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Che l'aura eterna facevan tremare.

E ciò avvenia di duol senza martìri,

Ch' avean le turbe, ch' eran molte e grandi, E d'infanti, e di femmine, e di viri. Lo buon Maestro a me: tu non dimandi Che spiriti son questi che tu vedi? Or vo' che sappi, innanzi che più andi, Ch' ei non peccaro; e s' egli hanno mercedi, Non basta, perch' e' non ebber battesmo, Ch'è porta della Fede che tu credi; E se furon dinanzi al Cristianesmo, Non adorâr debitamente Iddio:

stima derivato il ma che dal maque o mache dei Romani che veramente usarono di questo avverbio allo stesso modo di Dante in significato di piucchè nel qual senso l'usò pure il Poeta nostro nel canto XXVIII v. 66 di questa cantica: E non avea ma ch' un' orecchia sola.

28. Di duol senza martiri, da puro interno dolor d'animo, dal solo rammarico d'essere privi della beatifica vision di Dio; non dal fuoco, od altro esteriore tormentoso

mezzo.

32. Che spiriti son questi che tu vedi? Il Biagioli dice che qui vedere sta in significato di udire o sentire. Ma se cosi fosse, come potrebb' egli Dante poi dire che tra questi spiriti conobbe gente di molto valore? Il ravvisare è ufficio della yista; e s' egli nell'entrar della valle d'abisso ha detto ch' era ne

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bulosa tanto che nulla vi discernea, non bisogna credere che procedendo innanzi dovesse sempre conti. nuare la medesima oscurità, altrimenti a che fine discendeva colaggiù? MONTI.

33. Andi. per vadi.

34. Mercedi vale opere buone ; e però disse anche Cino da Pistoia: Che ben faria mercè chi m' uccidesse.

36. Ch' è porta ec. Adottiamo questa lezione della Crusca piuttostoche quella del Lombardi che legge parte. Il battesimo è veramente la porta alla religione cristiana, che deve intendersi accennata dalla parola Fede.

37. E se furon ec. Virgilio previene l' obbiezione che Dante poteva movergli, non aver costoro avuto battesimo perchè vissero pri ma del Cristianesimo.

38. Non adorár debitamente Id

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E di questi cotai son io medesmo.
Per tai difetti, e non per altro rio,
Semo perduti, e sol di tanto offesi,
Che senza speme vivemo in disio.

Gran duol mi prese al cor, quando lò 'ntesi,
Perocchè gente di molto valore

Conobbi che 'n quel Limbo eran sospesi.
Dimmi, Maestro mio, dimmi, Signore,
Comincia' io per voler esser certo
Di quella Fede che vince ogni errore:
Uscinne mai alcuno o per suo merto,
O per altrui, che poi fosse beato?
E quei, che 'ntese 'l mio parlar coverto,
Rispose: io era nuovo in questo stato
Quando ci vidi venire un Possente
Con segno di vittoria incoronato.

dio: richiedendosi per cotal debita
adorazione la fede, ch'essi non eb
bero, in Cristo venturo.

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40. Rio, sustantivo, per reità. 47-48. Per voler esser certo Di quella Fede ec., per avere ri. prova di quella Fede, che quantunque dagli errori impugnata sempre trionfa.

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da poco tempo, e però disceso di recente laggiù.

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53. Un Possente. I Comentato ri volendo assegnar qualche ragione del perchè nè Dante nëVirgilio non nominano qui apertamente Cristo, dicono che Dante nol fece profanare quel nome nell'Inferno, e Virgilio perchè non n'ebbe no51. Parlar coverto; imperocchè tizia. Ma tutto il Poema dimostra in vece di apertamente dimandare che Virgilio dopo morte seppe bese Gesù Cristo dopo morte discen- nissimo le cose appartenenti al Cri desse colaggiù, e ne traesse l' ani- stianesimo: nè il nome di Cristo me de' giusti a lui premorti, ad- dice il Biagioli, poteva essere prodimanda solamente se alcun mai fanato dove non si profanò la peruscisse di là o per proprio o per sona. A noi pare quindi ragionealtrui merito. vole l'interpretazione del Lombar52. Nuovo in questo stato. Morto di in quella parte ove dice che

Trasseci l'ombra del Primo Parente,
D' Abel suo figlio, e quella di Noè,
Di Moïsè legista; e l' ubbidiente
Abraam Patriarca, e David Re,
Israele col Padre, e co' suoi nati,
E con Rachele, per cui tanto fe':
Ed altri molti, e feceli beati:

E vo' che sappi, che dinanzi ad essi
Spiriti umani non eran salvati.
Non lasciavam l' andar, perch' ei dicessi,
Ma passavam la selva tuttavia,

La selva dico di spiriti spessi.
Non era lungi ancor la nostra via

Di qua dal sommo, quand' io vidi un foco,
Ch' emisperio di tenebre vincia.

