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La Legge di Grazia aggiunse le tre Virtù Teologali alle sette virtù filosofiche.

I Virtuosi, prima della Legge di Grazia, non potevano far quel bene che ci apre i cieli; quindi ultimo premio a loro che

chiara sentenza. Preferirei a tutte altre la spiegazione che si compiacque darmene a voce il venerandissimo e dolcissimo amico mio Comm. Niccola Nicolini, ed è questa :

» Quei che dipinge lì non ha chi'l guidi, ma esso guida, e da lui uom riconosce quella virtù in proporzione della quale prendon forma le cose, ciascuna in sua postura ». Ma quantunque questo comento sia sublime e vero, sembrami che, interpetrato così quel ternario, ne verrebbe al Poeta la nota di due gravi difetti; l'uno di aver usata una locuzione non chiara; l'altro di aver esposta fuor di proposito un'alta teoria.

Per me, allora solo il senso correrebbe assai bene, quando questa si fosse la Dantesca sentenza :

» Quei che dipinge-lì non ha chi'l guidi, ma esso guida, e noi, per dipingere qui, dobbiam tenerci alla norma sua.

E tal senso do appunto al Dantesco ternario, leggendo ramenta, e così comentando :

Quei ch' esercita in maestà di Re del Cielo la Giustizia distributiva nel Regno suo, sortendo le anime de' giusti quali a salire assai e quali a salir poco, e dipingendo con le loro luci diverse la testa e 'l collo di un' aquila, è pittore che non ha chi'l guidi, ma esso guida, dando maggiore o minor gloria alle anime secondo i loro meriti, per sentenza del suo solo Giudizio; e da lui conviene che alcuna tenue particella si tragga di quella virtù di Giustizia distributiva, ch'è forma per li Regni della Terra; borgate, anzi famigliuole, anzi nidi in paraggio del Regno del Cielo.

Tale comento ha bisogno di tre pruove:

1. Che si ramenta » valga « in minima dose si ritrae ». E tanto varrà si ramenta, se vorrem derivarlo dal ramentum dei

latini: varrà proprio « tenui particula aufertur ».

2. Che veramente la Giustizia distributiva umana possa in minima dose ritrarsi dalla Giustizia distributiva divina.

E ciò è conforme alla sentenza di Dante:

Lume non è, se non vien dal sereno

Che non si turba mai.

si astenevano dal male la felicità temporale o la Beatitudine nel Regno del Mondo. Venne il PRECETTORE DI SAPIENZA, e ci rese idonei a far quel bene, rivelandoci altissimi Veri, e donandoci nuove Virtù. Illuminato da quelli, così di queste scriveva San Bernardo: Est Trinitas a qua homo cecidit, PATER, FILIUS et SPIRITUS SANCTUS; est trinitas quae cecidit, intellectus, memoria, voluntas; et est trinitas in quam iste cecidit, impotentia, ignorantia, concupiscentia; et est trinitas per quam cadens resurget ad TRINITATEM de qua cecidit, scilicet Fides, Spes, Charitas. E veramente col dono a' battezzati della Fede Speranza e Carità ( unici mezzi valevoli a trar fuori l'uomo di sua impotenza, ignoranza e concupiscenza) la Legge di Grazia perfezionò la Legge di Natura. Così le sette virtù filosofiche sublimate dalle tre virtù Teologali formarono con esse le dicci Virtù cristiane, che, giovate da' rivelati Misterî e da'Sagramenti e da' meriti del SALVATORE, ci son via alla felicità eterna, ossia alla Beatitudine nel Regno del Cielo.

Dante nell' Inferno raccomanda le Virtù intellettuali.

Proemiato il gran Viaggio nel Canto I., il Poeta discende nel 11 dalla Porta di S. Pietro della Santa Gerusalemme terrena alla Porta dell' Inferno. Nel Canto III e nel IV (specie di Anti-Inferno) prima vede il pusillanime, cui dice Dio: Quia tepidus es, et nec frigidus nec calidus, incipiam te evomere ex ore meo (S. 1o. );

3. Che sia modo nostrale - La virtù ( della Giustizia distribu tiva) è forma per li Regni della Terra-.

Ma chi ricorda che Dante nel Canto 1.° del Paradiso disse L' Ordine

è forma,

-

Che l'Universo a Dio fa somigliante volontieri concederà, che abbia potuto dire nel Canto XVIII : « La virtù della Giustizia distributiva è forma, che ( se si ramenta da Dio) fa simiglianti i Regni della Terra al Regno del Cielo ».

poi vede Bambini e Virtuosi di varie specie senza batlesimo; e comincia l'Inferno. Col mostrarne chi per Incontinenza si ruppe a' vizi di Lussuria, Gola, Avarizia o Prodigalità, Ira o Tristizia, ci consiglia a Scienza, Virtu Intellettuale che ordina al Vero. Prima di entrare nella Città di Dite, tomba de' Bestiali, mostrandoci gli orgogliosi, che, secondo Aristotele, de' Bestiali sono men rei e più rei degl' Incontinenti; e nella Città di Dite mostrandoci i puniti di matta Bestialitate; e nell' uscir da lei mostrandoci coloro che, par non sappia se più per Bestialità o più per Malizia, si lasciarono tôrre a inganno dagli Eretici, ci guida a Sapienza, Virtù intellettuale che ordina al Bello. Ne' tre ultimi Cerchi Infernali ei ci mostra cui Malizia spinse a violenza, a frode, a tradimento, e si c'innamora ad Intelligenza, Virtù Intellettuale che ordina al Buono. Stimoli all'amor del Vero, del Bello e del Buono son le pene de' rei che lo sconobbero, e gli ammaestramenti del Saggio famoso, e il profitto del mistico pellegrino.

