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BREVI NOTIZIE SU VERGILIO

Le principali notizie su Vergilio ci provengono, oltre le poche che dobbiamo a lui stesso, da tre biografie antiche: una di Servio, una che va sotto il nome di Probo e una attribuita a Donato, che non sappiamo quale dei due Donati sia, se Elio o Tiberio Claudio. Quest'ultima è la più estesa, ma è anche inquinata di interpolazioni, che crebbero notevolmente nel secolo XV 1).

Publio Vergilio 2) Marone nacque a Pietola (lat. Andes), villaggio di Mantova, il 15 ottobre del 70 av. Cr. da genitori oscuri, ma agiati, che vivevano della rendita di un loro podere. Fece i primi studi a Cremona, dove rimase fino all'anno sedicesimo della sua età (55), nel quale vestì la toga virile e passò a Milano; di là andò nel 53 a studiare a Roma, frequentando specialmente la scuola dell'epicureo Sirone. Nel 45 circa si ritirò nel natìo villaggio e ivi fece i suoi primi tentativi poetici, i quali o non furono mai pubblicati o andarono in seguito perduti, essendoci gravi ragioni per credere che non siano autentici nè il Culex nè tutti gli altri componimenti giovanili, che gli vengono attribuiti e a cui si dà comunemente il titolo di Appendix Vergiliana. La collezione dell'Appendix si formò all'incirca tra il 35 a. Cr. e il 50 dopo Cr. e pare che in origine contenesse i seguenti lavori (septem ioca iuvenalia Vergili): il Culex, le Dirae 3), la Copa, l'Aetna, la Ciris, 16 Epi

(1) Per la biografia di Donato vedasi quello che ne scrissi negli Studi italiani di filologia class. V 384-388; VII 39-41.

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(2) Sulla varia fortuna del nome Vergilius' ho dato notizie nella Rivista di filologia XXVII 93-94 e negli Studi ital. VII 41-43. La forma schiettamente popolare italiana è Vergilio, la letteraria Virgilio ': tra le due la scelta, come tra Aristotile eAristotele '.

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(3) Nelle Dirae è compresa anche la Lydia, perchè i due componimenti son dati dai manoscritti come uno solo.

grammata e 3 Priapea (Catalepton). Successivamente vi si aggiunsero anche il Moretum, le Elegiae in Maecenatem, tre poesie di Ausonio (De est et non; De viro bono; De rosis nascentibus) e più altre ancora.

Il suo autore prediletto in quel tempo era Teocrito, che gli suggerì l'idea ardita (Georg. IV 565 audax iuventa) di dare a Roma il primo esempio di carme bucolico:

prima Syracosio dignata est ludere versu

nostra..... Thalia (Ecl. VI 1-2).

Così compose le 10 Egloghe, a istigazione anche di C. Asinio Pollione (Ecl. VIII 11-12 iussis carmina coepta tuis), che appunto allora, nel 42, governava in nome di Antonio la Gallia traspadana, di cui Mantova faceva parte. Vergilio fu l'anno seguente (41) turbato nella sua tranquillità, poichè nella divisione delle terre di Cremona, concesse da Ottaviano ai suoi veterani, anche la vicina Mantova, sebbene non compresa nel decreto, fu messa a ruba (cfr. Ecl. IX 28 Mantua vae miserae nimium vicina Cremonae) e Vergilio pure avrebbe perduto il suo podere, senza l'interposizione di Pollione e Cornelio Gallo e la generosità di Ottaviano, al quale ricorse a Roma (Ecl. I 42-45). L'anno dopo (40), per i torbidi della guerra di Perugia, si ripetè il medesimo caso, e Vergilio fu, con pericolo della vita, effettivamente spogliato (Ecl. IX 7-16), ma venne risarcito dalla benevolenza di Ottaviano, sia che riacquistasse la sua villa, sia che ricevesse in compenso altre terre.

Le Egloghe furono composte in tre anni, dall'autunno del 42 all'autunno del 39, e pubblicate dall'autore subito dopo, non però in ordine cronologico, il quale si restituirebbe, secondo il Cartault, con la seguente successione: II. III. V. IV. VI. VII. VIII. I. IX. X.

