Madre degli Dei, ricordando che ella aveva progenitori Phrygi, solo, quando trattando con Antiocho, ella stipula la libertà di Ilio, della sua madre Asiatica, solo allora noi possiamo credere, che la leggenda di Enea aveva in Roma trionfato. Prima io la imagino in lotta con l'altra, sì che Catone stesso diceva Roma aver preso il nome da Rome sorella di Latino, di Latino figlio di Ulisse e Circe ('); e non posso non vedere nei due primi poeti epici di Roma due campioni delle due tradizioni che si oppugnavano. Perchè a breve distanza da Livio autore dell'Odyssea latina, sorge Cn. Naevio col suo Bellum Poenicum, il quale consacra poeticamente (vate sacro, ricorda in Orazio!) l'origine di Roma da Enea. Nè tuttavia affermo, che Livio consacrasse l'altra, che attribuiva tale origine a Odysseo; perchè anzi dai soggetti delle sue tragedie tra le quali è l'Equos Troianus e dall'inno che egli compose a Giunone, in cui è verosimile che trattasse di Giunone avversaria a Venere e ai Troiani, si può argomentare che la leggenda di Enea avesse anch'egli accolta. Ma certo è innegabile che traducendo l'Odyssea per il popolo, egli soddisfaceva a un desiderio, che era nel popolo, di sentir più vive e vere notizie intorno a un eroe prediletto. Ora Naevio sottentrò in favore del Troiano. Egli era della Campania. Si deduce dalle parole con cui Gellio accompagna il noto epigramma, che egli crede di Naevio e che è invece di Varrone. Gellio lo dice plenum superbiae Campanae. Per quanto Cicerone saetti illam Campanam adrogantem atque intolerandam ferociam, per quanto dica della superbia, nata inibi (cioè a Capua) esse haec ex Campanorum fastidio videtur (2), non è verosimile che questa superbia, questa ferocia, tutta politica e nativa, uno potesse attribuirla a chi non fosse di quei paesi. La frase di Gellio vale che Naevio, con quell'altezzoso epigramma (che non fece esso; esso che non poteva prevedere l'elogio di Cicerone: cum audio... Laeliam - facilius enim mulieres incorruptam antiquitatem conservant... ...sic audio ut Plautum mihi aut Naevium videar audire (3), si mostrava invero quel Campano che era. Nacque avanti l'anno 496 di Roma, se si pensa che egli militò nella prima guerra punica (490513) e che per militare, bisognava avere diciassette anni almeno. E poichè Cicerone dice che egli giunto alla vecchiaia godeva del suo poema (4), e Cicerone non dice vecchio se non chi avesse almeno sessant'anni, così se Nevio morì nel 550 di Roma, dobbiamo porre la sua nascita nel 490 o avanti quell'anno; se dopo, nel 555 per (1) Serv. ad Aen. xii 73. (2) In Rull. II xxxiii 91, ib. I vii 20. (3) de or. III xii 45. (4) Cic. Cat. M. xiv 50. esempio, lo diremo nato nel 495 o prima. Militò dunque nella prima guerra punica, secondo Varrone citato da Gellio, e nel poema suo lo diceva (1). Rappresentò, sempre secondo Gellio, fabulas nell'anno di Roma 519; che in quell'anno per la prima volta, dal contesto di Gellio è possibile indurre (2); probabile almeno che Gellio non sapesse di rappresentazioni avvenute prima. Non fu certo attore, come era autore: se militò legittimamente, non poteva essere istrione, perchè gl'istrioni erano deminuti capite. Tito Livio, parlando di Lucio Livio il primo autore di drami, osserva: idem scilicet, id quod omnes tum erant, suorum carminum actor (3). Ma nota nel medesimo periodo il passaggio ab saturis al vero drama. Lucio Livio conserva anche nelle fabulae il costume delle saturae, ed