Di lungi v' eravamo ancora un poco,

Ma non sì, ch' io non discernessi in parte,
Ch' orrevol gente possedea quel loco:
O tu, ch' onori ogni scïenza ed arte,

Dante non profferi il nome di Cri-
sto per non recare lo spavento fra
i dannati. Questa interpretazione
si accorda colle dottrine dei teolo-
gi intorno agli effetti che questo
nome è capace di operare, del pari
che col terremoto e la ruina che
Dante dice essere avvenuta quando
Cristo andò in persona all'Inferno.
55. Primo Parente,
Adamo.

57. Altri legge: Di Moisè legista ubbidiente. Ma crediamo che il titolo di ubbidiente convenga più ad Abramo che a Mosè.

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59. Israele fu il nome imposto dall'Ar-gelo a Giacobbe, figlio d' Isacco, dopo una lotta.

60. Rachele, per la quale Giacobbe servi al padre Labano quattordici anni.

64. Dices si invece di dicesse.

68. Di qua dal sommo ec. Ripetendo Dante col pensiero in questa narrativa il viaggio realmente, fatto, adopra lo stesso di qua che avrebbe adoprato parlando colaggiù. Dal sommo, della proda. 73. O tu, che ec. O Virgilio.

Questi chi son, ch' hanno cotanta orranza,
Che dal modo degli altri gli diparte?
E quegli a me: l'onrata nominanza,

Che di lor suona su nella tua vita,

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Grazia acquista nel Ciel, che sì gli avanza. 78 Intanto voce fu per me udita:

Onorate l'altissimo Poeta:

L'ombra sua torna, ch' era dipartita.
Poichè la voce fu restata e queta,

Vidi quattro grand' ombre a noi venire:
Sembianza avevan nè trista, nè lieta.
Lo buon Maestro cominciommi a dire :
Mira colui con quella spada in mano,
Che vien dinanzi a' tre, sì come Sire.
Quegli è Omero poeta sovrano:

L'altro è Orazio satiro, che viene,
Ovidio è 'l terzo, e l'ultimo è Lucano.
Perocchè ciascun meco si conviene
Nel nome, che sonò la voce sola,
Fannomi onore, e di ciò fanno bene.
Così vidi adunar la bella scuola
Di quel Signor dell' altissimo canto,
Che sovra gli altri, com' aquila, vola.

74. Orranza, onoranza, onore. 75. Dal modo, dalla condizione. 78. Gli avanza, gli fa superiori di condizione agli altri di questo luogo.

80. L'altissimo Poeta, Virgilio. 86. Con quella spada in mano, in simbolo delle da lui cantate guerre.

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89. Satiro, cioè satirico. 91-92. Ciascun meco si conviene Nel nome, di Poeta, che suonò (ch' espresse) la voce sola, la voce di tutti costoro che gridarono insieme una sola e medesima cosa. 95. Quel Signor ec., Omero. Altri leggono Quei Signor ec.

Da ch' ebber ragionato insieme alquanto,
Volsersi a me con salutevol cenno:..
E'l mio Maestro sorrise di tanto:
E più d' onoré ancora assai mi fenno,
Ch'essi mi fecer della loro schiera,
Sì ch'io fui sesto tra cotanto senno.
Così n' andammo infino alla lumiera,

Parlando cose, che 'l tacere è bello,
Sì com' era 'l parlar colà, dov' era.
Venimmo al piè d'un nobile castello,
Sette volte cerchiato d' alte mura,
Difeso 'ntorno d' un bel fiumicello.
Questo passammo come terra dura:

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97-99.Volle Dante modestamen- essendo sesto fra cotanto senno

te farci conoscere come Virgilio in quel breve ragionamento desse contezza di lui a que' sommi poeti, non senza le debite lodi; poichè finito di ragionare essi si volsero a lui con salutevol cenno (lo che prima non avevan fatto) e Virgilio ne sorrise.

103. Alla lumiera, al fuoco accennato nel v. 68.

104. Cose, che 'l tacere è bello. Il Lombardi credette che l'Alighieri accennasse d'aver parlato cogli altri poeti intorno alle finezze della Poesia. Ma il Conte Perticari osserva che non era quello nè il tempo nè il luogo da fare un trattato di poesia. E perchè, soggiunge, non intendersi che parlassero di cose alte e profonde, e che Dante

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ed uno degl'interlocutori, dica che le cose ivi parlate non sono da riferirsi, per dare con ciò a conoscere la sublimità maggiore all'intendimento de' leggitori? Ben si vede che in tutto questo tratto egli intende ad esaltar sè stesso. Vedi dal V. 97 al 105,

106. Venimmo al piè d'un nobile castello ec. I Comentatori danno un'interpretazione allegorica al castello ed alle sette mura ond'è cinto: ma a noi pare che non sia mestieri andare perpetuamente in traccia di sensi allegorici, dove l'interpretazione letterale è sufficiente alla chiarezza.

109. Come terra dura, cioè, come se fosse terra dura.

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