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Et nunc magna mei sub terras ibit imago.
Urbem praeclaram statui, mea moenia vidi,
Ulta virum poenas inimico a fratre recepi,
Felix, heu nimium felix, si litora tantum
Numquam Dardaniae tetigissent nostra carinae'.
Dixit et os inpressa toro Moriemur inultae,

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Sed moriamur: ait sic sic iuvat ire sub umbras. 660
Hauriat hunc oculis ignem crudelis ab alto
Dardanus, et nostrae secum ferat omina mortis'.
Dixerat, atque illam media inter talia ferro
Conlapsam aspiciunt comites ensemque cruore
Spumantem sparsasque manus. it clamor ad alta
Atria; concussam bacchatur Fama per urbem.
Lamentis gemituque et femineo ululatu
Tecta fremunt, resonat magnis plangoribus aether,
Non aliter quam si immissis ruat hostibus omnis
Karthago aut antiqua Tyros, flammaeque furentes 670
Culmina perque hominum volvantur perque deorum.
Audiit exanimis trepidoque exterrita cursu,
Unguibus ora soror foedans et pectora pugnis

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Per medios ruit ac morientem nomine clamat:
Hoc illud, germana, fuit? me fraude petebas?
Hoc rogus iste mihi, hoc ignes araeque parabant?
Quid primum deserta querar? comitemne sororem
Sprevisti moriens? eadem me ad fata vocasses:
Idem ambas ferro dolor atque eadem hora tulisset.
His etiam struxi manibus patriosque vocavi
Voce deos, sic te ut posita crudelis abessem.

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Hau

da me. - Ulta virum vendicai il mio
marito, lasciando, senza le ricchezze
sue, a deperire Tyro e Sidone in faccia
alla nuova città. recepi = sumpsi.
os inpressa (solito costrutto) = cum 08
impressisset.
inultae: anche la ven-
detta ha perduto il suo acre sapore,
sic sic: anche senza vendetta.
riat... oculis... ab alto: dell'alto mare,
fissando lo sguardo qua (Didone crede
che guarderà), giunga a vedere, con-
templi... Dardanus = Dardanius.
ferro in ferrum. Conlapsam sqq..
le ancelle non la vedono nell'atto di fe-
rirsi, ma la vedono caduta e scorgono
poi il sangue. concussam che ne è

atterrita.

-

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IL SOSPIRO (667-692). Pare che la città sia invasa da nemici e vada in fiamme, tante sono le grida, i lamenti e gli ululi. Anna accorre fuori di sè. Teneramente, disperatamente parla. Oh!

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quale inganno fatto alla sorella! E non voleria vicina! Farle inalzare di sua mano questa pira, invocare di sua bocca, gli Dei! "Hai ucciso te e me e il popolo e i padri e la città. Che io lavi le sue ferite! che io raccolga nelle mie labbra l'estremo alito suo!, Così sale anch'essa sulla pira, abbraccia l'infelice sorella, le asciuga il sangue, Essa prova di aprir gli occhi: ia piaga rantola per il sangue che sgorga: tre volte Elissa si leva sul gomito, tre volte ricade. Cerca la luce, la trova. Un sospiro!

667-85 femineo ululatu: iato: iii 74.magnis plangoribus: ii 487.- Non aliter: X 410-11.-Hoc illud: questo era quel rito? a questo' pensavi quando preparavi quello?" comitem: di avere per compagna. vocasses mi avessi almeno chiamata.- struxi, rogum. Voce, magna. vocavi voce: Enn. I fr. xxiv 16. sic... posita morta! ii 644. - crudelis:

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Extinxti te meque, soror, populumque patresque
Sidonios urbemque tuam. date, volnera lymphis
Abluam et, extremus siquis super halitus errat,
Ore legam'. sic fata gradus evaserat altos
Semianimemque sinu germanam amplexa fovebat
Cum gemitu atque atros siccabat veste cruores.
Illa gravis oculos conata attollere rursus
Deficit; infixum stridit sub pectore vulnus.
Ter sese attollens cubitoque adnixa levavit,
Ter revoluta toro est oculisque errantibus alto
Quaesivit caelo lucem ingemuitque reperta.

Tum Iuno omnipotens longum miserata dolorem
Difficilisque obitus Irim demisit Olympo,

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Quae luctantem animam nexosque resolveret artus. 695
Nam quia nec fato merita nec morte peribat,
Sed misera ante diem subitoque accensa furore,
Nondum illi flavum Proserpina vertice crinem
Abstulerat Stygioque caput damnaverat Orco.
Ergo Iris croceis per caelum roscida pinnis,
Mille trahens varios adverso sole colores,
Devolat, et supra caput adstitit: Hunc ego Diti
Sacrum iussa fero, teque isto corpore solvo'.
Sic ait et dextra crinem secat: omnis et una
Dilapsus calor, atque in ventos vita recessit.

