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comparire con tre differenti comentarj, che si aumentarono anche in appresso. Mezzo in vero molto acconcio sarebbe, consultandoli tutti, di non intender affatto Dante; perciocchè i più si contraddicono, e nelle lezioni che seguono, e nelle spiegazioni che danno.

CAPO III.

D'ONDE DEBBA RIPETERSI L'ORIGINE DELLA DIVINA COMMEDIA; ED ESTRATTO COMPLETO D' UN' OPERA NUOVA INTERESSANTISSIMA SU TALE ARGOMENTO.

Ci resta a dir qualche cosa sulle scoperte che parecchi autori Italiani an preteso di fare, pel desiderio d' informarsi dove mai Dante avesse tolta l' idea principale del suo poema. Conviene oggi lasciar francamente da un canto ogni altra opinione, e quì innanzi produrre l'estratto completo d' un opera il cui titolo: "Osservazioni intorno alla quistione promossa dal Vannozzi, dal Mazzocchi, dal Bottari, e specialmente dal P. abate D. Giuseppe Giustino di Gostanzo sopra l' Originalità della Divina Commedia di Dante, appoggiate all' Istoria della visione del monaco Casinese Alberico, ora per la prima volta pubblicata e tradotta dal Latino in Italiano da Francesco Cancellieri." Roma, 1814, etc. Questo estratto che inserisco per rendere il più giusto cordiale omaggio al prefato signor Cancellieri di Roma, mio dottissimo amico, non lascerà, io credo, che desiderare di più su d' un punto forse più curioso in sostanza che utile.

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E' sì numerosa la folla de' comentatori della Divina Commedia di Dante e degli scrittori della sua vita, che può formarsene una copiosa bibblioteca. E pure, quantunque sembri, che nulla omai rimanga da aggiugnere a tante ricerche, nondimeno le presenti osservazioni, ristrette ad un volume di soli 12 fogli, non solo contengono il sugo e l'estratto di quanto si è finora detto da tutti gli altri; ma molte altre pellegrine notizie, non ancor pubblicate, e condite con una salsa continua di note le più gustose, e scritte con lo stile il più terso ed elegante. Il principale oggetto, che si è prefisso l'autore, è stato l'esame della controversa originalità del poema. Egli dunque ricerca, se il suo lavoro sia stato inventato da un seguace di Wiclefo, come sognò il visionario Arduino; o se n'abbia presa l'idea dal romanzo di Guerino da Durazzo, detto Il Meschino; o dal Tesoretto di Brunetto Latini, o da qualche altro antico favoleggiatore; ovvero dal ferale spettacolo, come opina fra gli altri il chiarissimo istorico signor Denina, dato in Firenze nel 1341, per l'ingresso del cardinal Niccolò da Prato. Avendo esclusa la probabilità, che abbia potuto prevalersi di questi modelli, si stende ad investigare, se monsignor Bonifazio Vannozzi, il canonico Mazzocchi, monsignor Bottari, ai quali si sono uniti il conte Mazzucchelli, il padre Zaccaria, il padre Eustachio d' Afflitto, e specialmente il padre abate di Gostanzo, abbiano avuto giusto motivo di credere che siasi piuttosto il Dante prefisso per guida la visione del Casinese Alberico, scritta circa il 1192. Il Bottari in

una lettera inserita nel tomo settimo delle Simbole del Gori, e il padre abate in una sua lettera sopra un antico testo Casinese a penna del Dante, ne anno trattato più lungamente degli altri, e fattone qualche confronto. Ma affinchè ognuno potesse anche meglio da sè stesso giudicarne, si è risoluto di far dono al pubblico dell' intiera visione da una copia fattane dal padre abate D. Costantino Gaetani esistente fra' suoi MSS. nella bibblioteca Alessandrina della Sapienza; ed al cui rincontro ha aggiunta la traduzione Italiana, che non poteva essere più corretta ed esatta. Da questa apparisce la gran somiglianza che passa fra di esso e 'l poema del Dante. Alberico è rapito da una colomba, egli da un' aquila *. Il primo è guidato da S. Pietro; il secondo da Virgilio. Questi libera il poeta, quegli il garzoncello, da' demonj che tentano di ghermirli. Il medesimo fa un viaggio di nove giorni per l' Inferno, il Purgatorio e 'l Paradiso, l'altro di sette. Le descrizioni delle pene, le lagune di sangue, i fiumi di pece ardente, i laghi di fuoco, le valli di gelo, i pozzi profondi, i giri per le sfere celesti, i paragoni del verme col demonio, de' peccatori cotti come le carni lesse, e molte altre cose ancora perfettamente si rassomigliano. Come però tutto è stato scritto languidamente in prosa Latina dall' estatico Alberico; così tutto è stato nobilitato, migliorato e perfezionato dal sovrano poeta co' suoi robusti e sonori

* Non si parla, a dir vero, dell' aquila su tal proposito nel poema di Dante.

versi Italiani. Asserisce Mario Filelfo, ch' egli è venuto una volta ambasciatore in Roma, è ch'è due volte passato a Napoli collo stesso grado. Varie sono le obbiezioni fatte a questo racconto; poichè gli scrittori della sua vita non danno veruno indizio di queste triplici ambascerie. Ma ancorchè voglia accordarsi, che Dante non sia mai passato per Monte Casino, nè sia stato a Napoli, può nondimeno aver avuto d' altronde contezza di tal visione, di cui si erano divulgate moltissime copie, e che si era ancora rappresentata in molti luoghi da varj pittori. Siccome poi non si è creduto di derogare alla sua gloria, ammettendo ch' egli abbia imitato Omero e Virgilio; così non viene a farglisi verun torto, se si concede ancora che, essendosi prefisso di formare un poema cristiano, abbia scelta quest' altra guida molto più adatta d'ogni altra al suo disegno. Nondimeno si rende conto di tutti i difensori della sua assoluta originalità, quali sono, oltre lo Speroni, il Bettinelli, il Corniani, l'Estensore del prospetto del Parnaso Italiano al num. 21 del Giornale Pisano, il signor Luigi Portirelli, professore di umane lettere in Brera, benemerito editore della Divina Commedia, ed il padre Pompilio Pozzetti, che ha risposto al signor professore Luigi Canali, il quale si è unito al parere di monsignor Bottari e del padre abate di Gostanzo.

Ma benchè questo sia il principale assunto dell' autore, pure colla sua prodigiosa erudizione si è esteso a darci le più curiose e interessanti notizie sulla genea

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