Qui pria quattro giovenchi Enea condotti Di negro tergo, la Sibilla in fronte Riversò lor di vin le tazze intere; E da ciascun di mezzo le due corna Di setole maggiori il ciuffo svelto, Die per saggio primiero al santo foco, Ecate ad alta voce in ciò chiamando, De l'Erebo e del ciel Nume possente. Parte di lor con le coltella in mano Le vittime svenando, e parte in vasi
Stava il sangue accogliendo. Egli a la Notte, Che delle Furie è madre, ed a la Terra,
Ch'è sua sorella, con la propria spada ᎠᎥ negro vello un' agna, ed una vacca Sterile a te, Proserpina, percosse. Poscia a l'imperador de' regni inferni
Notturni altari ergendo, i tauri interi
Quatuor hic primum nigrantes terga iuvencos Constituit, frontique invergit vina sacerdos; Et, summas carpens media inter cornua saetas, 245
Ignibus imponit sacris, libamina prima,
Voce vocans Hecaten caeloque Ereboque potentem. Supponunt alii cultros, tepidumque cruorem Suscipiunt pateris. Ipse atri velleris agnam Eneas matri Eumenidum, magnaeque sorori Ense ferit, sterilemque tibi, Proserpina, vaccam. Tum stygio regi nocturnas inchoat aras, Et solida imponit taurorum viscera flammis,
Sopra a le fiamme impose, e di pingue olio Le bollenti lor viscere consperse. Ed ecco a l' apparir del primo sole Mugghiò la terra, si crollaro i monti, Si sgominar le selve, urlàr le Furie Al venir de la Dea. Via, via profani, Gridò la profetessa, itene lunge
Dal bosco tutto; e tu meco te n'entra, E la tua spada impugna. Or d' uopo, Enea, Fa d'animo e di cor costante e fermo. Ciò disse; e da furor spinta, con lui, Ch' adeguava i suoi passi arditamente, Si mise dentro a le secrete cose. O Dii, che sopra l' alme imperio avete, O tacit' ombre, o Flegetonte, o Cao, O ne la notte e nel silenzio eterno
Pingue super oleum infundens ardentibus extis. Ecce autem, primi sub lumina solis et ortus, Sub pedibus mugire solum, et iuga coepta moveri Silvarum, visaeque canes ululare per umbram, Adventante Dea. Procul ó, procul este, profani, Conclamat vates, totoque absistite luco: Tuque invade viam, vaginaque eripe ferrum: Nunc animis opus, Enea, nunc pectore firmo. Tantum effata, furens antro se immisit aperto. Ille ducem haud timidis vadentem passibus aequat. Dii,quibus imperium est animarum,umbraeque silentes, Et Chaos, et Phlegethon, loca nocte tacentia late;
Luoghi sepolti e bui, con pace vostra Siami di rivelar lecito a' vivi
Quel ch' ho de' morti udito. Ivan per entro Le cieche grotte, per gli oscuri e vôti Regni di Dite; e sol d'errori e d'ombre Avean rincontri. Come chi per selve Fa notturno viaggio, allor che scema La nuova luna è da le nubi involta, E la grand' ombra del terrestre globo Priva di luce e di color le cose. Nel primo entrar del doloroso regno Stanno il Pianto, l' Angoscia, e le voraci Cure, e i pallidi Morbi e I duro Affanno Con la debil Vecchiezza. Evvi la Tema, Evvi la Fame: una ch'è freno al bene, L'altra stimolo al male: orrendi tutti E spaventosi aspetti. Avvi il Disagio,
Sit mihi fas audita loqui; sit numine vestrọ Pandere res alta terra et caligine mersas. Ibant obscuri sola sub nocte per umbram, Perque domos Ditis vacuas, et inania regna: Quale per incertam lunam sub luce maligna Est iter in silvis, ubi caelum condidit umbra Iuppiter, et rebus nox abstulit atra colorem. Vestibulum ante ipsum, primisque in faucibus Orci Luctus, et ultrices posuere cubilia Curae: Pallentesque habitant Morbi, tristisque Senectus, Et Metus, et malesuada Fames, ac turpis Egestas,
La Povertà, la Morte, e de la Morte Parente il Sonno. Avvi de' cor non sani
Le non sincere Gioie. Avvi la Guerra,
De le genti omicida, e de le Furie
I ferrati covili, il Furor folle,
L'empia Discordia, che di serpi ha 'I crine, E di sangue mai sempre il volto intriso.
Nel mezzo erge le braccia annose al cielo
Un olmo opaco e grande, ove si dice
Che s'annidano i Sogni, e ch' ogni fronda
V' ha la sua vana immago e 'l suo fantasma. Molte, oltre a ciò, vi son di varie fere Mostruose apparenze. In su le porte I biformi Centauri, e le biformi Due Scille: Briareo di cento doppi:
La Chimera di tre, che con tre bocche Il fuoco avventa: il gran Serpe di Lerna
Terribiles visu formae, Letumque, Labosque; Tum consanguineus Leti Sopor, et mala mentis Gaudia, mortiferumque adverso in limine Bellum, Ferreique Eumenidum thalami, et Discordia demens, Vipereum crinem vittis innexa cruentis.
In medio ramos, annosaque brachia pandit
Ulmus opaca, ingens, quam sedem Somnia vulgo Vana tenere ferunt, foliisque sub omnibus huerent. Multaque praeterea variarum monstra ferarum, Centauri in foribus stabulant, Scyllaeque biformes, Et centum geminus Briareus, ac bellua Lernae
Con sette teste; con tre corpi umani Erilo e Gerïone; e con Medusa
Le Gorgoni sorelle; e l'empie Arpíe,
Che son vergini insieme, augelli e cagne.
Qui preso Enea da subita paura
Strinse la spada, e la sua punta volse
Incontro a l'ombre; e se non ch' ombre e vite
Vote de' corpi e nude forme e lievi
Conoscer ne le fe' la saggia guida, Avrebbe impeto fatto, e vanamente In vane cose ardir mostro e valore. Quinci preser la via là 've si varca
Il tartareo Acheronte. Un fiume è questo Fangoso e torbo, e fa gorgo e vorago, Che bolle e frange, e col suo negro loto Si devolve in Cocito. È guardiano
E passeggiero a questa riva imposto
Horrendum stridens, flammisque armata Chimaera, Gorgones, Harpyiaeque, et forma tricorporis umbrae. Corripit hic subita trepidus formidine ferrum 290 Eneas, strictamque aciem venientibus offert:
Et, ni docta comes tenues sine
corpore vitas Admoneat volitare cava sub imagine formae, Irruat, et frustra ferro diverberet umbras. Hinc via, tartarei quae fert Acherontis ad undas: 295 Turbidus hic coeno, vastaque voragine gurges Estuat, atque omnem Cocyto eructat arenam. Portitor has horrendus aquas, et flumina servat
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