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resistenza del vecchio maniero, (il quale già costrinse le armi imperiali del conte d'Acerra ad affidarsi all'ultima ratio del vil mezzo di fame), ma che doveva pure ribadire

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inconsciamente la loro condanna sotto l'unghia vigile di un padrone vario di nome. ed eguale per prepotenza.

Federico II concesse il permesso nel 1227, ma non volle che col popolo tornasse

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il traditore conte Tommaso. Per lui rientrarono in possesso gli antichi feudatari che costruirono un castello piccolo, provvisorio, legato alla chiesetta di S. Angelo, donato più tardi ai frati Celestini. E verso il 1392 il conte Pietro intraprese sul punto più alto la costruzione del monumento d'arte militare che ancora s'ammira.

Si sale per un labirinto di mura salde e tronche e si giunge sullo spianato da

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vanti alla facciata, dove il ponte levatoio permetteva il passaggio sul fosso rinterrato, per l'ingresso principale. In alto si vede una teoria di merli sporgenti su mensole, che ricorre elegante in tutto il giro dell'edificio, lasciando intorno la corsia di un ballatoio aperto alla migliore vista. La teoria è riprodotta in fregio per corona delle quattro torri che di poco soverchiano la parte più massiccia. La base di pietra quadrata in

cui s'apre la porta bassa con l'arco depresso e la cornice altissima, dalla linea semplice e dolce come foglia d'ulivo sfuma lentamente nel misto irregolare d'ogni forma e d'ogni resistenza. Le finestre e le feritoie sbucano senz'ordine, ornate di pietra liscia o di pietra lavorata che contrasta con l'accozzaglia di materiale disordinante la linea sicura dell' insieme. Varietà di finestre dapertutto, in ogni lato, e fra parecchie storture alcune bifore e una trifora dolcissime, una loggetta elegante e leggera.

Entrando per la porta centrale

si passa in solenne. Un

originalissima nel contrasto tra l'apertura e l'intera forma mitrale, un giorno ridente d'immagini, di colori e di parole col ricordo dell'opera compiuta per volontà di Lionello Acclozzamora nel 1451 una specie d'antrone tetro che accompagna verso un cortile greve e primo ordine di colonne di granito congiunte con arco acuto, apre in giro un primo portico terreno; un secondo di colonne più graziose e più vicine, terminate da capitelli più vari e più finiti, ed unite con arco tondo, regge il secondo portico dovuto ad epoca posteriore. Nel mezzo, una cisterna grande quanto il cortile, con parapetto di pietra e due pilastri; nell'arco della scalinata maggiore, lo stemma dei Savelli con la data del 1697; ed a sinistra dell'arco, un affresco brutto e deturpato raffigurante S. Sebastiano, forse per devozione del custode, secondo l'uso del tempo.

Nel piano superiore, soltanto qualche misera traccia degli antichi dipinti, dell'antico splendore, e solo il portale della cappella privata con lo stemma dei Piccolomini e un delizioso fregio di capitelli.

In cima, sul ballatoio e sopra le torri, non resta viva che la bella vista, sempre meravigliosa. La corona delle torri è in gran parte diruta, un lato del ballatoio è inservibile e pericoloso, e la freschezza che ne circonda rinnovandosi senza posa, rende ancora più desolata questa lenta rovina. Uno sterile arboscello, nato sopra una torre, guarda la Valverde pingue e sembra il simbolo della memoria feudale che si spegne.

La reggia massiccia e le torri di difesa rattoppate e caricate di casette, sembrano un alveare umano. Dai fori irregolari che già incorniciavano le figure troppo regolari in livrea ferrata, spuntano le teste più varie, più serene e più inermi, scende il tralcio del garofano rosso che svela una giovinetta in attesa del compagno. E una macchina da cucire ripete il suo ritmo veloce, e il canto di due fanciulle gli ultimi stornelli campestri, nella breve sosta d'intermezzo.

Il popolo gira dapertutto, entra senz'attesa di licenza ed abita tranquillamente una delle tante piccole parti della gran casa gentilizia. I fanciulli giocano scalzi e lieti intorno al fossato, e le galline coi pulcini raspano le fondamenta del colosso che cede a poco a poco alle mille insidie. Il popolo ha conquistato il castello senza sforzo perchè questo più non resiste, è in dissolvimento; e se non giunge presto una mano possente che muova tante mani, sarà presto perduto per tutti uno dei più comodi, più sani e più bei monumenti dell'arte medioevale.

La chiesetta di S. Angelo, con l'unito convento, segna accanto al castello nuovo il posto dell'antico. La facciata molto semplice acquista rilievo per un portale e una finestra tonda. Il portale non ha che due colonnine con leoncini di base e capitelli in marmo rosso, e una sola fascia nell'archivolta con fregio a fogliami. La finestra

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