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suo Mecenate di restarsi nella chiesa di șant' Onofrio come pur che si brucino le opere sue, e tranquillamente

sen muore.

Visse anni 51, un mese, e 14 giorni. Morì ai 25 aprile 1595. Gli cinser le tempie d'alloro, ed il funebre corteggio fattogli dalla corte di Roma riuscì della pompa la più distinta e solenne. Il cardinal Cintio in appresso voleva onorarlo anche di più, ma ne fu distratto dalle pubbliche cure. Il cardinal Bonifacio Bevilacqua gli eresse un deposito in sant' Onofrio, col ritratto e con una iscrizione più giusta che elegante.

Il numero delle sue opere tutte sublimi e utilissime, sì in verso che in prosa, è vasto, come si è veduto pressoche interamente. La natura gli avea fornito lo spirito delle più nobili prerogative, ed il corpo d' un' alta maestosa presenza e dei più gravi ed insieme piacevoli modi nel conversare. La sola invidiosa perfidia, che insorge in ogni età per ammorbare la terra, costituì e mantenne sino agli estremi la dolorosa infausta catastrofe della vita di Torquato Tasso.

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CAPO II.

ESAME DELLA GERUSALEMME LIBERATA.

FRA tutti i poemi eroici scritti nell' Italiana favella, il miglior senza dubbio ed il più conosciuto è il Goffredo ossia la Gerusalemme Liberata. In virtù almeno delle traduzioni, non ignora, io credo, niun culto lettor d'ogni clima l'azione, l'andamento, i ricchi dettagli e le belle proporzioni di questo poema. Io mi dispenserò adunque di farne un'analisi seguita. Quella che quì farassi sarà fondata su d' alcune discussioni ch' io reputo col signor Ginguené molto più interessanti.

Sonosi accennate nella vita del Tasso le querele di cui la Gerusalemme Liberata fu l'oggetto. Il suo poema comparve quando quello dell' Ariosto godeva la più alta e la più unanime riputazione. Avea ben' egli compreso che tutta la perfezione di che l' epico romanzo è suscettibile era già nell' Orlando Furioso, ma che l' epopeja eroica, l'epopeja d' Omero e di Virgilio restava ancora a tentarsi dalle Italiche Muse, dopo l' infruttuoso saggio del Trissino; ed egli sperò di riuscir con onore in tale ardita intrapresa.

Era infinita la stima che faceva Torquato dell' Orlando Furioso. Basti il leggere quanto ne ha scritto ad Orazio Ariosto nepote del gran poeta colla maggiore candidezza dell' animo. Malgrado simile protestazione che non rimase punto secreta, malgrado la cura che il Tasso avea preso di seguire una strada interamente opposta a quella dell' Ariosto, i suoi nemici l'accusarono d' aver avuto la presunzione di lottare contro di lui. Fu egli ben peggio quando comparve il dialogo di Cammillo Pellegrino sull' epica poesia, dove apertamente collocavasi il Tasso al di sopra dell' Ariosto. Erasi stabilita allora in Firenze, cioè l'anno 1582, la famosa Accademia della Crusca. Aveva essa di già esaminato il dialogo del Pellegrino, ed incaricato il suo segretario di risponder per lei. "Prendesi in questa risposta, il cui primo scritto comparve al principio del 1583, vivamente la difesa dell' Ariosto, e non meno vivamente si critica il Tasso, che l'autor del dialogo aveva osato di preferirgli. Il segretario, Bastiano de' Rossi, detto nell' accademia l' Inferigno, nel suo curioso processo verbale, nella sua critica, pronunzia le più nefande letterarie bestemmie, mi esprimerò così, contra la Gerusalemme del Tasso. La Gerusalemme, egli dice, lungi dall' essere un poema, non è che una secca e fredda compilazione; l'unità che vi regna è scarsa e povera ; il suo piano è come una picciola casetta angusta e sproporzionata. Non ha fatto l'autore che ridurre in versi Italiani parecchie istorie scritte in diverse lingue; non è egli dunque poeta, ma semplice redattore in versi d' un' istoria

che non è sua. In questo poema, se pur ne merita il nome, le espressioni sono talmente contorte, aspre, forzate e disgradevoli, che si ha molta pena a comprenderle, etc. etc.

Stentasi a persuadersi oggidì che si osasse parlare in tal guisa del Tasso e del suo poema, a nome di tutta un' accademia, in faccia dell' Italia intiera. Má prima anche che il Tasso avesse risposto a simile attacco indecente, il pubblico s'era già pronunciato per lui. La sua bellissima Apologia che comparve poco dopo, e ch' egli scrisse in mezzo alle pene ed alla cattività, confuse i suoi avversarj, e terminò di guadagnargli tutti i suffragj. La replica violenta dell' Infarinato ne fece ancor meglio conoscere il merito. D'altronde, il poema ch' era così malmenato e difeso, parlava assai pel suo proprio vantaggio. Posto nel primo rango in alcune parti d'Italia, ben tosto lo fu quasi in tutte. I più istruiti ed i più saggi şi astennero di pronunziare fra il Tasso e l'Ariosto, In fatti, il loro piano, il lor genio ed il loro stile sono sì differenti, che non rimane per così dire punto verun di confronto. L'uno è più vasto, riflette coi sani giudici anche il signor Ginguené, l' altro è più regolare; l'un più fecondo, l'altro più saggio; il primo più facile e più variato, il secondo più sublime e più eguale. Il vero infine si è, come abbiamo quì sopra accennato nell' epitome della vita del Tasso, che sono entrambi questi duę incomparabili ingegni giunti per diverse strade al più sublime grado di gloria coi loro poemi,

Lasciamo da un canto la critica amara del peraltro gran Galilei. Professore di matematiche a 26 anni nell' università di Pisa, non trascurava egli punto gli studj letterarj; la filologia, o la scienzia del linguaggio, faceva le sue delizie: amava molto i versi e ne componeva egli stessso; frai poeti Italiani era in ispecie appassionato per l'Ariosto, e vuolsi che lo sapesse interamente a memoria. Ecco il motivo dell' indicata sua critica, il cui tuon generale non solamente è libero, ma derisorio e insultante. L'autore apostrofa i personaggi che operano o parlano nel poema per porre in ridicolo le loro azioni ed i loro discorsi. Non fa soprattutto alcuna grazia a Madonna Armida, che non solo egli tratta come una franca donna galante, ma come una vera femina da conio. Egli apostrofa anche il poeta ; nè a lui risparmia i più triviali e pessimi dileggiamenti con uno stile assai puro e Toscano, ma sparso soverchiamente di riboboli e d'un genere d' equivoci forse non degni d'un professore di matematiche e d' un uomo educato e cortese. Deesi credere che giovine allora, e giovine pieno di spirito, di gusto e di sana letteratura, seguendo il genio del suo paese, della sua lingua e del suo secolo, il Galilei per amor di partito giocasse piuttosto colla sua penna, come, dirò così, per parlare a sè stesso senza badare alle strette leggi della decenza, della cortesia, e dei riguardi. S'egli avesse scritto sempre su tali materie, non avrebbe riscosso tanto di gloria; ma l'Inquisizione nè meno gli avrebbe turbata e minacciata la vita, per aver

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