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per consacrarvi un tanto lavoro all' emenda. Chi mi sa indovinare a qual pregio sarebbe giunta, da suo cantor ripurgata? Ma che perderci sul possibile? Quell' eccellenza ci basti, in cui Tucca e Vario ce l'han trasmessa.

D'Epico sì bel carme l'Ispano e il Franco, l'Anglo e il Germano, altre genti Europee, gareggiando, attentarono più versioni, o per arricchir la lor lingua d'un tesoro così prezioso, o almen per saggiarla, se mai potea sollevarsi alla nobiltà Virgiliana: e in luce ne pose maggior congerie, non d'antiche soltanto ma di moderne, Madre del grande Autore, la nostra Italia. Ma se udiam l'Algarotti: «Recar non dee maraviglia, che sì immenso « tratto longinqui siano i traduttori da Virgilio, Principe della poesía, imitator felice

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dell'arte Greca e Latina, nelle cui mani in « oro trasformasi l'argento altrui; che non « fu da niuno uguagliato nella pompa de'numeri, nella dignità e nello splendore della « grandiloquenza; che superò tutti nell' essere nella parsimonia della parola evidentissimo, da' cui versi vive sorgono le ima

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gini e impetuosi muovon gli affetti; che fu « in somma sì corretto Poeta e scelto, qual più desiderare il poteano i fini Critici dell' « età di Augusto, e così grande insieme e « maestoso, come il teatro lo era dell' uni« verso per cui cantava» (3). Assicurato da schietti amici, a cui soggettai i primi saggi dell'Eneide da me tradotta, che non distava dal testo per tratto immenso, coraggioso la seguitai, e or la sacrifico a'torchj, anche prima che si dovesse aspettare (4).

(3) Questo giudizio dell' Algarotti, quanto encomiastico per Virgilio, tanto umiliante pe' suoi traduttori, si trova nella II Lett. Crit. sulla Trad. del Caro. Mena a tondo la sferza contro i traduttori dell'Eneide, si passati che futuri, come rei d'attentato ineseguibile se non a immensa distanza dal Latino. Per me però v'è di peggio. Fulmina ex tripode infamatoria sentenza contro il mio metodo. Veramente parla d'una traduzione dall' Inglese, ma la massima è generale. Eccone le parole (Lett. Novella II.) Nulla io vi dirò di certo carico addossatosi da Salvini, degno in vero di un poeta da anagrammi e da acrostici, che la versione non ecceda neppur d'un verso l'originale. Il che solo ad arguirla è bastevole d' incondita e di puerile. Più mi confortò a dirla schietta l'esempio del Salvini, che m'avvilisse il motteggio dell' Algarotti lanciato a vánvera senza esame. N'appresi che se il cimento riusciva, come ardiva sperare, la derision ricadrebbe sul derisore.

(4)Dico in una nota alla Pref. del L. anteced.: Darò al Pubblico in sequela l'Eneide, se colla fausta accoglienza di questo Saggio

Sieguo dunque il mio metodo d'un parallelismo esatto col testo verso per verso. Ma se ne trovo de' tronchi, sian quai mozzi rametti, sian quai germi incompleti, sarcisco il difetto, dando ai tradotti la final lor pienezza (5). Osservo poi con rigore le stesse Leggi, a cui già m'astrinsi. Son peraltro più sobrio nelle Licenze, permettendomi quelle sole, che collo stile eroico non fan contrasto:

mostrerà d'essere per gradirla. Or come poter si presto accertarmi del pubblico gradimento? Mi bastò l'approvazione del grando E. Q. Visconti, membro dell'Istituto di Francia. Non si lagnerà che l'imprima, benchè affatto privata, essendo l'unico appoggio cho mi discolpa. So per prova che non m'adula. « In verità non credevo < che assoggettandosi ad una legge così rigorosa, come quella di

rendere l'originale in ugual numero di versi Italiani, potesse << giungersi a tal fedeltà di versione, e tanta eleganza di stile. Se << non che, siccome Ella ha ben avvertito nella Prefazione, questa << necessità fa le veci, presso un buon traduttore, della rima in un << altro componimento poetico: molte bellezze son dovute a quello «stato angustioso, in cui la imaginazione dello scrittore è posta <<< dalle leggi ch'egli si è date ». Non ambisco di più.

