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lina fu quasi al tutto morta e disfatta, dove mi trovai non fanciullo nell' armi, e dove ebbi temenza molta, e nella fine grandissima allegrezza per li varj casi in quella battaglia: queste sono le parole sue. Ora la cagione di sua cacciata voglio particolarmente raccontare; perocchè è cosa notabile, e il Boccaccio se ne passa così asciuttamente, che forse non gli era così nota, come a noi, per cagione della Storia, che abbiamo scritta. Avendo prima avuto la Città di Firenze divisioni assai tra' Guelfi, e Ghibellini, finalmente era rimasa nelle mani de'Guelfi ; e stata assai lungo spazio di tempo in questa forma, sopravvenne di nuovo un' altra maladizione di parte intra Guelfi medesimi, i quali reggevano la Repubblica, e fu il nome delle Parti, Bianchi, e Neri. Nacque questa perversita prima ne' Pistolesi, e massime nella famiglia de'Cancellieri; ed essendo già divisa tutta Pistoja, per porvi rimedio fu ordinato da' Fiorentini, che i Capi di queste Sette venissero a Firenze, acciocchè là non facessero maggior turbazione. Questo rimedio fu tale, che non tanto di bene fece a' Pistolesi, per levar loro i Capi, quanto di male fece a' Fiorentini, per tirare a sè quella pestilenza. Perocchè avendo i Capi in Firenze parentadi e amicizie assai, subito accesero il fuoco con maggiore incendio, per diversi favori, che aveano da' parenti e dalli amici, che non era quello, che lasciato aveano a Pistoja. E trattandosi di questa materia publice, et privatim, mirabilmente s'apprese il mal seme, e divisesi la Città tutta in modo, che quasi non vi fu famiglia nobile, nè plebea, che in se medesima non si dividesse; nè vi fu uomo particolare di stima alcuna, che non fosse dell' una delle Sette. E trovossi la divisione essere tra' fratelli carnali; che l'uno di quà, e l'altro di là teneva. Essendo già durata la contesa più mesi, e moltiplicati gl'inconvenienti non solamente per parole, ma ancora per fatti dispettosi e

acerbi, cominciati tra' giovani, e discesi tra gli uomi ni di matura età, la Città stava tutta sollevata e so~ spesa. Avvenne, ch'essendo Dante de'Priori, certa ragunata si fè per la parte dei Neri nella Chiesa di Santa Trinita. Quello, che trattassero, fu cosa molto segreta, ma l'effetto fu di far opera con Papa Bonifazio ottavo, il quale allora sedeva, che mandasse a Firenze Messer Carlo di Valois, de'Reali di Francia, a pacificare e a riformare la città. Questa ragunata sentendosi per l'altra parte de'Bianchi, subito se ne prese suspizione grandissima, intantochè presero, l'armi, e fornironsi d'amista, e andarono a'Priori, aggravando la ragunata fatta, e l'avere con privato consiglio presa deliberazione dello stato della Città: e tutto esser fatto, dicevano, per cacciarli di Firenze; e pertanto domandavano a' Priori, che facessero punire tanto prosuntuoso eccesso. Quelli, che aveano fatta la ragunata, temendo ancora essi, pigliarono l'armi, e appresso a' Priori si dolevano delli avversarj che senza deliberazione pubblica s'erano armati, e fortificati, affermando, che sotto varj colori li volevano cacciare, e domandavano a'Priori, che li facessero punire, si come turbatori della quiete pubblica. L'una Parte, e l'alra, di fanti, e d'amista fornite s'erano. La paura e il terrore, e il pericolo era grandissimo. Essendo adunque la Città in armi e in travagli, i Priori per consiglio di Dante provvidero di fortificarsi della moltitudine del Popolo; e quando furono fortificati, ne mandarono a'confini gli uomini principali delle due Sette, i quali furono questi: Messer Corso Donati, Messer Geri Spini, Messer Giacchinotto de'Pazzi, Messer Rosso della Tosa, e altri con loro: tutti questi erano per la Parte Nera, e furono mandati a'confini al Castello della Pieve in quel di Perugia. Dalla Parte de' Bianchi furon mandati a'confini a Serezzana Messer Gentile, e Messer Torrigiano de'Cerchi, Guido Cavalcanti, Bạ

