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falli e che attendono il loro riscatto. Ogni cerchio è il luogo d' espiazione d'un peccato mortale; e siccome sen contano sette di questi peccati, così vi son sette cerchj corrispondenti. Al di là del settimo la montagna elevasi ancora sino a che, sovra la sua sommità, si trova il Paradiso terrestre. Ed è là che Virgilio vien forzato d'abbandonare il suo alunno, ed affidarlo a lui medesimo. Dante non rimane così lungo tempo. Beatrice discende dal cielo, viene dinnanzi a lui, ed avendolo purificato con qualche prova espiatoria, lo introduce nel soggiorno celeste. Essa percorre con lui i cieli dei sette pianeti, s'innalza sino all' empireo, e lo guida appiedi del trono dell' Eterno, dopo avere, in ogni cerchio, risposto alle sue quistioni, schiariti i suoi dubbj, ed avergli spiegato le difficoltà le più intralciate della teologia e i suoi più secreti misteri, con tutta la chiarezza che possono tali misteri permettere, con una poesia di stile che si sostiene sempre, ed una Ortodossía alla quale i dottori i più difficili non anno mai potuto nulla rimproverare.

Tale è questa immensa macchina in cui non si sa ciocchè ammirar più si debba, o l'audacia del primo disegno, o la fermezza del pennello, che in un quadro sì vasto non sembra che siasi riposato un solo istante. Strana e maravigliosa intrapresa, sclama un Francese traduttore*, uomo di spirito (scrive il sig. cav. Ginguené)

Rivarol, traduttore di Dante.

che non avea già quello che abbisognava per tradurre il Dante, ma che aveva una testa assai forte per comprendere ed ammirare un simile piano! Intrapresa strana, egli riprende, senza dubbio, e maravigliosa nell' insieme delle sue tre divisioni! Diamo ora sulle tracce di sì illustre autore l'analisi, la più completa che sarà possibile, della prima, cioè dell' Inferno.

CAPO V.

ANALISI DELL' INFERNO.

SONOSI i comentatori data la pena di prodigiosamente sottilizzare su del genio allegorico di Dante; anno essi creduto di veder per tutto delle allegorie, ed il più spesso non le anno meno vedute che sognate: ma nondimeno ci sono varj luoghi del suo poema che non possono intendersi altramente. Il principio, cioè il canto I., è di questo numero. Nel mezzo del cammino di questa umana vita, si trova il poeta smarrito in una foresta oscura e selvaggia. Non può egli dire come vi era entrato, tanto avevalo il sonno allora oppresso. Giugne appiedi d'una collina, alza gli occhi, e vede risplendere sulla sua cima i primi raggi del sole. Questo spettacolo calma alquanto il suo timore; ei si rivolge per mirare lo spazio orribile da lui percorso, come un viaggiatore quasi privo di fiato, disceso sopra la riva, volge gli sguardi verso il mare, dove egli è sfuggito a tanti pericoli. Ecco i suoi inimitabili versi che spiegano

una similitudine così felice:

E come quei che con lena affannata
Uscito fuor del pelago alla riva,

Si volge all' acqua perigliosa, e guata.

Dopo qualche momento di riposo, egli comincia a salir la collina: una pantera con pelle tigrata viene a serrargli la strada. In seguito appare un lione, ed accorre verso di lui con testa alta, come pronto a divorarlo. Una lupa magra ed affamata s' unisce loro, e gli cagiona tanto spavento, che perde la speranza di giugnere all' alto della montagna. Egli si ritrae verso il tramonto del sole, e discendeva suo malgrado, allorché presentasi una figura d' uomo, muta in sulle prime, e colla voce infievolita da un lungo silenzio. Dante l' interroga; è Virgilio. Tosto che gli si è dato a conoscere: Sei tu dunque, fassi a sclamare il poeta, arrossendosi dinnanzi a lui, sei tu quel Virgilio, quella sorgente che spande un sì vasto fiume d'eloquenza? Oh onore e face degli altri poeti, possa il lungo studio e l' ardente amore, che m' an fatto ricercare il tuo libro, servirmi presso di te ! Tu sei mio maestro e mio modello; a te solo io deggio questo bello stile che mi ha fatto sì grande onore! Io non posso, soggiugne il signor Ginguené, risolvermi ad alterare con delle perifrasi questa nuova semplicità. Non anno, egli conchiude, a ciò badato i traduttori Francesi; sonosi essi creduti obbligati male a proposito di dar dello spirito ai seguenti versi sì belli:

Or se tu quel Virgilio, e quella fonte,
Che spande di parlar sì largo fiume ?
Risposi lui con vergognosa fronte.

O degli altri poeti onore e lume,

Vagliami 'l lungo studio, e 'l grand' amore.
Che m' an fatto cercar lo tuo volume.

Tu se' lo mio maestro, e 'l mio autore:
Tu se' solo colui, da cu' io tolsi,
Lo bello stile che m' ha fatto onore.

Si certamente, ecco un bello stile, ed il più bello ch' abbia adoperato alcun poeta, dopo che Virgilio avea cessato di farsi più intendere.

Il maestro avverte il sua discepolo ch' ha egli presa una falsa strada; ch'è impossibile di arrivare all' alto della collina malgrado il mostro che gli ha cagionato tanto spavento, mostro sì divoratore e sì terribile che nulla lo può satollare; e ch' egli lo condurrà per un più sicuro sentiero, benchè pericoloso ed arduo. Gli farà egli vedere il soggiorno degli eterni supplizj, e quelli dei tormenti che sono addolciti dalla speranza. Se poi vuole innalzarsi fino alla dimora dei beati, altri gli dovrà esser di guida. Dante acconsente di lasciarsi condurre, e Virgilio cammina dinnanzi a lui.

Il giorno declinava, e l'aere oscuro facea riposare dai loro travagli gli animali che son sulla terra; egli solo si preparava a sostener la fatica del cammino e gli assalti della pietà. Se n' odano i versi degni veramente di Virgilio :

Lo giorno se n' andava, e l' aer bruno
Toglieva gli animai che sono 'n terra
Dalle fatiche loro; ed io soľ uno

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