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L'egre ginocchia, e crasso sangue e denti
Dà insiem di bocca, i suoi più fidi al porto
Fan di ritrar: l'elmo, chiamati, e il brando
Prendongli; a Entel lascian la palma e il toro.
Qui altier fastoso il vincitor: Tu, figlio

Di dea, voi Teucri, or, sì, vedrete a un colpo
E qual foss'io ne' fervid'anni, e quale

Pur morte avría non richiamato il folle.
Disse, e del bue, premio a lui tratto, incontro
Piantasi a fronte; e i duri cesti, addietro
Tratto il gran braccio, arduo fra corno e corno
Libra, e all'altr'ossa oltre il cervel gli spinge.
Palpita il bue, langue, stramazza, e muore.
Quei tal motto v'intona: Erice, io questa
Offro a te per Darete alma più degna:
Qui vincitor l'arte ripongo e i cesti.

Poi tosto Enea chi giocar voglia a presta
Saetta invita, e i premj assegna: e addotta
Di Seresto l'antenna, a insiem più braccia,
L'alza, e segno al frecciar colomba viva
Per torto laccio all'alta cima appende.
S'unir' gli arcieri, e le gittate sorti
Cavo bronzo raccolse. Uscì fra i plausi
D' Irtaco il figlio Ippocoonte il primo:
Mnésteo il seguì, Mnésteo al naval conflitto

Già vincitor, già coll'ulivo al crine.

Fu il terzo Eurizio, il tuo german, gran Pandaro,

Che poi, trascelto a intorbidar la triegua,

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In medios telum torsisti primus Achivos.
Extremus galeaque ima subsedit Acestes,
Ausus et ipse manu juvenum tentare laborem.
Tum validis flexos incurvant viribus arcus
Pro se quisque viri, et depromunt tela pharetris.
Primaque per caelum nervo stridente sagitta
Hyrtacidae juvenis volucres diverberat auras,
Et venit; adversique infigitur arbore mali.
Intremuit malus, timuitque exterrita pennis
Ales; et ingenti sonuerunt omnia plausu.
Post acer Mnestheus adducto constitit arcu,
Alta petens; pariterque oculos telumque tetendit:
Ast ipsam miserandus avem contingere ferro
Non valuit; nodos et vincula linea rupit,
Queis innexa pedem malo pendebat ab alto.
Illa Notos atque atra volans in nubila fugit.
Tum rapidus, jam dudum arcu contenta parato
Tela tenens, fratrem Eurytion in vota vocavit,
Jam vacuo laetam caelo speculatus; et alis
Plaudentem nigra figit sub nube columbam.
Decidit exanimis, vitamque reliquit in astris
AEtheris, fixamque refert delapsa sagittam.
Amissa solus palma superabat Acestes;
Qui tamen aërias telum contendit in auras,
Ostentans artemque pater, arcumque sonantem.
Hic oculis subitum objicitur magnoque futurum
Augurio monstrum; docuit post exitus ingens:
Seraque terrifici cecinerunt omina vates.

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Per mezzo a'Graj primo scagliasti un dardo.
Dell' elmo al fondo ultimo siede Aceste,
Pur oso entrar nel giovanil cimento.
Eccoli ognuno i valid' archi a tutta
Forza curvar, trar da' carcassi i strali.
Primo pel ciel dal stridol nervo il telo
Dell' Irtacio garzon s'affretta e giunge;
Ma il tronco investe, e vi riman confitto.
L'arbor tremò, pien di terror le

penne Sbattè l'augel; largo suonò l'evviva.

Entra il fier Mnésteo ad arco teso, e in alto
Mira; e lo stral drizza seguace al guardo:

Ma la colomba ah! non potè col ferro
Toccar; troncò le funicelle e i nodi,
Onde all' arbor pendea pe'piedi avvinta.
Sciolta fuggì con rapid' ale all'etra.
Eurizio allor, che ha già la freccia in cocca,
Ratto il fratel chiama co' voti, e quella
Che lieta già spazia pel vano, e l'ali
Batte sott'atra nube, adocchia e fere.
Spenta vien giù, l'alma lasciò per l'aure,
E al suo cader l'arme riporta infissa.
Sol rimanea vôto di palma Aceste;
Che pur scoccò l'inutil dardo, a gaja
Mostra senil d'arco sonante e d'arte.
Qui strana a'rai scena scoppiò, futura
Di gran presagio; il disse poi l'evento:
E augurio ostil tardi cantaro i vati.
VIRGIL. Eneid, Tom. I.

Kk

Namque volans liquidis in nubibus arsit arundo,
Signavitque viam flammis, tenuesque recessit
Consumpta in ventos: caelo ceu saepe refixa
Transcurrunt, crinemque volantia sidera ducunt.
Attonitis haesere animis, superosque precati,
Trinacri Teucrique viri: nec maximus omen 530
Abnuit AEneas; sed laetum amplexus Acesten
Muneribus cumulat magnis, ac talia fatur:
Sume, pater; nam te voluit rex magnus Olympi
Talibus auspicis exsortem ducere honores.
Ipsius Anchisae longaevi hoc munus habebis,
Cratera impressum signis; quem Thracius olim
Anchisae genitori in magno munere Cisseus
Ferre sui dederat monumentum et pignus amoris.
Sic fatus, cingit viridanti tempora lauro,

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Et primum ante omnes victorem appellat Acesten.
Nec bonus Eurytion praelato invidit honori,
Quamvis solus avem caelo dejecit ab alto.
Proximus ingreditur donis, qui vincula rupit:
Extremus, volucri qui fixit arundine malum.
At pater AEneas, nondum certamine misso,
Custodem ad sese comitemque impubis Iuli
Epytiden vocat; et fidam sic fatur ad aurem:
Vade age, et Ascanio, si jam puerile paratum.
Agmen habet secum, cursusque instruxit equorum,
Ducat avo turmas, et sese ostendat in armis, 550
Dic, ait. Ipse omnem longo decedere circo

Infusum populum, et campos jubet esse patentes.

Che arse lo stral nel suo volar fra l'alte

Nubi, e la via solcò di fiamme, e in aura
Strutto svani: stella di ciel sconfitta

Tal scorre, e trae lucido crin volando.
Sopraffatti restaro, e al ciel dier voti,
Trinacrje Troj: nè l'augural portento
Disdegna Enea; ma il lieto vecchio abbraccia,
D'ampli doni lo colma, e, Prendi, ei dice,
Padre e Signor, che il re del ciel t'elesse
Con tai prodigj a non proposti onori.

Pur questa è tua, ch'ebbe il mio vecchio Anchise,
Coppa ricca d'intagli: a lui già diella,
Quasi colmo a gran doni, il Tracio donno
Cisséo, d'amor scelto ricordo e pegno.

Ciò detto, al crin lauro gli attorce, e il primo
Fa buccinar fra i vincitori Aceste.

Nè il buon Eurizio ei si gravò posposto,
Benchè l'augel d'alto giù trasse ei solo.
Vien terzo al guiderdon, chi ruppe i lacci:
Sezzajo, chi lo stral nel legno infisse.

Ma il padre Enea, pria che il giocar si smetta,
Chiama Epítide a sè, del biondo Giulo
Compagno e scorta; e al fido orecchio instilla:
Va tosto, e al figlio di', che s'ha de' putti
Pronto seco lo stuol pel corso equestre,
Guidi all'avo le torme, ei faccia in armi
Mostra di sè. Dal lungo circo ei stesso
Chi s'infuse fa uscir, vuol sgombro il campo.

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