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grammatiche sceglievano di là gli esempi per le regole; e una schiera di commentatori, dei quali Servio e Tiberio Claudio Donato pervennero a noi, la illustravano ampiamente. E di pari passo con la fama dell'Eneide si diffondeva e cresceva quella di Vergilio, che a poco a poco venne in concetto di grande sapiente, soprattutto in grazia dei sensi riposti che i commentatori scoprivano nel poema per via dell'interpretazione allegorica. L'allegoria prese piede specialmente nel medio evo, fino a toccare una misura inaspettata e mostruosa in Fulgenzio; a ciò si aggiunga che l'Eneide continuava a dominare come testo nelle scuole di grammatica e che in essa trovava la sua più alta espressione l'idea medievale dell'impero: e non si durerà nessuna fatica a comprendere come Vergilio sia per Dante il 'savio gentil che tutto seppe,. Che se poi questa idea di somma sapienza la separiamo dalla conoscenza diretta del poema, donde si era generata, non parrà nemmeno strano che Vergilio si tras. formasse in genio tutelare, come avvenne nella fantasia del volgo di Napoli, e da ultimo in mago 1).

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L'Eneide è un poema nazionale su fondo mitologico greco. Il primo pensiero di Vergilio fu di scegliere un argomento nazionale, poichè avanti ancora di accingersi alle Bucoliche egli voleva cantare le Res Romanas, secondo Donato (p. 58 R), o le Gesta regum Albanorum, secondo Servio (ad Ecl. VI 3); ma non ne fece nulla. Sul punto di finir le Georgiche, nel 30 av. Cr., ritornò al suo antico pensiero e promise un poema sulle imprese di Ottaviano (Georg. III 3-48), manifestando chiara l'intenzione di lasciar da parte la materia mitologica greca e di prender per modello Ennio (v. 9), l'autore degli Annales; ma anche questa volta non ne fece nulla, perchè abbandonò il poema di Ottaviano e l'anno di poi, il 29, intraprese il poema di Enea. Non sappiamo quali ragioni l'abbiano indotto alla

(1) Il Comparetti (Virgilio nel medio evo II, p. 19-20) sostiene che la leggenda napoletana di Vergilio mago non ha legame con la tradizione letteraria.

nuova scelta; ma è ovvio scorgere che egli non cambiò materia, bensì la ampliò e ne capovolse i termini: la ampliò, perchè il poema di Enea comprende in sè il poema di Ottaviano, le cui imprese sono ricordate ed esaltate per via di predizioni (Aen. I 286-296; VI 791-805; VIII 675-728); ne capovolse i termini, perchè nel poema di Ottaviano dalle imprese di costui doveva risalire agli antenati troiani (Georg. III 47-48), nell'Eneide invece da Enea, antenato troiano, discende ai posteri romani; ivi il nucleo era storico, preistorici gli accessorii, qui preistorico il nucleo, storici gli accessorii.

L'Eneide pertanto canta un argomento nazionale per quello che riguarda gli accessorii; e in ciò Vergilio rimase fedele alla sua primitiva idea; ma è nazionale anche per quello che riguarda il nucleo, poichè la leggenda d'Enea, pur essendosi formata tra i Greci, fu ben presto accolta tra i Romani, fino a diventarvi nazionale.

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La storia della diffusione della leggenda è abbastanza chiara. Omero conosce una profezia (II. XX 302; 307-308), che assegnava a Enea un glorioso e durevole impero sopra i Troiani, ma senza alcun indizio di una relazione di Enea col Lazio. Il primo che sappia del viaggio d'Enea fuori dei confini troiani è il siciliano Stesicoro (632-553 av. Cr.), che lo fa arrivare, sembra, fino a Cuma. Col Lazio poi lo connettono strettamente Callia (300 circa av. Cr.) e Timeo (262 av. Cr.), contemporaneo di Pirro. A Roma la leggenda penetrò forse verso il 350 av. Cr. Al tempo della prima guerra punica doveva essere abbastanza nota, perchè Nevio ne fece argomento all'introduzione del suo Bellum Poenicum, dove narrava della fuga di Enea col padre, delle sue avventure in mare, dell'accoglienza avuta a Cartagine e dell'approdo nel Lazio. Fissata che fu definitivamente, ne trattarono, ampliandola e modificandola, Ennio, Catone e Cassio Emina; Varrone ne fece oggetto di profonde ricerche archeologiche; e da ultimo Vergilio la eternò nel suo poema.

Oscura è al contrario la leggenda per ciò che concerne la formazione del mito, sul quale ecco quanto possiamo congetturare. I coloni greci, stabilitisi sulle coste dei mari d'occidente, fermarono in vari punti delle nuove sedi i racconti della loro mitologia e i personaggi specialmente dell'epopea omerica. Naturalmente i primi personaggi presi di mira erano i propri connazionali, come Ulisse, Diomede e altri; ma in processo di tempo ai connazionali si vennero congiungendo anche i troiani, in un modo molto semplice. Raccontavano cioè molto leggende 'che varie città e regioni dell'Italia meridionale avevano avuto il nome da una donna troiana, la quale, con altre prigioniere della stessa stirpe, veniva trasportata sulle navi degli Achei reduci da Troia. Costei stanca della navigazione e della sorte che l'attendeva nella patria dei vincitori, spingeva le compagne ad abbruciar le navi. Gli Achei obbligati a prendere sede in codeste località, avrebbero così fondato varie città di origine troiana 1)'.

