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perniciosa da nuocere alla moralità del popolo anzi che educarlo e fu gravissimo male che un uomo innamorato delle caste e severe bellezze della Divina Commedia, rompesse poscia nei laidi racconti del Decamerone. Ali amicizia del Petrarca dovette il riconoscimento di questo error suo. Ed egli si pentì d'avere insozzate le opere proprie di tante sconcezze, e forse le avrebbe anche arse se ciò fosse stato possibile. Però da quel tempo prese a mutar vita, ed incominciò un nuovo ordine di studi sacri, come che senza grandissimo profitto. Vi fu perfino chi opinò, aver egli vestito l'abito dei monaci Certosini, forse per riconoscenza al B. Pietro de' Petroni, il quale, morendo, gli mandò a dire, facesse senno una volta, e si pentisse dei danni prodotti dalle sue novelle.

Questi dubbi e timori ne turbarono meritamente gli ultimi anni della vita, nei quali per altro non cessò mai dagli studi, che erano per lui divenuti un vero bisogno. Del resto buon cittadino non ricusò giammai l'opera sua alla patria, cui servi lealmente in molte ambascerie; letterato gentile amò la gloria senza invidiare a quella degli altri, riconobbe il merito ove si rinvenisse, anzi fecesi solenne banditore della maggioranza dell' Allighieri; sopportò senza lagnarsi la sottigliezza delle fortune, cui aveva volontariamente sminuite per amore alle lettere, tanto che ricevette con gratitudine un piccolo legato del Petrarca, per comperarsi una veste da inverno. L'esempio dell'amicizia che correva tra lui e questo insigne poeta, credo che possa essere proposto a modello degli studiosi. Era tra loro una gara di studi, ma senza invidia; una corrispondenza d' affetti senza la viltà di celarsi i

propri difetti; erano in somma (come ne correva voce al tempo loro) un cuor solo ed un'anima sola. Degne d' essere citate nella loro semplicità mi sembrano le parole del testamento, a cui or ora io accennava, siccome quelle che onorano ad un tempo e il donatore e la povertà del donato. D. Joanni de Certaldo seu Bocaccio, verecunde admodum tanto viro tam modicum lego, quinquaginta florenos auri de Florentia pro una veste hyemali ad studium, lucubrationesque nocturnas. Praedicti autem mei amici de parvitate hujusmodi legalorum non me accusent, sed fortunam, si quid est fortuna etc.

Petrarca prevenne morendo l'amico del suo cuore, ma la morte sua fu un colpo funesto anche alla salute del Boccaccio, già logoro per altro dalle fatiche durate. Invano pertanto cercò la solitudine, e le agiatezze della campagna per rifarsi; la. morte lo colse in Certaldo nel giorno 21 di dicembre 1375. Sulla sua tomba furono scolpiti questi quat

tro versi :

Hac sub mole jacent cineres ac ossa Joannis ;
Mens sedet ante Deum, meritis ornata laborum
Mortalis vitae. Genitor Boccatius illi;

Patria Certaldum; studium fuit alma poesis.

IL DECAMERONE

LEZIONE XI.

Sommario. Difficoltà e pericolo di ragionare intorno al Decamerone. Fama di quest' opera. Semplicità dell' orditura. Questioni sull' originalità del Decamerone. Bellezza di stile. Pittura di costumi. Immoralità di questo romanzo. prosa del Boccaccio.

quenza.

Esempi.

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Pregi é difetti della
Affetti.

Elo

Ultime considerazioni.