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venuta dal cielo, che toglie quel capello, e allora il calore sfuma e la vita vanisce.

693-700 omnipotens: sembra un'ironia! Pensate ora la tragica azione del fato. Fu l'ira di Giunone contro i Troiani, che straziò e uccise quella che essa amava e proteggeva.- obitus: plur. perchè tre o più erano i tentativi di obire, · luctantem animam: il verso fa sentire il singulto.- fato: morte naturale: moriva anch'essa ante diem, come si dice nel seguente. flavum... crinem Abstulerat: nel sacrificare agli dei inferni, si recideva dalla fronte della vittima un ciuffo di peli, come primizia d'offerta (libamina prima: vi 246). Ora il morente era una vittima destinata a Proserpina, dea inferna, che doveva avere prima il libame.

700-705 Iris: la messaggera di Giunone. Viene invisibile: si vede solo il suo sentiero di rugiada nel cielo, la sua scala di vapori e colori,

LIBER V.

Interea medium Aeneas iam classe tenebat Certus iter fluctusque atros aquilone secabat,

LIBRO QUINTO. Il mare era nero per la tramontana che soffiava [nella notte però iv 562 - spirava altra brezza favorevole]: a Carthagine in lontananza rilucevano fiamme (d'un rogo?). Un nuvolone ceruleo porta tempesta; e, per consiglio di Palinuro, la flotta poggia alla Sicilia, al regno di Aceste, che accoglie lietamente i reduci. Essendo l'anniversario della morte del padre, Enea indice per di lì a 8 giorni solenni ludi funebri. Intanto fanno sacrifizio alla tomba di Anchise, dove si mostra il serpente familiare del morto. Nel dì stabilito si celebrano i ludi: prima le regate, in cui, dopo molte e varie vicende, resta vincitore Cloantho. Poi la corsa a piedi, e in questa Niso, caduto, fa cadere Salio e così dà la vittoria al suo dolce amico, Euryalo. Terzo il pugilato: e in questo il vantatore Darete è superato dal vecchio Entello, che poi mazzolando coi cesti un bove, dichiara di rinunziare all'arte. Quarta è la gara dell'arco, nella quale Aceste è dichiarato vincitore, per un buon augurio che mostra con la sua freccia velocissima. All'ultimo Ascanio coi suoi eguali, a cavallo, fanno un torneamento, che restò nei costumi romani, col nome di Ludus Troianus o Troia. In questo mezzo le donne Troiane, stanche del perpetuo errare, aizzate da Iride cui aveva mandata Giunone, mettono fuoco alle navi, che sono salve, eccetto quattro, per un acquazzone che Enea impetra da Giove. Enea

consigliato da Naute, vecchio prudentissimo, a lasciare le donne e i vecchi in Sicilia, ad Aceste. Il qual consiglio è confermato da Anchise in sogno, e da lui è pur compiuto l'ammonimento di Heleno, di visitare presso l'Averno la Sibylla, che a lui morto conduca il vivo figlio. Enea lascia adunque donne e invalidi, e loro fonda la città, Acesta, e il tempio di Venere Erycina. E parte per l'Italia, tra i pianti di quelli che rimangono, Venere domanda a Nettuno una buona navigazione per Enea e Nettuno la promette, e appacia il mare col suo corteggio marino. La flotta di Enea, con la sua nave, retta da Palinuro, in testa, fila velocissima: a mezza notte il sonno viene giù dalle stelle e prima tenta ingannare, poi a forza addormenta il timoniere, e lo fa cadere in mare. Presso la scogliera delle Sirene fragorosa,

Enea sente la sua nave senza timone, e piange la morte dell'amico sparito.

Reduci (1-41); anniversario (42-71); il serpente della tomba (72-103); le regate (104-285): lo squillo (104-141), la Chimaera in testa (142-160), il timoniere in mare (161-182), gara tra la Pristi e il Centauro (183-222), gara tra la Pristi e la Scylla (223-243), i premi (244-285); la corsa a piedi (286-361); il pugilato (362-484); l'arco (485-544); Ludus Troianus (545-603); fuoco alle navi (604-663); l'acquazzone (664-699); il consiglio di Naute (700-718); Anchise in sogno (719-745); Acesta e il tempio di Venere (746-762); partenza per l'Italia (763-778); Venere e Nettuno (779-826); il Sonno e il timoniere (827-863); la scogliera delle Sirene (864-871).