Per tal modo accanto alle emigrazioni greche si ebbero le emigrazioni troiane. Infatti nella Tracia alle foci dell'Ebro incontriamo Polidoro, figlio di Priamo; nell'Epiro Eleno, altro figlio di Priamo, e Andromaca, la vedova di Ettore; una colonia troiana troviamo nella Sicilia occidentale intorno al monte Erice, e una lungo le coste tirrene, particolarmente a Cuma ; e un'altra in Roma stessa. Qualche luogo aveva affinità di religione con Troia, quale p. es. Creta, dal cui monte Ida si raccontava fosse derivato all'Ida frigio il culto di Cibele.

Con tutti questi luoghi occupati dai Troiani o altrimenti posti con essi in relazione si immischiò a poco a poco il nome di Enea, non sappiamo precisamente in qual tempo nè per quali vincoli. Uno però dei vincoli deve riconoscersi nell'essere Enea figlio di Afrodite e nell'esser Afrodite venerata anche sotto il titolo di Aiveiάg, titolo di cui ignoriamo il significato, ma nel quale gli antichi scorsero un nesso etimologico col nome

(1) Le parole virgolate sono di E. Pais Storia di Roma 1 1 p. 162163, Torino 1898. Chi desideri maggiori informazioni e discussioni sull'argomento, legga ivi tutto il capitolo II.

dell'eroe troiano Αἰνείας. Ora siccome 'Αφροδίτη Αινειάς aveva templi in parecchi dei luoghi occupati dai Troiani, così fu ovvio agli storici e ai poeti antichi attribuirne la fondazione ad Enea. Nella Sicilia occidentale parimenti c'era il tempio famoso di Venus Erycina; e ciò contribuì a far di quei paraggi una delle sedi più importanti d'Enea; e quando Cartagine accolse dai Troiani dell'Erice il culto di Afrodite, divenne anch'essa una delle sedi visitate da Enea. Da ultimo Enea passò col culto di Venere a Lavinio, chiudendo ivi la lunga serie delle sue peregrinazioni; ma a chi si debba la connessione di lui con Lavinio, se a Cuma, a Erice o a Cartagine, è questione difficile e forse impossibile a risolvere.

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Vergilio si tenne ligio alla scuola di Ennio nella scelta dell'argomento, ma nella struttura epica lo dovette abbandonare per seguire la scuola d'Omero: dall'un canto perchè gli Annales non erano più che una cronaca versificata, dall'altro perchè in un tempo, in cui dominava sovrana l'imitazione greca, sottraendosi egli alle regole dell'epopea omerica correva rischio di non farsi leggere, oltrechè avrebbe rivelato mancanza di genio artistico. Tra i due poemi omerici non esitò un istante a prendersi per modello l'Odissea, meno sublime certamente e meno originale dell'Iliade, ma superiore nel congegno e di maggiore perfezione tecnica. Ciò videro benissimo gli antichi Romani; e non per nulla infatti Livio Andronico, quando volle dare tradotto uno dei due poemi omerici, preferì l'Odissea; e non per nulla Orazio, quando volle offrire un esempio di esordio, lo tolse dall' Odissea (Ar. p. 141-142) e di là trasse il famoso precetto del rapere auditorem in medias res (ibid. 148-149), tanto famoso che diventò o meglio era diventato proverbiale). Che se Properzio paragonò l'Eneide all'Iliade (II 34, 66), ciò fu per essersi egli lasciato ingannare dalla parola arma (I 1) con cui cominciava. E se godette tanta fortuna tra gli antichi,

(1) Quintil. VII 10, 11 more Homerico a mediis vel ultimis.

e tanta continua a goderne tra i moderni, il luogo comune, che troviamo già formulato in Donato (p. 59), vale a dire che l'Eneide è amborum Homeri carminum instar, ciò non si riferisce all'orditura epica, bensì alla rassomiglianza della materia, perchè nei primi sei libri l'Eneide mette, com'era naturale, più a contribuzione l'Odissea, trattandosi di avventure di viaggio, e negli ultimi sei, trattandosi di guerre, è specialmente modellata sull'Iliade, quantunque non bisogna dimenticare che nella prima parte dell'Eneide un libro intero, il V, deriva dal XXIII dell'Iliade.

Ma nella struttura l'Eneide segue pedissequamente l'Odissea, copiandone il titolo 1), la prefazione ed entrando subito in medias res. Il numero dei libri vi è ridotto alla metà: da 24 a 12; e alla metà quello dei libri nei quali l'eroe racconta le proprie avventure: da 4 a 2. Entrambi i poemi comprendono due parti uguali e tra loro distinte: di 12 libri ciascuna l'Odissea, di 6 l'Eneide. Nei primi dodici dell'Odissea si descrivono le avventure della peregrinazione di Ulisse, come nei primi sei dell'Eneide le avventure d'Enea per mare e per terra. Negli ultimi dodici dell' Odissea si narra la lotta di Ulisse coi Proci, negli ultimi sei dell'Eneide le guerre di Enea coi popoli del Lazio. Tutt'e due i poeti nel principio della seconda parte chiudono con pochi versi la narrazione della prima; infatti l'arrivo di Ulisse in Itaca è cantato nel principio del XIII (1-125) dell'Odissea, l'arrivo di Enea in Italia nel principio del VII (1-36) dell'Eneide. Perfino cronologicamente l'un poema si collega con l'altro, poichè Enea approda nel paese dei Ciclopi quando Ulisse vi era passato da soli tre mesi (Aen. III 645) e raccoglie uno dei compagni di lui, Achemenide, rimasto colà abbandonato.

(1) Aeneis dal nome del protagonista, come 'Odúσσia.

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