Io vi confesso, o giovani, che non posso senza

una certa paura farmi a ragionare dell'opera maggiore di Giovanni Boccaccio; imperocchè, mentre per una parte è un monumento stupendo della lingua nostra, è per l'altra insudiciata di tante e tali laidezze da nauseare qualunque animo gentilmente educato. « Questo, siccome coll' usata assennatezza osserva il Balbo, fu certamente grandissimo danno, e durò e dura in tutta la nostra letteratura; gran danno fu che lo scrittor primo diventato modello, che il formator di nostra prosa sia stato un novellator per celia; come fu gran vantaggio di una nazione vicina l'aver avuti a modelli e formatori di sua prosa due severi filosofi o geometri, un Descartes e un Pascal. >> II Boccaccio medesimo, allorquando vide si rapida

mente diffondersi per l'Italia l'opera sua, si accorse del difetto e gliene rincrebbe si fortemente, che senza il divieto dell' amico suo Francesco Petrarca, sarebbesi studiato di spegnerne la memoria: buono ma inutile desiderio, dacchè con una troppo fortunata pubblicazione egli era sciaguratamente riuscito ad infiorare il vizio con tutte le lusinghe dell'arte, atte a menomarne l'orrore (1). E valga il vero, quel rimorso era bastantemente ragionevole. Qual di voi, pur desiderosi di gloria, non si spaventerebbe di dovere la propria rinomanza ad una tal opera che esser potrebbe giusta cagione di condanna alla presenza di Dio ? Boccaccio morì penitente; ma cinque secoli di vita, ed altri ancora (mentre duri la lingua nostra ) non basteranno a cancellare la funesta impressione dell' error suo. Oltreacchè questo era un peccato gravissimo eziandio contro all' arte, la quale perde della sua sublimità quando non sia maestra di

(1) Dell' onorevole pentimento del Boccaccio abbiamo una bella prova nella lettera ch' egli diresse a Mainardo Cavalcanti, nella quale lo prega di proibire la lettura del DECAMERONE alle sue doune. Questa lettera è del tenore seguente: Guardati per mio consiglio, per mia preghiera dal farlo abbandona le mie novelle ai petulanti seguaci delle passioni, che sono bramosi d'essere creduti generalmente contaminatori frequenti della pudicizia delle matrone. E se tu non vuo perdonare al decoro delle tue donne, perdona all'onor mio, se tanto mi ami da sparger lagrime pe' miei patimenti. Leggendole, mi reputeranno turpe mezzano, incestuoso vecchio, uomo impuro e maledico ed avido raccontatore delle altrui scelleraggini. Non v' ha dappertutto chi sorga e dica per iscusarmi: Scrisse da giovane, e vi fu astretto da autorevole comando. "

virtù; conciossiachè se le scienze e le lettere si convertissero in istrumento di corruzione ciò basterebbe a giustificar l'opera e i ragionamenti dei barbari, che le volevano distrutte; e meriterebbero di venire da ogni ben ordinata repubblica sbandeggiate.

Premessa quest' osservazione ch' io stimo indispensabile tanto pel Boccaccio, quanto per altri grandi prosatori e poeti nostri, dei quali avremo in seguito a tenere ragionamento, esaminiamo brevemente quale sia quest' opera, che meritò di essere tradotta in tutte le lingue d'Europa, che suggeri molte leggiadre fantasie a Chaucer, a Shakspeare, a Molière, a Dryden, a La Fontaine; che divenne la lettura più favorita di Federico il Grande, e fu considerata come uno de' più nobili monumenti di lingua dagli Italiani (1).

(1) Per chiarir meglio come il giudizio umano spesso erri, piacemi di recarvi a disteso una lettera del Petrarca, l'ultima ch' egli scrivesse, dalla quale parmi che si provi, che il Boccaccio non facesse del suo romanzo mai parola al Petrarca, quantunque fossegli amicissimo. Il grande poeta avuto a mano casualmente il libro, tradusse la novella della Griselda in latino, e la spedi con la lettera seguente al Boccaccio.

"Ho veduto il vostro libro delle Novelle scritto da voi nella nostra natia lingua; secondo che io penso, essendo giovane, non so come, e donde venuto alle mie mani. L'ho veduto, dico; perciocchè se io volessi affermare d'averlo letto, non direi vero. Conciossiachè il volume è molto grande, come quello che è scritto al volgo, ed in prosa; ma invero maggiori sono le mie occupazioni; ed il tempo era ristretto; e per li tumulti di guerra, come sapete, privo di quiete: dai quali tumulti sebbene io sono lontano, pure non posso non commovermi pel

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