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scuola degli studi sublimi e quasi circonfusi di mistero e religione, e al suo fortunato ritorno: e quella persuasione di anima semplice e quella ammirazione di anima buona valsero certo più che l'intellettuale preparazione dei maggiori. Ma questa preparazione occorre, quasi sempre, che ci sia nella casa; e ci sia nei padri (e c'è invece spesso l'odio e il disprezzo e la derisione amara) ci sia vivo e sincero il rispetto agli studi a cui incamminano i figli. Del quale rispetto siano perenni e veraci testimoni i libri degli scrittori più grandi delle nostre due gloriose letterature: l'antica di Vergilio, la nuova di Dante. E oh! venga presto il tempo, in cui possiamo avere tali libri, emendati e impressi con sapienza ed eleganza antiche e patrie, dall'ingegno e dal coraggio di recensori e editori italiani! Io sento che il vóto è per adempiersi, tanta è, intorno a noi, la vivida virtù dell'anima italica, nella quale io credo; credo profondamente, sebbene non più di lei, Maestro, geloso severo impaziente amatore.

In tanto io questa mia opera modesta ho consacrata all'Italia e perciò ho inscritta al suo nome, Maestro. Non è sempre un guerriero nè un grande reggitore quello che impersona una gente e un tempo e integra in sè l'idea d'una razza e d'un popolo. In questo momento della patria, in cui essa sembra attonita non si sa se più per la sua passata fortuna o per la sua sventura presente, un Aedo pare concludere in sè il meglio di essa, sì che alla domanda, 'l'Italia?' si può rispondere: È quella voce alata, che suona speranza, rampogna, memoria, dolore; che evoca i morti dalle solenni ruine e sbaratta i viventi dagl' ignobili mercati.

Un Aedo! Il suo Vergilio (chi lo conosce, chi lo ama più e meglio di lei? Rileggo il suo discorso o inno del MDCCCLXXXIV, e provo il brivido sacro delle epifanie del nume: Mediatore tra due mondi, egli passa quale Hermete tra le ombre d' inferno, rompendo le tenebre del medioevo

con l'aurea verga del suo carme: passa, e Dante, non a pena lo scorge su'l limite della selva selvaggia, gli tende le braccia e si prostra; ed egli terge in Dante l'Italia e l'Europa dalla fuliggine della barbarie, e manda il suo spirito, per le genti diverse, a Camoens, a Racine, a Schiller... e al Manzoni, per la sua gente, e, per la sua gente, al Carducci!) il suo Vergilio dunque, o Maestro, imagina nell'Elisio un convito di Spiriti Magni, che cantano il peane della vittoria: sono guerrieri morti per la patria, puri sacerdoti, pii vati, inventori d'arti, benefattori insomma degli uomini; e tutti hanno la bianca benda alla testa. Cantano tra l'odorato bosco dei lauri, al fonte sotterraneo dell'Eridano. In mezzo a loro è l'alunno delle Muse per eccellenza, quegli che per il suo nome è degli altri tutti come il simbolo comprensivo. Per mirarlo, bisogna alzar gli occhi: (*)

UMERIS EXTANTEM.

GIOVANNI PASCOLI.

(*) Queste parole io scriveva su gli ultimi del 1896. Ora egli dal febbraio del 1907 è anch'esso là tra gli Spiriti Magni della Patria, al fonte perenne della fiumana che reca e porta via sempre nuove vite all'umanità. Egli è al punto dove, che che qua si nasca e si muoia, si sta e si resta in una serenità immutevole e infinita.

NOTA

Questo volume, primo della collezione che ha il titolo NOSTRAE LITTERAE, primo della parte di essa che tratta la poesia epica, contiene la storia e i monumenti di quella forma di poesia che derivò principalmente dai poemi omerici e si nutrì delle leggende e visse delle gesta, mirabili più queste di quelle, di Roma. Hanno dunque in esso il principal luogo i frammenti di Ennio, tutti, e l'Eneide di Vergilio, della quale, per le esigenze della scuola e la necessità tipografica, è tralasciato qualche episodio, compendiato però nelle note. Con questo io non volli significare che il divino poema non si avesse a leggere tutto; che anzi mi sono studiato d'invogliarne l'alunno, sì che l'effetto migliore che io potessi vedere o sapere delle mie povere fatiche, sarebbe quello che il mio lettore si fosse procurate, se prima non le aveva, le opere intere di Vergilio, per non essere fraudato di alcuna parte del suo utile diletto. Queste opere, insomma, le presuppongo in ogni casa, le imagino vicine al mio libro; il quale oltre una buona parte di esse, contiene cose che il giovinetto sa appena che ci sono; e lo sa per l'obbligo che ha, di narrarne e ragionarne senza averle vedute mai.

