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Se il Conte Ugolino l' avea mai tradita, non doveva almeno inviluppare nel suo supplizio i suoi figli, la cui sì tenera età attestava la loro innocenza. Chiama egli questa città Tebe novella e la vergogna d' Italia. Dacchè i popoli vicini non ne fanno giustizia, egli desidera che le picciole isole di Capraja e della Gorgone, situate presso l'imboccatura dell' Arno, si stacchino, fermino il corso del fiume, e ne facciano risalire le acque, per isboccare in Pisa stessa a sommergere interamente i suoi abitanti.

Siffatta spaventosa e terribile scena dee rendere languido e debole tutto ciò che l' Inferno stesso può anche offrire. Si considera poco ed uno Alberico che avea fatto massacrare tutti i suoi parenti ad un pranzo che diede loro, ed alcuni altri miserabili conficcati nel ghiaccio, la testa a rovescio, e le lagrime gelate ed accumulate negli occhi. E' di parere il signor Ginguené, che dispiaccia non aver Dante compreso ciò, nè aver visto che dal momento nel quale Ugolino parlò dal fondo della voragine, egli non potea meglio far che d' uscirne, Ma non vi resta già lungamente. Entrato nella quarta ed ultima divisione di quest' ultimo cerchio, dove si puniscono i traditori i più colpevoli, egli vede ondeggiar lo stendardo del principe degli abissi (Canto XXXIV);

Vexilla regis prodeunt inferni, etc.

Seorge, traversandone lo spazio, i dannati che lo riempiono, coperti d' un ghiaccio trasparente, in diversi at

teggiamenti, e come oggetti conservati entro d'un vetro. Tutto si tace. Dopo l'agitazione bollente degli altri cerchj, forse più non restava, per colpire l'immaginazione, e per farle concepire l' ultimo eccesso del dolore, altro mezzo che il silenzio. Nel centro regna Lucifero, sepolto sino alle rena nel ghiaccio. La sua statura più che gigantesca, la sua spaventevole difformità, sono dipinte coi tratti i più forti che è stato al poeta possibile. Dovette ciò fare una gran sensazione in quell'epoca, ove la sola molle della morale era il timore, ove quella del timore era il diavolo, e ove studiavasi ognuno di caricare il diavolo di tutto quello che poteva incutere maggiore spavento. Oggi dì è del tutto un' altra cosa.

Senza dunque occuparci delle tre enormi facce del mostro, l'una rossa, l' altra nera, e la terza giallastra, delle sue tre gole schiumanti che divorano eternamente tre dannati, delle sei smisurate ali, e di tutto il rimanente di sì orribile colosso, basta di ricordarci che il centro dell' Inferno, ove l' arcangelo ribelle è sommerso, è del pari il centro della terra, e di vedere il partito che Dante ha ritratto da simile idea. Prendelo Virgilio sulle sue spalle, coglie il momento in cui Lucifero cessa d' agitare le sue sei ale, si aggrappa alle falde di ghiaccio, di che sono coperti i fianchi del mostro come d'un folto vello, e discende così fino alla sua cintura. Allora, tenendosi più fortemente ai peli, volge con molti sforzi la testa ov' egli aveva i piedi, e monta in luogo di scendere. Esce alfine Virgilio per l' apertura d' uno scoglio,

depone Dante sull' orlo, e vi monta dopo di lui. Le gambe rovesciate di Satanasso escono per questo spiraglio. Stassene ei là sempre diritto nel luogo in cui dal cielo precipitò. Ei si sprofonda sino al centro della terra, e resta immobile. Là cessa di operare quella forza di gravitazione che strascina tutti i corpi pesanti; ed è assai da notarsi che, frammezzo la pessima fisica dalle spiegazioni supposta che dà in seguito degli effetti prodotti sulla forma della terra per la caduta anche di Satanno, abbia Dante avuto una simile idea. Egli l'annuncia chiaramente colle seguenti parole che mette, in bocca di Virgilio :

Tu passasti il punto

Al qual si traggon d'ogni parte i pesi.

Al di sopra del luogo in cui i poeti sonosi assisi, cade un ruscello attraverso gli scogli; salgono essi l' un dopo l'altro per la strada stretta e difficile che l'acqua ha scavata; veggono infine ricomparire la luce, e si trovano, compiute tante fatiche, ricondotti a godere dello splendore del giorno.

CAPO VI.

ANALISI DEL PURGATORIO.

SE mai sentire si è fatta l'inspirazione nei canti d'un poeta, ciò sicuramente accade nei primi versi che Dante lascia sfuggire con una specie di rapimento, abbandonando l' Inferno per regioni men orride, o dove almeno la speranza accompagna e addolcisce i tormenti. Tutto ad un tratto prende il suo stile un tal brio, una tale serenità che appieno annunzia il suo nuovo soggetto. Toglie le sue metafore tutte da oggetti ridenti. Egli è prodigo senza sforzo di ricche immagini, di figure ardite, e porge alla lingua Toscana un volo ch'essa non avea mai avuto sino allora, e che non ha mai oltrepassato di poi. Per vogare, egli dice (Canto I), sopra un' onda più favorevole, la navicella del mio ingegno dirizza le vele, e lasciasi dietro quel mar sì terribile. Io cantar voglio questo secondo regno, ove l'anima umana si purifica e fassi degna di salire al cielo. Ma quì, o sacre Muse, dacchè io son tutto a voi, che' rinasca la morta poesia, che Calliope sollevi un poco i miei canti, ch' essa gli accompagni con quei concenti, da cui le infelici figlie di Pierio si sentiron colpire, e che tolsero loro ogni speranza di perdono :

1

Per correr miglior acqua alza le vele
Omai la navicella del mio ingegno

Che lascia dietro a sè mar sì crudele, etc.

Poscia comincia subitamente così il suo racconto con una descrizione quasi incantatrice: Il dolce colore dello zaffiro orientale, che si condensava nella prospettiva ridente d'un aere puro sino al primo cerchio de' cieli, rese a' miei occhi ogni loro diletto, tosto che uscii dall' aere infernale che unitamente al mio cuore me gli aveva attristati :

Dolce color d' oriental zaffiro

Che s'accoglieva nel sereno aspetto
Dell' aer puro, infino al primo giro,

Agli occhi miei ricominciò diletto, etc.

La sua lira è temprata su questo tuono; egli continua: Il bell' astro che invita all' amore, rallegrava tutto l'oriente, quand' io mi voltai verso l'uno de' poli, e che sfavillare vi vidi quattro stelle le quali non furon mai viste che dalla prima razza degli uomini. Sventurato Settentrione, tu sei vedovo e da compiangersi sempre, poichè non puoi tu vederle :

O Settentrional vedovo sito,

Po' che privato se' di mirar quelle !

Lasciando a parte il senso allegorico di tali stelle, e le quattro virtù di cui vi mirano i comentatori l'emblema, vi ha egli mai, scrive a ragione il signor Ginguené, una poesia più brillante, più fulgida, per così dire, e che

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