Dal 38 circa in poi Vergilio si ritirò nella Campania, dove trascorse la seconda parte della sua vita. A Napoli pose mano, studiis florens ignobilis oti (Georg. IV 564), alla Georgica, intorno alla quale lavorò sette anni, fino al 30. Anche nella Georgica, come nella Bucolica, egli diede ai Romani un com

ponimento di un genere sino a quel tempo intentato (Georg. II 174-175; III 40-41), facendo quello che per i Greci aveva gia fatto Esiodo coi suoi Ἔργα καὶ ἡμέραι : e per questo e non per altro lo chiamò Ascraeum carmen (Georg. II 176). La Georgica fu dall'autore pubblicata e recitata ad Augusto nell'estate del 29; più tardi mutò la seconda metà del lib. IV, sostituendo all'elogio di Cornelio Gallo la favola di Orfeo.

Finalmente nel 29 intraprese l'opera sua massima, l'Eneide, intorno a cui lavorò undici anni. Nel 19 si mise in viaggio per la Grecia e per l'Asia, dove si proponeva di limarla a suo agio in tre anni; ma ad Atene, incontrato Ottaviano che tornava dall'oriente, si lasciò persuadere ad accompagnarlo. S'imbarcò che era malato, e poco dopo essere sbarcato a Brindisi, nel 22 settembre del 19 morì. Il suo corpo fu portato a Napoli e sepolto sulla via di Pozzuoli.

Era intenzione di Vergilio che l'Eneide si bruciasse, perchè imperfetta, ma Augusto non lo permise e affidò a due dei più cari amici di lui, Tucca e Vario, la cura di pubblicarla.

E non per finta, ma per sincero convincimento bisogna credere che volesse Vergilio impedirne la pubblicazione, poichè nessuno meglio di lui ne conosceva i molteplici e gravissimi difetti; i quali nascevano da ciò, che egli, sbozzatone un primitivo disegno in prosa, lavorò le singole scene indipendentemente l'una dall'altra, non osservando l'ordine in cui avrebbero dovuto succedersi nel poema, taluna perfino senza destinarle sin da principio un posto determinato. Così procedette per i singoli libri, versificandoli non nell'ordine in cui noi presentemente li leggiamo. E sui libri e sulle scene già composte ritornò più volte, introducendovi rimutamenti e giunte e non tenendo conto di quello che aveva scritto prima o di quello che avrebbe scritto dopo. Niente di più naturale perciò che di tanti ritocchi e di tante nuove inserzioni rimanessero le tracce. E si direbbe anzi

che fosse insito nell'indole del poeta di lavorare a questo modo, perchè lasciando un componimento di vasta mole come l'Eneide, nemmeno nell'àmbito di 250 versi, quanti ne comprende la seconda metà della IV Georgica, seppe mettere l'episodio di Orfeo, sostituito a quello di Gallo, in pieno accordo con la prima metà del libro; ma che dico? nemmeno nelle Ecl. I. IV. IX, che contengono 83, 63 e 67 versi, seppe fondere in perfetta unità elementi primitivi ed elementi posteriori. Di qui le numerose e strane contraddizioni dell'Eneide, così numerose e così strane, da renderla per questo riguardo unica nel suo genere, intendo nel genere delle epopee personali; poichè, per quanto sia possibile e agevole scovar contraddizioni e incongruenze in componimenti lunghi e brevi, sì in poesia che in prosa, specialmente della letteratura romana, nessuno raggiunse o raggiungerà mai la misura e la natura di quelle dell'Eneide.

Nè con ciò si vuol dire che essa difetti di unità. Solo bisogna distinguere la piccola dalla grande unità, l'unità materiale e di esecuzione dall'unità ideale. Chè se manca all'Eneide la piccola unità, e per i lettori comuni nemmeno questa, imperciocchè nessuno percorrendo o uno o tutti i libri avverte gli slegamenti o le disuguaglianze quali si rivelano al critico: non le manca per contro la grande unità ideale, dove son raccolti e fusi in mirabile armonia materiali svariatissimi e disparatissimi, greci e italici, religiosi e profani, favolosi e storici, popolari e letterari, dominati tutti e illuminati da un altissimo concetto nazionale. E anche per questo riguardo l'Eneide è nel suo genere, nel genere, ripeto, delle epopee personali, il monumento più insigne e degno perciò dell'immensa popolarità goduta traverso i secoli.

Già fin dal 26 av. Cr., mentre era ancora in gestazione, Properzio la annunziava con nescio quid maius nascitur Iliade (II 34, 66); e quando uscì alla luce, fu accolta dalla generale ammirazione. Ben tosto entrò nelle scuole, dove i grammatici la adoperavano per l'insegnamento della lettura e della lingua, e i retori ne traevano i temi delle loro esercitazioni. I poeti la imitavano e dei suoi versi formavano centoni; gli autori di

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