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CANTO II

ARGOMENTO

S'arresta, e teme dell' aspro viaggio.
Chiede a Virgilio s' ei sarà possente
A sostenerlo, e gli risponde il Saggio,
Che dal più puro Cielo e più lucente
Beatrice scesa, che cotanto l' ama,
Lo manda a lui: di nuovo egli acconsente,
E più s'accende dello andar la brama.

Lo giorno se n'andava, e l'aer bruno

Toglieva gli animai, che sono 'n terra
Dalle fatiche loro; ed io sol uno
M'apparecchiava a sostener la guerra
Sì del cammino, e sì della pietate,
Che ritrarrà la mente che non erra.

4—5. Guerra, difficoltà, Si del cammino, nel discendere all' Inferno e poi salire al Purgatorio, e si della pietate, che doveva sentire dell' anime eternalmente dannate a diversi crudeli tormenti.

6. La mente che non erra: non può essere la definizione della memoria, come suppone il Lombar

di, poichè questa può ingannarsi.

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O Muse, o alto 'ngegno, or m' aiutate:
O mente, che scrivesti ciò ch'io vidi,
Qui si parrà la tua nobilitate.
Io cominciai: Poeta, che mi guidi,
Guarda la mia virtù, s' ell' è possente,
Prima ch'all' alto passo tu mi fidi.
Tu dici, che di Silvio lo parente,
Corruttibile ancora, ad immortale
Secolo andò, e fu sensibilmente:
Però se l'avversario d'ogni male
Cortese fu, pensando l'alto effetto

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Ch' uscir dovea di lui, e 'l chi, e 'l quale, 18 Non pare indegno ad uomo d'intelletto; Ch' ei fu dell' alma Roma, e di suo 'mpero Nell' empireo Ciel per padre eletto: La quale, e 'l quale, a voler dir lo vero, Fur stabiliti per lo loco santo,

7. L' epiteto di alto dato al proprio ingegno è sembrato ambizioso a coloro che qui leggono. Ma torranno essi questa macchia dalla fama di Dante, ove conoscano che questo epiteto egli dona all'ingegno umano, non al proprio; in genere, non in ispecie: il che si conosce appieno dalla dottrina ch' egli ne fonda nel Convito (pag. 146 e 147). Per la quale niuno troverà superbo il predicato di alto all'ingegno, considerato come la più nobile ed ultima potenza che faccia fede agli uomini della sapienza del Creatore PERTICARI.

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9. Si parrà, si manifesterà — la tua nobilitate, la tua eccellente virtù.

13. Tu dici nella tua Eneide che di Silvio lo parente, cioè Enea. 14-15. Ad immortale Secolo, all'Eliso dove fingevano i poeti che stessero le anime immortali dei trapassati.

16. L'avversario d'ogni male, cioè, Dio.

17. L'alto effetto ec.: intende le grandezze romane in tutti i secoli. 20. Ch'ei fu; perocchè ei fu ec. 22. La quale, e'l quale, la quale Roma, e il quale impero.

U' siede il Successor del maggior Piero. Per questa andata, onde gli dài tu vanto, Intese cose che furon cagione

Di sua vittoria, e del papale ammanto.
Andovvi poi lo Vas d'elezione,

Per recarne conforto a quella Fede,
Ch'è principio alla via di salvazione.
Ma io, perchè venirvi? o chi'l concede?
Io non Enea, io non Paolo sono:
Me degno a ciò nè io, nè altri crede.
Perchè se del venire io m' abbandono,

24. Credo che il vocabolo mag. giore sia in forza di Principe, e che bene si addica a chi per antono masia dicesi il Principe del collegio di Cristo. E in tal senso ado peravasi dagli scrittori del Trecen to pe' quali valeva capo, prelato, superiore e simigliante (Boc. g. 6, n. 1): alle quali cose ricogliere io sono dal mio maggiore (cioè da Messer Cerbato) stato mandato. La quale significanza data nel buon secolo al vocabolo maggiore fa che in alcuni Ordini religiosi questo sia il nome del primo de' superiori, onde poi il sinonimo maggiorente è sostantivo di nostra lingua che risponde al pros de' Greci cd al Princeps de' Latini. E quindi leggiamo nel trattato De Consolatione: Nel venire ch' e' farà (dice Ja Scrittura) e' sarà accompagnato dagli angioli e da' maggiorenti del padre suo, cioè dai profeti e

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dagli apostoli e dagli altri santi del paradiso. Per lo che essendo pe' nostri vecchj voci sinonime maggiore, maggiorente e principe, niuno avrà maraviglia se Dante per servir meglio la poesia abbia detto maggior Piero invece del principe Pieró· PERTICARI. 26-27. Furon cagione Di sua vittoria, e del papale ammanto: furon cagione che Enea vincesse Turno, é quindi desse principio a quella gente che fondò poi Roma, stabilita per sede al Papato. 28. Lo Vas d'elezione, San Paolo a cui G. Cristo diede tal nome. 29. A quella Fede, cioè alla Fede in Cristo.

