il fuoco che cade è vinto dal ru

scello che corre.

CANTO XV.

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ARGOMENTO.

Siccome l'esalazioni de' vapori spengono un lume, e quelli segnatamente della palude ov' era Soddoma, così da'vapori del ruscello è ammorzata sui margini la fiamma che cade; onde i P. camminano illesi. E allontanatisi gran tratto dalla selva de suicidi, si trovano non più tra' dispregiatori di Dio, ma tra' violenti contro natura. Quivi incontra Brunetto; e parlano di Firenze, e delle sventure al P. destinate. Vede ivi molti dotti famosi, trista qualificazione dei dotti di quella età. Poi Brunetto si fugge per raggiungere la sua schiera, poichè sono in varie schiere questi dannati divisi, secondo le varie maniere di peccare contro natura, dice il figlio di Dante.

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Nota le terzine 3; la 5 alla 15; la 19, 20; la 26 alla 29; la 31, 34, 39, 40, 41.

I.

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Ora cen porta l' un de' duri margini;

E'l fummo del ruscel di sopra aduggia
Sì che dal fuoco salva l'acqua e gli argini.
Quale i Fiamminghi tra Guzzante e Bruggia,
Temendo 'l fiotto che inver lor s' avventa,
Fanno lo schermo perchè 'l mar si fuggia;

E quale i Padovan lungo la Brenta,
Per difender lor ville e lor castelli,
Anzi che Chiarentana il caldo senta;

A tale immagine eran fatti quelli,
Tutto che nè sì alti nè sì grossi,

DURI. Indurati dall'acqua (c. XIV).

GUZZANTE. Villa lontana cinque leghe da Bruges. Bruggia la chiama anco il Vill. (VIII, 32).

CHIARENTANA. Parte dell' Alpe ove nasce la Brenta, e dove le molte nevi risolute dal caldo fanno gonfiare detto fiume sì che senza gli argini, dice l' Anon., offenderebbe mezzo il contado di Padova. Nel 1306 Dante fu in questa città.

Tomo I.

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II.

state.

Qual che si fosse, lo maestro felli.
Già eravam dalla selva rimossi
Tanto ch'i' non avrei visto dov' era,
Perch' io 'ndietro rivolto mi fossi;

Quando 'ncontrammo d' anime una schiera
Che venia lungo l'argine: e ciascuna
Ci riguardava come suol da sera

Guardar l'un l'altro sotto nuova luna,

E sì ver noi aguzzavan le ciglia
Come vecchio sartor fa nella cruna.

Così adocchiato da cotal famiglia,
Fu' conosciuto da un che mi prese
Per lo lembo, e gridò: qual maraviglia?
Ed io, quando 'l suo braccio a me distese,
Ficcaï gli occhi per lo cotto aspetto,
Sì che 'l viso abbruciato non difese

La conoscenza sua al mio 'ntelletto;
E, chinando la mano alla sua faccia,
Risposi siete voi qui, ser Brunetto?

:

E quegli: o figliuol mio, non ti dispiaccia Se Brunetto Latini un poco teco

MAESTRO. Artefice, voce dell'uso. Inf., XXX: A cinger lui qual che fosse il maestro Non so. Inf., III (della porta disperata): Fecemi la divina Pote6. SERA. Virg.: Ibant obscuri sola sub nocte per umbram Quale per incertam lunam sub luce maligna Est iter... Agnovitque per umbram Obscuram, qualem primo qui surgere mense Aut videt aut vidisse putat per nubila

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lunam.

FAMIGLIA. C. IV: Filosofica famiglia. — LEMBO. L'argine er'alto, se somigliava a que' del Belgio e del Padovano.

COTTO. Virg. Glebasque ... coquat maturis solibus aestas. - DIFESE. Vietò. Novell. Avea difeso sotto pena del cuore che niuno tornasse.

BRUNETTO. Maestro di Dante, dice l'Anon., in certa parte di scienza morabe; al dir del Boccaccio, nella filosofia naturale: nato nel 1220, visse guelfo, e fu da Firenze esiliato, chi dice per fallo di scrittura pubblica ch'e' non volle correggere poi, chi per fallo maggiore. Autorevole cittadino, gioviale, modesto mondano lo chiama Giov. Villani, ma gran filosofo e sommo maestro in rettorica e in digrossare i Fiorentini, e farli scorti in ben parlare e saper reggere la repubblica. Filippo lo dice iracondo. Il P. lo colloca tra i soddomiti, sebbene non sia del Latini l' infame Pataffio: nè si può credere che il P. lo calunnii, egli che gli si mostra si rispettosamente affezionato. Mondano del resto si chiama il Latini stesso nel suo Tesoretto. Andò ambasciatore ad Alfonso re di Castiglia perchè reprimesse Manfredi. Mori nel 1294, nel 1260 esule in Francia, nel 1269 ripatriò.

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