è anche attore: con Naevio la separazione è netta. E coi suoi drami lo scriba o histrio divenuto poeta e cittadino, esercita subito i suoi diritti di critica e di censura. Naevio assalì l'Africano per la sua mollezza, biasimò i tempi nuovi e l'introduzione della garrulità greca (*). Per la sua libertà di parola, anzi, ob assiduam maledicentiam et probra in principes civitatis de Graecorum poetarum more dicta (5), fu messo in carcere; e Plauto si figura il povero poeta barbaro (non Greco, cioè) che puntella il mento col braccio e pensa pensa, tra due guardie (6), o meglio con due catene. Più che di Scipione ancora egli fu nemico dei Metelli, e resta ancora il verso saturnio contro la loro fortuna che è la sfortuna di Roma: Fato Metelli Romae consules fiunt. Al che i Metelli risposero che il malanno l'avrebbero dato a lui. E lo diedero, se fu opera loro la cacciata del poeta, che morì a Utica, pulsus Roma factione nobilium ac praecipue Metelli (7). Quando morì? Sotto il consolato di M. Cornelio Cethego e P. Sempronio Tuditano; dice M. Tullio, ossia nell'anno 550. Ma egli stesso riferisce che Varrone lo faceva vivere longius (8). L'autorità di Varrone ha gran peso; (1) Gell. XVII xxi; quem (Naevium) M. Varro in libris de poetis primo stipendia fecisse ait bello poenico primo, idque ipsum Naevium dicere in eo carmine quod de eodem bello scripsit. (2) Gell. 1. 1. anno post Romam conditam quingentesimo undevicesimo... Cn. Naevius poeta fabulas apud populum dedit. Poco prima ha parlato del primo autore di drami e della prima sua rappresentazione; dunque è verosimile che anche di Naevio registri gl'inizi, tanto più che il fiorire è idea troppo lata e difficilmente si può inchiudere in un anno. (3) VII ii. (4) Gell. VI viii. Cic. Cat. M. vi 20. (5) Gell. III iii 15. (0) Plaut. Mil. Glor. II ii 56. (7) Hieronym. Chron. ad Olymp. 144. (8) Cic. Brut. xv 60: His... consulibus, ut in veteribus commentariis scriptum est, Naevius est mortuus, quamquam Varro noster diligentissimus investigator antiquitatis putat in hoc erratum vitamque Naevi producit longius. Quali questi antichi commentari? che registravano la morte d'un esule o cacciato? però Cicerone, così ossequente a lui sempre, qui mantiene la sua asserzione ricavata da antichi commentari'. Se si pensa che in quell'anno 550 Utica era invano tentata da Scipione, si può congetturare con qualche verosimiglianza che in quel fatto appunto (...hiems instabat) il fiero vecchio, tornato milite, morisse per gli strapazzi e per la stagione, e così la sua morte fosse registrata in una pubblica memoria (1). Da vecchio (2) si diede a comporre un poema epico. Scelse a soggetto la guerra di cui era stato parte, la prima guerra punica. Forse le disfatte della seconda guerra ispirarono all'animoso poeta l'idea di recare al popolo le glorie della prima, ad augurio ed incoraggiamento. Egli usò il verso popolare, perchè parlava al popolo. Lo intitolò Bellum Poenicum; lo lasciò senza distinzione di versi e di libri (3). Ottavio Lampadione poi lo divise in sette libri. Cominciava col narrare la leggenda di Enea. Anchise, prima dell'eccidio di Troia, vede, come augure che egli è, un segno divino, per il quale la famiglia predestinata esce piangendo dalla condannata città ed è seguita da molti. S'imbarcano gli esuli in una nave, scampano per l'aiuto di Venere da una tempesta (suscitata forse da Giunone che è l'aria), e vengono in Italia. La nave costeggia il