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per reggerne i fianchi, quali saracinesche per chiuderne gli sbocchi e quali ordegni per abbassarle. Gli avanzi, compresa la costruzione su tre archi che celava le macchine della prima saracinesca creduta loggia da cui Claudio assistesse alla solenne inaugurazione rimasero intatti fino all'epoca dei nuovi lavori.

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All'inizio di questi, scavando fra la mota del pozzo antico, fu trovato un pesante bassorilievo che forse ornava la fronte delle opere avanzate dell'Emissario insieme ai piccoli frammenti di altre pietre decorative trovate nello stesso luogo. Forse furono spostati al tempo dei tentativi di restauro ordinati da Federico II. Il bassorilievo maggiore raffigura una città ad anfiteatro sulle sponde del lago, con le mura e le porte turrite, le case arrampicate sul pendio, una villa ricca di verde e di colonne a destra, un rustico tempio con una grand'ara in alto. Evidentemente è anch'esso un frammento, e da ciò che resta si ha l'immagine di una città impor

tante. Si crede sia l'antica Angizia chiamatai Lucus da Plinio il vecchio e Penne da Febonio.

Dei tre frammenti minori, il più piccolo, quello riprodotto sulla cornice del

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maggiore, è senza dubbio parte di esso. Degli altri due, uno rappresenta il lato di un tempio con l'intero ordine di colonne e gli avanzi di una serie di statuine raffiguranti divinità diverse, l'altro l'ingresso di una villa sontuosa con mura e giardini a gradi sulla collina.

Dell' Incile romano non vi è altra traccia. Quello moderno non è più vicino alla montagna, dista dall'antico 660 metri verso il lago. Vi appare subito come una enorme

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costruzione bianca, tra il verde anch'esso gigante, che attenda il tributo del Gran collettore, un canale lungo otto chilometri e largo quindici metri. Il fabbricato a grossi massi di calcare: è insieme testa dell'emissario, bacino di caricamento e barriera di regola e di sicurezza. La testa dell' Emissario è come un ponte con tre piloni, con tre bocche armate del congegno che regola l'ingresso dell'acque nel bacino. Il bacino profondo scende con due ripiani uniti da un enorme gradone curvo, e lastrica la via verso le due gole sbarrate dalle saracinesche. Sulla barriera poi si leva un fabbricato di custodia, e su questo un blocco di 190 quintali che posa come dado di base della Concezione. L'architettura sobria s'addice all'opera di forza più che di bellezza, e la statua non manca di qualche pregio d'espressione.

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L'acqua del gran canale passa come un fiume rapido relegato fra due file di giganti, di pioppi altissimi che gli fan guardia serrati e minacciosi. Giunge al ponte bianco come stanca d'esser guardata a vista, s' infrange appena gorgogliando, si caccia nelle tre bocche, si curva sul gradone, e con rombo disperato precipita nel secondo piano del bacino; s'attarda un istante, si mescola e si lava nel gorgo della sua schiuma, e poi scompare in una corsa folle verso l'ignoto, verso la gola scura scavata dagli schiavi. Il canale a perdita d'occhio, la gran massa d'acqua e il rombo continuo, fanno sentire tutta la potenza dell'opera, tutta la lotta cruenta fra l'uomo e le cose.

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Tra l' Incile romano e le altre opere esterne la distanza era molto breve, ma ora è quasi raddoppiata. Per una strada non meno polverosa dell' altra che pare anch'essa una vendetta della terra costretta al bagno continuo di tanti secoli arriva sotto il monte Salviano, il più basso e il più monotono della corona fucense, quello che digrada sul colle di Cesolino, dalla parte dove in tempi remotissimi aveva forse uscita il lago verso il piano d'Alba, i campi Palentini, Capistrello e il fiume Liri. La montagna lunga, uniforme e scialba mostra l'anima grigia per le sdruciture della coperta gialliccia, e radi ciuffi di bosso e di ginepro nano vi si attardano qua e là sperduti. Nessuno v' indugerebbe lo sguardo, se non vi restasse eterna una memoria di potenza, di dolore e di vittoria.

Cinque cunicoli corrono verso la salita e solo quattro spalancano le bocche ad arco a misura che si sale. Il quinto è tutto rinterrato e i tre ultimi si accavallano,

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