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sarmene sotto silenzio. E questo ricorderò fra i molti suoi benefizii, che sapendo siccome io da' primi anni era addetto alla vita ecclesiastica, affine di legarmi con nodi più stretti, non solo a sè ma alla sua patria, volle ch'io venissi eletto a canonico di Padova. Conchiuderò dicendo che se a iui fosse bastata la vita, m'era questo il fine d'ogni viaggio e del mio tanto errare. Ma ahime! che nulla v'ha quaggiù che sia durevole! perchè non appena alcun dolce si provi che tosto a guastarlo sopraggiunge l'amaro! Non compiva ancora il secondo anno da che viveva con lui, quando Dio lo tolse al mondo e alla patria; dappoichè, se l' amore non m'inganna, nè io, nè la patria, nè il mondo eravamo degni di possederlo. E quantunque gli sia successo il figlio si per senno che per altre doti pregevole, il quale dietro il paterno esempio sempre m'ebbe caro e lodato; io però, perduto lui, col quale anche per ragione d'età avea una maggior domestichezza, mal sapendo quietarmi, me ne ritornai nelle Gallie; non tanto per voglia di rivedere i veduto già mille volte, quanto, a sembianza de' malati, per alleviarmi la noia, col mutare di sito (1).

(1) Trascrissi la versione di GIULIO CESARE Parolari, perchè fra tutte parvemi la più fedele ad un tempo e la più elegante. Del resto i giovani non mi vorranno male d'avere riportato per intiero questa epistola, quantunque già mi fossi giovato di essa qua e là nel corso delle mie lezioni.

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Sua giovinezza

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e primi studi.

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Ultimi anni

-e morte del

Suo amore per l'antichità, e lavori di erudizione.
Versi e prosa volgari.

Boccaccio.

Dante e Petrarca cercarono, come bene ancora vi ricordate, o giovani, le più nobili ispirazioni loro nei versi dell' Eneide. Virgilio era per quello onore e lume degli altri poeti; questi non trovava negli ultimi anni della vita più dilettevole lettura, e spirò la grande anima riposando la fronte su quelle pagine immortali. A siffatta tradizione scientifica,

che lega l'antico al nuovo, ed alimenta la sacra lampada del genio, l'Italia è per avventura debitrice anche dell' ultimo scrittore di quel gloriosissimo triumvirato, che rese tanto memorabile il primo secolo dell' italiana letteratura. Narra Filippo Villani, che Giovanni Boccaccio, figliuolo di un mercante Fiorentino, essendo un giorno per vaghezza di nuove cose venuto a visitare la tomba di Virgilio nel regno di Napoli, riguardando con ammirazione lungamente quel che dentro chiudeva, e la fama di quelle ossa meditando, cominciò subitamente ad accusare e lamentarsi della fortuna, dalla quale violentemente era costrello a darsi alle mercanzie a lui odiose.

Poca scintilla gran fiamma seconda,

diceva l'Allighieri; ma non voglio però, o giovani, che falsamente immaginiate, essersi l'illustre Fiorentino in un momento trasnaturato di mercante in poeta; i quali miracoli o non accadono mai che nei romanzi, o sono al tutto impossibili, ove non vengano preparati da una anticipata educazione. Infatti i giovane Boccaccio, quantunque chiamato dalla volontà del padre alla mercatura, fin dagli anni primi aveva trovato agio di dare molte ore alle lettere, mostrando già desiderio di consacrarvisi quandochefosse interamente.

Egli era nato da una famiglia oriunda di- Certaldo, ma di non giusti natali, nell'anno di grazia 1313. Il padre, che era mercante, chiamava il figlio a compagno nelle sue ragioni di negozio, comecchè pur si compiacesse di vederlo prediligere gli studi, e seco medesimo si rallegrasse con affetto paterno di udirlo a salutare poeta fin dagli anni più teneri.

lo mi rammento assai bene (sono parole di Boccaccio medesimo), che toccando appena i sette anni, nè avendo ancora veduto alcuna delle poetiche composizioni, ovveramente ricevuto i precetti d'alcun maestro, siccome spronavami la natura, pur mi venne fin d'allora in pensiero d'immaginare qualche cosetta e certe favole, le quali, a dir vero, erano lavori di pochissimo momento, conciossiacchè in quell' età tanto immatura mi venissero meno a tanta impresa le forze dell' ingegno. » Ma un amore così gagliardo e spontaneo per le lettere doveva superare qualunque maniera d'ostacoli; essendo la voce della natura ben più potente di quella dell'interesse.« Secondochè m'insegnava l'esperienza (così prosegue egli narrando), fin dall'utero della madre io mi sentiva irresistibilmente predisposto alle poetiche meditazioni, ed era a ciò nato per quanto mi vien fatto di giudicarne. Non mi è mai fuggito dalla mente come e quanto il padre mio s'ingegnasse di educarmi sin dall'infanzia alla mercatura, commettendo ad uno dei maggiori mercanti di ammaestrarmi nell' aritmetica; studio disaggradevole, nel quale spesi ben sei anni, senza averne altro pro che la perdita d'un tempo irreparabile.

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Con tale disposizione dell' animo non è pertanto, o giovani, a far maraviglia se al postutto la natura vincesse, e se la vista del sepolcro di Virgilio bastasse a trasmutarlo per sempre, risvegliandone gli antichi pensamenti e desiderii; i quali se erano sopiti, non potevano in modo alcuno spegnersi mai interamente. Ma questo era, per così dire, un primo lampo. A saldarlo vie meglio nel suo nuovo proposito, concorreva un altro e tale

avvenimento da mostrargli non impossibile il couseguimento di quella gloria, mercè la quale serba vasi ancora così fresca dopo tanti secoli la ricordanza del vecchio Cantore di Enea.

Vi rammenterà, o giovani, che, alloraquando il Petrarca fu chiamato a Roma per ricevervi solennemente la corona poetica, egli si piacque di venire alla corte di re Roberto, onde aprire un pubblico sperimento e mostrarsi col fatto degno di quell'onoranza che gli si voleva compartire. Or fra i nu- . merosi spettatori di quella scena letteraria si trovava per caso un giovine Fiorentino o ignoto a tutti, o conosciuto appena per l'affetto che in lui aveva posto Maria, figliuola di re Roberto; e questo giovine si nomava appunto Giovanni Boccaccio. Qual impressione dovesse egli ricevere da questo spettacolo, non è certo mestieri ch' io l'esprima a voi, i quali forse per prova conoscete qual fascino potente eserciti su giovani cuori la gloria, tanto più quando si mostri così splendidamente come nel caso di Petrarca. Questo solo vi basti che da quel tempo in poi, postergando ogni altro pensiero si diede tutto agli studi, coll' impeto d' una vecchia passione che trova alfine aperto uno sfogo resogli ancora più agevole dalla morte del padre.

E innanzi a tutto iniziatosi nelle lettere greche sotto la disciplina di Barlaamo, monaco Basiliano venuto di Costantinopoli, si accinse allo studio delle omeriche epopee, impresa che non intralasciò più mai, proseguendola, dopo la partenza del Barlaamo, colla scorta di un altro grecista, Leonzio Pilati, cui imparò a conoscere in Venezia. Ma non contento di ber solo esso a quel rivo perenne di eloquenza, concepì il pensiero di condur seco

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