Il libro ha 871 versi, de' quali sei non compiuti. Tutti compiuti sono quelli della narrazione delle regate, la quale possiamo considerare come saggio perfetto dello stile Vergiliano nelI'Eneide. Così le gare del pugilato e dell'arco. Nella corsa sono lasciati interrotti i versi 204 e 322 (Nisus et Euryalus primi... Tertius Euryalus...) per ricevere forse una descrizione dell'aspetto e dei costumi di cotesti due eroi; descrizione che doveva nello stesso tempo essere tolta o abbreviata nel libro IX (177-182), il qual libro è evidentemente anteriore al V. Così interrotto è nell'episodio dell'incendio delle navi il 653. Nella lacuna doveva aver luogo un cenno afla madre d'Euryalo (ix 216-18; 284-6). Pyrgo sostiene che si devono bruciare le navi

che tale è il volere degli dei: la madre di Euryalo doveva, forse, sostenere il contrario. Onde le donne restano ancipites e ambiguae... miserum inter amorem Praesentis terrae fatisque vocantia regna. E i due versi non compiuti nell'episodio del ludus Troianus (574 e 595) ? Forse Vergilio doveva tentare di mettere accordo tra il I 267271, confermato qui al 597, e il VI 763 ?

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Moenia respiciens, quae iam infelicis Elissae
Conlucent flammis. quae tantum accenderit ignem
Causa latet: duri magno sed amore dolores
Polluto notumque, furens quid femina possit,
Triste per augurium Teucrorum pectora ducunt.
Ut pelagus tenuere rates nec iam amplius ulla
Occurrit tellus, maria undique et undique caelum:
Olli caeruleus supra caput adstitit imber
Noctem hiememque ferens, et inhorruit unda tenebris.
Ipse gubernator puppi Palinurus ab alta

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Heu! quianam tanti cinxerunt aethera nimbi ? Quidve, pater Neptune, paras?' sic deinde locutus Colligere arma iubet validisque incumbere remis Obliquatque sinus in ventum ac talia fatur: Magnanime Aenea, non, si mihi Iuppiter auctor Spondeat, hoc sperem Italiam contingere caelo.

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di remi. E dice a Enea che, con quel tempo, non c'è modo di toccar la riva italica. Si segua il vento, che li menerebbe in Sicilia, a Eryce. Al che Enea acconsente, lieto di rivedere Aceste e la terra che contiene sepolte le ossa del padre suo. Così col ventó in poppa si dirigono colà. Dal cocuzzolo del monte, Aceste, che vi era a cacciare, avvista le navi e scende e accoglie i reduci con lieto viso e opportuni doni.

1-7 Certus risoluto : 554. -atros aquilone: Gellio (II xxx) osserva che i venti del sud fanno il mare parer glauco e ceruleo, quelli del nord piuttosto oscuro e nero. Non è quindi aquilo per ogni vento, ma per il vento di nord avverso alla rotta degli Eneadi, i quali perciò possono vedere il rogo di Didone, che si dovè accendere la sera. O forse il P. ha fatto nereggiare il mare, per dar più rosso bagliore alle fiamme lontane? Vedi lib. ii 255 nota. Quanto alla contradizione con iv 562, si spiega con l'imperfezione del poema, cui mancò l'ultima mano, o col fatto che, appena in rotta le navi, il vento mutò prima in tramontano, poi in ponente (19, 32). Così giova credere: le navi escono col buon vento; poi il vento si cambia e trattiene le navi in vista di Carthagine, quasi per far vedere a Enea la fiamma del rogo, la quale Didone morente aveva desiderato vedesse. Finalmente escono di vista alla terra, e allora la nuvola nera li minaccia, e cambiano rotta con vento di nuovo mutato. secabat: può indicare lo sforzo. respiciens: è rimpianto? è rimorso? Cic. pro Sest. v. 13: haec ita praetereamus, ut tamen intuentes

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et respectantes relinquàmus. Ma anche ripenso questi due versi del Nostro (viii 697-7):

Regina in mediis patrio vocat agmina sistro Necdum etiam geminos a tergo respicit anguis. Avanti avanti, noi andiamo verso la felicità: ci voltiamo: ecco la sventura.iam... Elissae conlucent flammis: ricorda Servio il pristinum morem, quo per diem cadavera non incendebantur. Così il rogo di Patroclo (Y 217) arse tutta la notte.tuntum... ignem: lo domandano l'uno all'altro, da nave a nave. Il mare è nero, la sera discende: quella fiamma brilla in lontananza. notum l'essere a tutti noto'.- furens innamorata, malata d'amore -per augurium... ducunt fanno augurare': così al 886 poenam traxe (=traxisse) per omnem vale aver martoriato in ogni guisa',

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8-16 pelagus: mare libero, alto mare, opposto al salum, che spumeggia al lido (iii 209). - nec iam amplius ulla: si noti il singolare tellus: cf. iii 192. È uscita di vista quella terra con quel grande incendio sinistro! Ed ecco il nuvolone nero. — maria: pare moltiplicarsi. Olli: i 254. caeruleus... imber: vedi i quattro versi iii 192-195. Ipse: iii 201.quianam, per cur quare è, dice Servio, sermo Ennianus: vedi in fatti II fr. ix 1, VII fr. xxvii.- Colligere arma imbrogliare le vele', per serrare o prendere terzaruoli. Obliquat... sinus (velorum) in ventum: diremmo noi: "orzare", ossia avvicinare la prua al letto del vento. 17-25 Magnanime: i 260. auctor Spondeat stia garante : c'è il fiero e vivo linguaggio del lupo di mare.