34. Se del venire io m'abbandona. Questa maniera è bellissima e piena di evidenza, perchè non mo stra soltanto chi si consigli al viaggio e si arrenda all'inchiesta altrui, ma significa l'uomo che si

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Temo che la venuta non sia folle.

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Se' savio, e 'ntendi me' ch' io non ragiono. 36
E quale è quei che disvuol ciò che volle,
E per novi pensier cangia proposta,
Sì che del cominciar tutto si tolle;
Tal mi fec' io in quella oscura costa;
Perchè, pensando, consumai la 'mpresa,
Che fu nel cominciar cotanto tosta.
Se io ho ben la tua parola intesa,

Rispose del magnanimo quell' ombra,
L'anima tua è da viltade offesa,
La qual molte fiate l' uomo ingombra,
Sì che d'onrata impresa lo rivolve,
Come falso veder, bestia, quand' ombra.
Da questa tema acciocchè tu ti solve,

Dirotti, perch' io venni, e quel che 'ntesi
Nel primo punto che di te mi dolve.
lo era intra color che son sospesi,
E Donna mi chiamò beata e bella,

abbandona tutto così alla cieca, e prende la via senza badare ad altro. Per lo quale intendimento veggiamo in Dante una bellezza nuova colà dov' altri scorgeva una strana o troppo scura dizione. Anche in S. Raimond de Tolosa tro

viamo: El rosignol s'abbandona del cantare per mezzo 'l bosco PERTICARI.

41. Pensando, consumai la 'mpresa, ec. Intendi che questa impresa per lui fini e consumò nel pensiero delle gravi difficoltà le

quali avrebbe incontrate.

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42. Cotanto tosta, cotanto presta; imperocchè senza veruna esitazione si esibì a seguitar Virgilio.

45. L'anima tua ec., cioè, tu hai paura, lo spirito e la grandezza della tua mente si arretrano per viltà.

47. Onrata, sincope'd' onorata. 48. Come falso vedere fa rivolver bestia quand' ombra.

52. Color che son sospesi, cioè, gli spiriti del Limbo i quali ne godono ne soffrono.

Tal che di comandare io la richiesi.
Lucevan gli occhi suoi più che la Stella:
E cominciommi a dir soave e piana,
Con angelica voce, in sua favella:
O anima cortese Mantovana,

Di cui la fama ancor nel mondo dura,
E durerà, quanto 'l mondo, lontana:
L'amico mio, e non della ventura,
Nella diserta piaggia è impedito

Sì nel cammin, che vôlto è per paura;
E temo che non sia già sì smarrito,

Ch'io mi sia tardi al soccorso levata,
Per quel ch'i' ho di lui nel Cielo udito.
Or muovi, e con la tua parola ornata,

E con ciò che ha mestieri al suo campare,
L'aiuta sì, ch' io ne sia consolata.
Io son Beatrice, che ti faccio andare:

55. Più che la Stella: alcuni intendono che qui si alluda alla Stella di Venere, altri al Sole, perchè Dante in quell' altro verso: l'amor che mosse il Sole e l'altre stelle, fece conoscere ch' egli dava anche al Sole il nome di Stella. Ad ogni modo potrebbe intendersi anche con altri delle stelle in generale.

60. Durerà, quanto'l mondo, lontana. La durata del mondo è lo spazio dell'immortalità, che, comunemente parlando, intendiamo di concedere alla fama degli scrittori allorchè li onoriamo del titolo di immortali MONTI.

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Questa

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lezione è dai migliori codici ed interpreti preferita all' altra di moto.

61. E non della ventura, perchè era dalla sorte mal trattato.

66. Per quel ec.: intendi per quello che aveva udito ragionare di lui nel cielo ove nessuna delle azioni umane è sconosciuta - PERTI

CARI.

70. Io son Beatrice. È grande controversia tra gli scrittori, se questa Beatrice, tanto dal Poeta nostro celebrata, sia la Beatrice Portinari amata da Dante nella sua giovinezza, ed a questo misterioso viaggio premorta già da dieci anni,

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