Dante nel Purgatorio raccomanda le Virtù Morali.

Basterebbe notare, come San Tommaso ne abbia dimostrato, che, benchè sette sieno i vizi capitali e quattro soltanto le Virtù morali, pur quelli e queste sieno perfettamente in opposizione fra loro; e notare insieme come il Purgatorio di Dante sia diviso in selte gironi ove chi da que' vizi fu offeso purga sua colpa, per concludere che le Virtù Morali sono raccomandate nella seconda Cantica. Ci giovi non per tanto l'osservare, che alle falde del Monte Ove l'umano spirito si purga,

ed in una specie di Anti-Purgatorio, Dante collocò i Perditori del tempo, che, più ch'altri, si mostran nudi di Prudenza; e poi ch'ebbe meditata lor pena, quasi a lui avesse detto la Sapienza Beatus homo...qui affluit Prudentia!.. Si dormieris, non timebis, et suavis erit somnus

tuus, volle, in fine di quel suo Anti-Purgatorio, la. sciarsi vincer dal sonno. Quando poi sale a' gironi, nelle pene de' Superbi, degl' Invidiosi e degl' Iracondi ci mostra, secondo le ragioni de' Filosofi Morali, i danni di chi oltre Fortezza trasvà, e nelle pene degli Accidiosi ci mostra i danni di chi a Fortezza non aggiunge. Poi colla miseria degli Avari inchina gli animi a Giustizia, e con quella de' Golosi e Lussuriosi gl'inchina a Temperanza. Quando finalmente fra un mar di pene gli ammaestramenti del Saggio famoso lo hanno condotto

Dentro la danza delle quattro belle (Morali Virtù ), ne addita quell'alto premio, che, a norma di quauto scris se egli stesso nel III Libro de Monarchia, è conceduto a coloro che seguono le Virtù Intellettuali e le Morali cioè la Beatitudine di questa vita, che pel terrestre Paradiso si figura.

Dante nel Paradiso raccomanda le dieci

Virtù Cristiane.

L'Intelligenza del Filosofo può prender quaggiù un abito gentile, ma l'Intelligenza del Cristiano non è perfetta sin che il grava il peso di Adamo. Quindi Dante, che ben sapea non potersi da un'Intelligenza impura penetrar nell'altezza del Paradiso, sin dal primo Canto sacro alle bellezze del Cielo non istudia all'acquisto di questa Intellettuale Virtù, ma, fattosi per eccelso dono tôrre il potere di uscire dall' Ordine, trasumana, e sì gli è infusa l'Intelligenza de' Beati. Sale poi al Ciel della Luna, veduto in quel più basso scanno de'Celesti starsi femmine che nè rilussero tra gli Attivi nè fra’Contemplativi, impara, in quella specie di Anti-Paradiso, quanto la Virtù della Scienza sia utile a ben discernere fra le vie di questa vita quella che meglio ci guidi a salute. E nel Ciel di Mercurio trova gli Attivi, beati si ma non in alto seggio, perchè la Virtù della Sapienza, ove più s'annidi

e

negli animi, più li solleva sopra le mondane cure, e gl' innamora a contemplare le bellezze eterne di Nostra Patria. Cresciute all' anima le forze della Sapienza, s'innalza il Poeta al Cielo di Venere, ch'è per le fantasie erotiche il Ciel d' Amore, e per un sacro Cantore il Cielo della Carità. E di questa altissima inspiratrice di Prudenza (V. S. Tomm.) furono pieni i petti di Carlo, di Folco, di Cunizza e di Raab, i quattro Prudenti che Dante onorar volle in quel Cielo, in cui la Prudenza par si goda di starsi fra i Principi celesti che il volgono, sendo essi quegli Angeli a'quali la prima delle Morali Virtù è specialmente diletta. La Temperanza poi s'allieta del veder premiati i suoi cari nel Sole, ch'è il ministro maggiore della Natura perchè la tempera fra il caldo e 'l gielo, e la notte e la luce. Sembra che Dante in quel tesoro di Dio non sappia tenersi dallo sclamare Beati pauperes ! e canta Francesco e Domenico e Bonaventura, e poi anche Bernardo, Egidio, Silvestro, Illuminato e Agostino, quali Poveri, quali Poverelli, ma Temperanti tutti, perchè tutti astinenti e sobrt e casti e pudici. Ma quel dottissimo, che avea salutata nel Limbo la Temperanza studiosa in lunga schiera di eletti Spiriti da Aristotele ad Averrois, risalutar la volle nel Paradiso, ossequiando a Spiriti ben più eccelsi, da San Tommaso Al Calavrese abate Giovacchino.

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Arricchitosi di Temperanza celeste, s'innalza ancora il Poeta, ed entra il Cielo di Marte, stanza beata de' Forti: ivi la Fiducia, la Magnificenza, la Perseveranza e la Pazienza, delle quali la Fortezza s' infiora, stannosi ad innamorare di sè il viaggiatore Cristiano. Nel Cielo che i Pagani consagrarono a Giove appare a Dante glorificata la Giustizia distributiva dei Re. E perchè sapientemente cantò, che a quel santo Regno

Non sali mai chi non credette in CRISTO, vi fa gloriosi quattro Monarchi che diversamente credettero in LUI; per rivelazione, per apparizione, per in

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