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Mutati transversa fremunt et vespere ab atro
Consurgunt venti, atque in nubem cogitur aer.
Nec nos obniti contra nec tendere tantum
Sufficimus. superat quoniam Fortuna, sequamur,
Quoque vocat, vertamus iter. nec litora longe
Fida reor fraterna Erycis portusque Sicanos,
Si modo rite memor servata remetior astra '.
Tum pius Aeneas: Equidem sic poscere ventos
Iandudum et frustra cerno te tendere contra.
Flecte viam velis. an sit mihi gratior ulla,
Quove magis fessas optem dimittere navis,
Quam quae Dardanium tellus mihi servat Acestem
Et patris Anchisae gremio complectitur ossa?'
Haec ubi dicta, petunt portus, et vela secundi
Intendunt zephyri: fertur cita gurgite classis,
Et tandem laeti notae advertuntur harenae.

At procul ex celso miratus vertice montis
Adventum sociasque rates, occurrit Acestes,
Horridus in iaculis et pelle Libystidis ursae,

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Mutati; prima soffiava da nord, ora da ovest. in nubem cogitur: diventa tutta una nuvola. Cic. de nat. deor. ii 39: aer... concretus in nubes cogitur. -obniti... tendere: la prima azione, coi remi; la seconda, con le vele (vii 7, e cf. più giù il 27). tantum: mi pare valga con tendere, tenere tanta parte di vela spiegata quanta occorre per andare innanzi". Altri interpreta più semplicemente, ripetendo il concetto di obniti contra; ma piace trovare in tutte queste parole il breve parlare marino. In senso di attendarsi tendere, senza altro, è in ii 29, e frequente nella latinità. Come si sottintende tentorium, pelles, tabernaculum, così par naturale sottintendere vela (iii 268). Ne è forse esempio i 205. superatè più forte'. - vocat: qui è evidente il pittoresco della frase, poichè Fortuna è considerata come un vento che soffia in una direzione: iii 269, 357. Fida... fraterna Erycis = fida fratris Erycis: Eryce era, come figlio di Bute e di Venere, fratello di Enea. - Sicanos: qui breve la prima e lunga la seconda; cf. iii 692. remetiormisuro di nuovo', dopo averli veduti nella rotta dalla Sicilia all'Italia: i 34-35.

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26-34 poscere: non solo invitano ma pretendono. -velis: dat. La frase somiglia all'altra, dare classibus austros, in relazione con vocat iam curbasus austros. Con la presente è in relazione la precedente te tendere contra, sottintendendo vela. ulla, tellus che segue. Acestem:

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vedi nota a i 494-630. È in Dionysio che dopo la distruzione di Troia Elymo e Aegesto migrarono in Sicilia, accolti dagli indigeni Sicani, perchè Aegesto era nato in Sicilia, da una Troiana (Egesta). Il padre, secondo Dionysio, fu un giovine innamorato di lei cacciata da Laomedonte; secondo Vergilio, il fiume Criniso, presso il quale Elymo ed Aegesto posero loro sede. Et patris sqq. Lucr. i 135: Morte obita quorum tellus amplectitur ossa: cf. iv 732,- secundi, ora che, mutato vele, le navi sequuntur e non obnituntur contra. notae: dal soggiorno fattovi prima di muovere per l'Italia ed essere sbalzati in Libya.

35-41 Adventum s. r.: endiadi. — Horridus in iaculis et pelle: tutto punte per le aste che portava e la pelle che vestiva. Non a caso il P. dà abito selvaggio ad Aceste, come a quello, cui, soltanto dopo, Enea costruisce la città (755 cf. 617,631, 717): anzi due, secondo Dion., Aegesta ed Elyma; e tre, secondo lo scoliasta di Lycophrone, sono edificate da Aegesto, Aegesta, Entella, Eryce. Ora questo libro V è in contradizione con ciò che nel libro I (549 e seg.) dice Ilioneo:

sunt Siculis regionibus urbes

Armaque Troianoque a sanguine clarus Acestes;

se pure codeste urbes non si ha a intendere (ed è impossibile) che siano ancora da edificare, confrontando il 557: sedes... paratas. Ma no: il P. nel libro I faceva Aceste potente, civile, ricco, come si

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