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schiera della Tosa, Baldinaccio Adimari, Naldo di Messer Lottino Gherardini, ed altri. Questo diede gravezza assai a Dante, e contuttochè lui si scusi, come uomo senza Parte, nientedimanco fu riputato, che pendesse in Parte Bianca, e che gli dispiacesse il Consiglio tenuto in Santa Trinità di chiamar Carlo di Valois a Firenze, come materia di scandolo e di guai alla Città: e accrebbe l'invidia, perchè quella parte di Cittadini, che fu confinata a Serezzana, subito ritornò a Firenze; e l'altra ch'era confinata a Castello della Pieve, si rimase di fuori. A questo risponde Dante, che quando quelli da Serezzana furono rivocati esso era fuori dell' uficio del Priorato, e che a lui non si debba imputare. Più dice, che la ritornata loro fu per l'infirmità e morte di Guido Cavalcanti, il quale ammalò a Serezzana per l'aere cattiva, e poco appresso mori. Questa disagguaglianza mosse il Papa a mandar Carlo a Firenze, il quale essendo per riverenza del Papa e della Casa di Francia onorevolmente ricevuto nella Città, di subito rimise dentro i Cittadini confinati, e appresso cacciò la Parte Bianca. La cagione fu per rivelazione di certo trattato fatto per Messer Pietro Ferranti suo Barone, il quale disse essere stato richiesto da tre Gentiluomini della Parte Bianca, cioè da Naldo di Messer Lottino Gherardini, da Baschiera della Tosa, e da Baldinaccio Adimari, di adoperar sì con Messer Carlo di Valois, che la loro parte rimanesse superiore nella Terra: e che gli aveano promesso di dargli Prato in Governo, se facesse questo: e produsse la scrittura di questa richiesta e promessa co'suggelli di costoro. La quale scrittura originale io ho veduta, perocchè ancor oggi è in Palagio con altre scritture pubbliche; ma quanto a me, ella mi pare forse sospetta, e credo certo, ch' ella sia fittizia. Pure quello che si fusse, la cacciata seguitò di tutta la Parte Bianca, mostrando Carlo grande sdegno di questa richie

sta e promessa da loro fatta. Dante in questo tempo non era in Firenze, ma era a Roma, mandato poco avanti Ambasciadore al Papa, per offerire la concordia e la pace de'Cittadini; nondimanco per isdegno di coloro, che nel suo Priorato confinati furono della parte Nera, gli fu corso a casa, e rubata ogni sua cosa, e dato il guasto alle sue possessioni; e a lui, e a Messer Palmieri Altoviti dato bando della persona, per contumacia di non comparire, non per verità d'alcun fallo commesso. La via del dar bando fu questa; che legge fecero iniqua e perversa, la quale si guardava in dietro, che il Podestà di Firenze potesse e dovesse conoscere i falli commessi per l'addietro nell'uficio del Priorato, contuttochè assoluzione fusse seguita. Per questa legge citato Dante per Messer Conte de'Gabbrielli allora Podestà di Firenze, essendo assente, e non comparendo, fu condannato, e sbandito, e pubblicati i suoi be→ ni, contuttochè prima rubati e guasti. Abbiamo detto, come passò la cacciata di Dante,e perchè cagione e perchè modo: ora diremo qual fusse la vita sua nell'esilio. Sentita Dante la sua ruina, subito partì di Roma, dove era Ambasciadore, e camminando con gran celerità ne venne a Siena. Quivi intesa più chiaramente la sua calamità, non vedendo alcun riparo, deliberò áccozzarsi con gli altri Usciti, e il primo accozzamento fu in una congregazione degli Usciti, la quale si fe a Gorganza, dove trattate molte cose finalmente fermarono la sedia loro ad Arezzo, e quivi ferono campo grosso, e crearono loro Capitano il Conte Alessandro da Romena; feron dodici Consiglieri, del numero de' quali fu Dante: e di speranza in speranza stettero infino all'anno milletrecentoquattro; e allora fatto sforzo grandissimo d'ogni loro amista, ne vennero per rientrare in Firenze con grandissima moltitudine, la quale non solamente da Arezzo, ma da Bologna, e da Pistoja con loro si congiunse, e giugnen do improvvisi subito přesero una porta di Firenze,

vinsero parte della Terra; ma finalmente bisognẻ sẽ n'andassero senza frutto alcuno. Fallita dunque questa tanta speranza, non parendo a Dante più da perder tempo, partì d'Arezzo, e andossene a Verona, dove ricevuto molto cortesemente da'Signori della Scala, con loro fece dimora alcun tempo; e ridussesi tutto a umilta, cercando con buone opere e con buoni portamenti riacquistare la grazia di poter tornare in Firenze per ispontanea rivocazione di chi reggeva la Terra; e sopra questa parte s'affaticò assai, e scrisse più volte non solamente a'particolari Cittadini del Reggimento, ma ancora al popolo; e intra l'altre un' Epistola assai lunga, che incomincia: popule mee, quid feci tibi? Essendo in questa speranza di ritornare per via di perdono, sopravvenne l'elezione di Arrigo di Luzinborgo Imperadore, per la cui elezione prima, e poi la passata sua, essendo tutta Italia soilevata in speranza di grandissime novita, Dante non potè tenere il proposito suo dell'aspettare grazia, ma levatosi coll'animo altiero, cominciò a dir male di quelli, che reggevano la Terra, appellandoli scellerati è cattivi, e minacciando loro la debita vendetta per la potenza dell' Imperadore; contro la quale, diceva esser manifesto, ch'essi non avrebbon potuto avere scampo alcuno. Pure, li tenne tanto la riverenza della Patria, che venendo l'Imperatore contro a Firenze, e ponendosi a campo presso alla Porta, non vi volle essere, condo lui scrive, contuttochè confortatore fosse stato di sua venuta. Morto poi l'Imperador Arrigo, il quale nella seguente state morì a Buonconvento, ogni speranza al tutto fu perduta da Dante: perocchè di grazia lui medesimo si avea tolto la via per lo sparlare e scrivere contro a' Cittadini, che governavano la Repubblica; e forza non ci restava, per la quale più sperar potesse. Sicchè deposta ogni speranza, povero asșai trapassò il resto della sua vita, dimorando in va♬

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