litorale Campano, e qui Nevio, secondo ogni probabilità, dava le ragioni mitiche come del nome di Prochyta e di Aenaria, che è certo, così, è probabile, di altre località, Palinuro, Miseno, Caieta. Il che, sia detto di passaggio, può confermare che Naevio era Campano. Egli introduceva ancora la Sibylla Cimmeria, che forse predice i fati di Roma (1) e le sue instituzioni; e forse descriveva il tempio d'Apollo in Cume e la porta di esso (5). Narrava poi di Enea, che sposava la figlia del re d'Alba, e ne aveva Ilia, la quale da Amulio, suo fratello o suo zio, era fatta precipitare nel Tevere coi due figli gemelli. Questi salvati, adulti e gloriosi, furono riconosciuti da Amulio e ne ebbero licenza di edificare una nuova città (°). Narrava anche dei due fratelli intenti all'augurio, uno dall'Aventino, l'altro dal Balatio ('). Dopo aver parlato dell'origine di Roma, nei due primi libri, egli forse passava nel terzo a narrare quella di Carthagine (8), e poi raccon (1) Tit. Liv. xxix xxxv. (2) Cic. Cat. M. xiv 50. (3) Suet. gramm. 2. C. Octavius Lampadio Naevii Punicum bellum... uno volumine et continenti scriptura expositum divisit in septem libros. Cf. Non. 110, 21. (4) Il fr. xiii e la parola Samnite, di cui vedi nota al fr. xiv, e il fr. xiv potreb. bero, ragionevolmente, essere parte di tale predizione. Cf. Aen. vi 809-12, vii 663-6, 698-705. Di ciò più largamente altrove. (5) Vedi fr. vii e nota, e cf. Aen. vi 20 e segg. (6) Vedi fr. xii e nota. (7) Vedi nota al fr. di sopra. (8) Nota al libro iii. tava la guerra, cominciando dalla rituale dichiarazione e finendo alle condizioni della pace. Il poema pareva a M. Tullio, grande ammiratore della lingua pura, ingenua, fresca di Naevio, una statua di Myrone; un'opera quindi tutt'altro che legata e fasciata, come la lignea Odissia di Livio, anzi di movenza arrischiata, anzi piena di vita e di agilità e di energia; ma un po' magra. L'anima è nuova, ma il corpo è arcaico (1). V. La guerra d'Annibale è sul finire. Tra non molto, tra un anno, il terribile Titano accampato nel Bruttio salperà, tra le grida de' suoi guerrieri italici che egli fa sgozzare, salperà per l'Africa e per la sconfitta. Il rude Fauno che ha intanto narrata al popolo la prima guerra punica, è per morire. Egli è forse malato e scorato sulle quinqueremi di Scipione; egli ha sentito il clamore di quel ben augurato imbarco, clamore che fece cadere a terra gli uccelli volanti nell'aria. Non è più il tempo de' brontolìi e mormorìi. Roma ha vinto o sta per vincere. Quel giovine, che da giovinetto vestiva il greco pallio, stava per avviare infine Roma alla conquista del mondo. È il tempo della gioia e della gloria. E allora la poesia entrò nella grande famiglia bellicosa di Romolo. Venne con passo di volo: pinnato gradu (2). Quale fu lo strepito del suo volo! Fu come se venisse uno stormo di gru dall'alto mare, con gli aerei squilli di tromba che manda il nero triangolo di tra le nuvole. Fu anzi come riga candidissima di cigni, da' cui lunghi flessibili colli esce una musica di chiarine, che echeggia su fiumi e stagni. O no: fu una schiera lucida di bronzo, una schiera di guerrieri, il cui cuore si bea bensì della pace, la quale, come è nel peane di Bacchylide, germina i fiori delle canzoni, miele dell'anima; ma si volge ancora, quando è necessità, alle armi; una schiera ben allineata di guerrieri a cavallo, che si avanza cantando dietro un re, cui non tocca il fuoco e il