A formare l'Eneide non concorsero solo i poemi omerici, nè solo gli annali enniani la procederono. Quindi, sebbene il volume dovesse contenere il solo Epos (storico l'Eneide aveva per gli antichi in prevalenza questo carattere, se si considera, per es., ciò che ha Servio al vi 752: unde etiam in antiquis invenimus opus hoc appellatum esse non Aeneidem, sed gesta populi Romani), Epos storico il quale, per usare qui un'imagine piuttosto che fare un lungo ragionamento, nacque dalla transanimazione di Omero nell'italico Ennio; tuttavia non credei di escluderne i frammenti degli Argonautae di Varrone Atacino, perchè in esso si trovano, sebbene ancora separate, le due

correnti epiche, Omerico-Enniana e Alessandrino-Catulliana (o qual altro nome si voglia usare), che confluiscono poi in Vergilio, formando la imperiale fiumana dell'Eneide. Dopo il quale poema la distinzione delle due fonti o correnti non regge più e nel mio libro più non appare. Perciò con Lucano il lettore vedrà Valerio Flacco, e Stazio con Silio Italico e Claudiano. Solamente esclusi, tra i successori di Vergilio, Ovidio e le sue Metamorfosi, che saranno l'autore e l'opera principale del volume che conterrà l'Epos Alessandrino. E allora osserverò quello che anche ora osservo: che per comprendere tutto lo svolgimento della poesia epica in Roma, occorre avere sotto gli occhi non uno di questi modesti volumi, ma tutti e tre: sì questo, dell'epopea storica (storica in prevalenza prima di Vergilio e con lui, poi Vergiliana), sì quello dell'epopea mitica, sì quello dell'epopea didascalica. Non si comprende Lucano senza Ovidio, nè Ovidio senza Vergilio, nè Vergilio senza Catullo e Lucrezio; so bene; ma unir tutti in un volume era impossibile, e, ad ogni modo, questa distinzione e distribuzione fa più bene che male.

Noto poi che per i frammenti di Ennio, oltre il Vahlen, ho avuto sempre avanti il Baehrens e Luciano Mueller; che per l'Eneide mi sono giovato dell'opera dei principali commentatori, tra i quali non posso tacere il nostro R. Sabbadini, di cui specialmente gli studi sulla composizione del poema sono finissimi, acutissimi, dottissimi. Per l'ortografia dell'Eneide, ebbi in animo di dare le forme d'un solo codice, il Mediceo-Laurenziano; ma qualche rara volta pur ne deviai. Avverto ancora di avere accolti, come Vergiliani autentiei, oltre il famoso passo 567-588 del libro II, anche altri versi isolati, che non si trovano nel Mediceo, parendomi che il più probabile giudizio che di essi possa farsi, sia che dispiacessero a Tucca e Vario, non che da altri poi fossero inseriti o ripetuti. Non ho accettato quasi mai le trasposizioni e gli arditi emandamenti e i segni di lacuna di O. Ribbeck, per le ragioni che via via espongo in nota. Chiedo perdono per un mio emendamento, audace più che ardito, al 603 del libr. VI, e per la trasposizione che ivi ho fatto dei 616-630 a dopo il 607; trasposizione giustificata dal fatto che noi, a ogni modo, non abbiamo quei versi nell'ordine in cui li leggevano Valerio Flacco e Stazio. Di che rimando alle note di quei versi. E si perdoni ancora il Cycnide al 186 del X.

Per i frammenti dei poeti epici prima e dopo Vergilio ho seguito per lo più il Baehrens; per l'Iliade Latina (Homerus latinus) pure il Baehrens nei Poetae Latini Minores Vol. III'. Per gli altri autori ho avuto presenti le migliori edizioni: per Lucano, quella del Hosius, per Petronio, quella del Buecheler, per Valerio Flacco, quella del Baehrens, per Silio, quella dei Ruperti e la recente del Bauer, per Stazio, quella del Kohlmann, per Claudiano quella del Ieep. Nè ciò

senza ricorrere ad altre, nè mai senza rinunziare al mio giudizio: ὀλίγον τε φίλον τε.

Rendo poi grazie al mio carissimo prof. Francesco C. Pellegrini, che non solo ha pazientemente frugato nei minuti tipi delle note i più piccoli errori di stampa, ma ha trattenuto me a quando a quando da qualche più grave trascorso. Se qualche letterina e puntino si trova ancora qua e là dove non dovrebbe, se qualche abbaglio o sbaglio fermerà altrove il lettore, il lettore benevolo perdoni o scusi per i primi tutti e due, ma per i secondi pensi a me, non al mio ausiliatore, e consideri che forse egli ha avvertito invano.

G. P.

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