(5) Si cerca, se, ripurgata l'Eneide, vi sarebbe rimasto verso imperfetto. Non ne contiene, a dir vero, nessun poema, nè men le Georgiche. Pur direi che certi emistichj son si belli (v. g. il 786 L. II Dardanis, et divac Veneris nurus: e l'835 del L. VI Projice tela manu, sanguis meus.), che l'appiccicarvi una giunta, comunque tratta del verso seguente, sarebbe un guastarli. Niun può dolersi, ch'io nel tradurli profitti di quel voto per un respiro.

ond'è che affatto m'astengo da' Toscanismi, che quasi vezzi o capricci usar mi piacque così nell' Egloghe in bocca a' pastori, che nelle Georgiche al parlar di campagna; e non arrischio che parcamente Neologismi e Arcaismi, più attenendomi al Tasso che ai non sempre sublimi Ariosto e Dante (6).

Che se al volgar Traduttore, massimamente Scioltista, quasi a insulto rinfacciasi, ch'ei maneggia per sua sventura un Idioma men forte del Virgiliano, e adopra un verso men grave dell' Esametro; mi credo immune in gran parte dai due rimproveri, appunto pel vincolo che m'imposi d' indispensabile Laconismo, anche maggior del Latino: onde a un tempo mi cresce e nerbo alla Lingua e peso allo Sciolto (7).

(6) Ben lo so che col Zipoli alla mano si farebbe un'Eneide travestita: ma ripiglierò senza scrupolo i Fiorentinismi, o almen Sanesismi, nella version d'Epistole e Satire. Non son però così timido, che misurar voglia ogni passo, oltre andando si franchi il Cesarotti ed il Monti. Non m'interdico ogni Latinismo, e a qualche voce di buona lega autorizzo per me un nuovo corso, o pur riapro l'antico.

(7)ll tradurre non è un travasare da poter dire col Ceva: quantunz transfusa vigoris Massica deperdunt etc., ma un rimpastare col VIRGIL. Eneid. Tom. 1.

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L'edizione del testo è purgata. Ricca l'Eneide di varianti, colla sua tanta dovizia impoverisce. Buon per me che non mi confondo co' prischi Codici, e sempre quella prescelgo, che mi dia un senso o più vivace. o più giusto. Nascono da pura Critica le affatto nuove e in tutto mie. Sembrerà strano che in un'Opera da tanti secoli rinvoltata per tante mani mi sia pur rimasto alcun poco di spicilegio (8).

fermento d'un'altra lingua. Le lingue poi, che già vantano e Poeti e Poemi, se le fa più o meno robuste lo spirito del Cantore. Infuse men d'anima il Petrarca nella lingua della sua Africa che in quella de' suoi Trionfi. Non dissimulo, quanto al verso, che il metrico può riputarsi più magnifico, perchè più lavorato; ma questa stessa difficoltà spesso l'obbliga a riempiture, di cui sgombro lo Sciolto, brilla più schietto. Lo Sciolto dunque, che adopro, non è il Frugoniano, dipendente da un gonfio vortice, che lo sostenga. Ha in vece il mio una giusta dose d'elisioni e di consonanti: ha una final sempre piena: ha un particolar meccanismo (principalmente giro d'accenti) che ben si sente anche da chi men l'intende, per cui se ne soffrono tre e quattro di fila isolati, senz'altro intreccio fra loro. (8) S'è omai estratto da' Codici quant' han di meglio. Vi vuol. Critica per far la scelta. Anzi non abbisogna quest'Arte d'alcun Manoscritto, se i passi che può temere corrotti giunge a sanarli, o con agevole travestimento, o con semplice traslocazione. Tali pajonmi le varietà che introduco L.I v.323, v.426; L. II v. 53, v.359; L.III v. 73; L. VI v. 738, v. 743. Veggansi le lor note.

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