ferro, che passa inviolabile in mezzo alla battaglia e alla barbarie. Chi fu questo re, che condusse a Roma lo scintillante squadrone dei versi che cantano in lunghe uguali righe, aequati numero? (3) Fu veramente non re, ma (1) Cic. Brut. 75. (2) Porcius Licinus in Gellio XVII xxi 45: Porcius Licinus serius poeticam Romae coepisse dicit in his versibus: Poenico bello secundo Musa pinnato grado Intulit se bellicosam Romuli in gentem feram. (8) Vedi Aen. vii 691-705. discendente di re: antiqua Messapi ab origine regis (1), un roths Μεσσάπιος (2), Ennio. Nacque nel 515, un anno dopo quello in cui Lucio Livio rappresentò il suo primo drama (3); a Rudiae (ora Rugge) in quella che gli antichi chiamavano Calabria, presso Lupiae (ora Lecce) (*). Militò coi Romani nella guerra Annibalica. Nel 550 era in Sardegna, dove Porcio Catone questore di Scipione lo conobbe. L'austero Tusculano condusse con sè in Roma il poeta guerriero, che aveva tre anime, come esso diceva, cioè parlava tre lingue, il latino, l'osco, il greco (5). A Roma visse sottilmente, nell'Aventino, e ne' luoghi sacri alla dea Tutilina, contento ai servizi d'un’ancella sola (®). Fu caro a Scipione Nasica, quello della graziosa storiella raccontata da Cicerone (7). Picchia Nasica alla porta di Ennio. Risponde l'ancella che Ennio non è in casa; ma Nasica comprende che esso c'è e ha comandato all'ancella di dir così. Giorni dopo bussa Ennio da Nasica. Risponde Nasica in persona, di non esserci. "O che ora non conosco la tua voce? "Ah! io credo alla tua serva e tu non credi a me?,. Era parco Ennio, tuttavia non sdegnava il buon vino; e soffriva di gotta (8). Sereno sopportò povertà e vecchiaia: pareva che se ne dilettasse (9). Tra i suoi amici era Fulvio Nobiliore, che fu console nel 565 e condusse con sè il poeta in Aetolia, come poeta delle sue vittorie. E la vittoria che riportò, magnifica di per sè, fu abbellita dal poeta amico, il quale ci guadagnò una clamide, una clamide sola della preda Aetolica, e in comune con Fulvio i rimbrotti di Catone: condurre nella provincia poetas ! non s'era mai veduto (1o). Il figlio però di quel Fulvio, nel 570 essendo triumviro coloniae deducendae, assegnò al poeta una porzione della terra da dividersi e gli diede la cittadinanza Romana (1). Ben la meritava egli che aveva fatta Romana la poesia omerica! Nel 585 secondo Cicerone, nel 586 secondo Hieronymo, (1) Sil. Italico xii 393: cf. Servio ad Aen. vii 691. Vedi il passo in nota ad Enn. I fr. vii. (2) Suidas "Evvios. (3) Cic. Brut. xviii 72; Tusc. I 3. Vedi Gell. XVII xxi 43. (4) Enn. XI fr. x. Vedi passo di Cicerone in nota e fr. vi dello stesso libro. Vedi anche Sil. It. 1. c. Ovid. AA. III 409. (5) Corn. Nep. Cato I 4. Hieron. a MDCCLXVVII = 514. Gell. XVII xvii 1: Q. Ennius tria corda habere sese dicebat, quod loqui graece et osce et latine sciret. (0) Hieron. I. c. Varr. LL. V 143: ...ligionem Porcius (lo stesso citato più sopra) designat quom de Ennio scribens dicit eum coluisse Tutilinae loca. (7) de or. II 276. (8) Hor. Epl. I xix 7: Ser. Samm. 713, che attribuisce la gotta ai pocula iniqua. (9) Cic. Cat. M. 14. (10) Cic. Arch. 27, Tusc. I 3; Aur. Vict. ill. lii 3; Symm. ep. I 21. (11) Cic. Arch. 22: ergo illum... Rudinum hominem maiores nostri in civitatem rece perunt: il che pare un'eco del verso: Nos sumus Romani qui fuvimus ante Rudini (che è, non a suo posto forse, in XI fr. x). Vedi poi Brut. 79 e cf. T. Liv. XXXIX xliv, |