Page images
PDF
EPUB

le grandezze de' Romani fossero state in loro accumulate da Dio, perchè così avesse in Roma condegna sede quel Loco santo, da cui, come da centro, si dovea diffondere la vera Religione pel mondo.

Si lasciò la nascente Roma ai Re e la vittoriosa Roma ai Consoli, finchè furono pieni i tempi per la discesa del VERBO.

... Poi,
, presso al tempo che tutto 'l Ciel volle

Ridur lo mondo a suo modo sereno,

cioè, come ne comenta egregiamente il Costa, « Presso al tempo in cui si volle da tutto il Paradiso, che la Terra riducessesi a Monarchia, governo pacifico e a somiglianza di quello del Cielo », Cesare tolse il Segno dell' Aquila, e questa, imperando Augusto,

pose'l mondo in tanta pace

Che fu serrato a Giano il suo delubro.

e nacque GESU CRISTO.

[ocr errors]

Tennesi dall' Allighieri, che il VERBO ETERNO " nendo ad abitare quaggiù, non volesse mostrarcisi in maestà di RE DEL MONDO, poichè anzi volle umiliar Sè stesso sino alla Croce. Quindi ebbe per immutato l'antico decreto della Providenza, che, concedendo al Romano Imperatore l'Aquila, la Spada ed il Trono, lo qualificava Duca, Signore e Maestro. Parve conformemente a Dante che GESU altra Sua Natura non dispiegasse che la Natura umana, allorchè disse a Pietro Tibi dabo Claves Regni Coelorum -; ed ancora -Pasce oves meas —; ed ancora Tu es Petrus, et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam -; e che così il SOMMO SACERDOTE DEL REGNO DEL CIELO ne avesse consegnate le Chiavi a' Sommi Sacerdoti Vicart Suoi, ed il BUON PASTORE avesse lasciato loro il Suo Pastorale, e il DIVINO MAESTRO li avesse infine collocati nel Loco santo per insegnarvi la Dottrina Sua. Siccome però la Natura divina e la umana costituiscono in GESU CRISTO una sola Persona, il pio Allighieri insegnava, che da GESU CRISTO si bi

forcavano le due Autorità supreme della Terra, quella del Pontefice, e quella dell' Imperatore, secondo i modi che abbiam discorso.

Tale si fu la dottrina di Dante, e se ne ode ancora un suono nelle umili bocche degl' Itali coloni che soglion dire: Un sol Dio, un sol Papa, un solo Imperatore.

Dante volea separate le due primarie Autorità della Terra alle quali riveriva,

la Pontificia e la Imperiale.

E qui convien notare, come Dante credesse non potersi giungere insieme Chiavi ed Aquila, Spada e Pastorale, Loco santo e Trono. In riguardo alle Chiavi ed all'Aquila, si sa ch' egli tenne doversi preparare e conservare da questa la Pace universale per quella in riguardo alla Spada ed al Pastorale, chiaramente ei dice, che, unendosi, l'un l'altro non teme (1): in riguardo al Lo

(1) Taluni si avvisano, che il sommo Poeta avrebbe voluto ritolti alla Chiesa gli Stati onde la donarono Principi munificenti; nè cí par fuor di luogo il far qui breve esame di questa loro opinione.

Gli argomenti, di cui si valgono, sono, secondo loro, fondati nelle politiche, e ne' versi di Dante. Quindi ricantano l'antica novella della fierezza del gran Ghibellino, e citano, come testi cui nulla si possa opporre, la famosa apostrofe a Costantino, ed il luogo in cui il Poeta lamenta l'unione della Spada col Pastorale.

In riguardo al Ghibellinismo di Dante, è a dirsi, che, la Dio mercè, a nostri dì vivono non pochi uomini di chiarissimo ingeguo, a' quali non piace seguir alla cieca le tradizioni volgari, ma si accendere il lume della Critica, ed al suo raggio giudicar degli uomini e delle cose de'tempi andati; e da questi dotti, ed in ispecial modo dal Balbo, siam messi in via per accostarci più presso all'antico Poeta, e quindi meglio conoscerci delle sue opinioni. E più risaliamo a lui, più vediam chiaro, che ben può applicarsegli la divina sentenza: Adolescens juxta viam suam, eliamsi cum

co santo ed al Trono, cioè alla Cattedra donde si avea ad insegnare agli uomini la Dottrina di GESÙ CRISTO,

senuerit, non recedet ab ea; imperocchè nato di famiglia Guelfa, e avendo combattuto valorosamente a Campaldino nelle fila de'Guelfi, e tolta per moglie una fanciulla di famiglia già celebre ne' fasti di Parte Guelfa, si accostò poi, egli è vero, a' Bianchi, e ne' bei giorni di Arrigo si mostrò pur Ghibellino, ma diè poi a divedere nel suo Convivio come reclinasse l'animo stanco alle proprie opinioni giovanili, e sotto il tetto del Guelfo Signor di Ravenna cercò ultimo e riposato asilo alla raminga sua vita. Ciò dell' uomo or diciamo dello scrittore. E qui vorremmo nella memoria di tutti le elegantissime pagine nelle quali il buon Giulio Perticari ne dimostrò, che Dante nel suo Poema non lusingò nè Guelfi nè Ghibellini, e che veramente gli fu bello

L'aversi fatta parte per se stesso. Nè crederemmo, che si tolga a lusinga de' Ghibellini l'essersi Dante fatto dire dal trisavolo:

Ma quel che più ti graverà le spalle
Sarà la compagnia malvagia ed empia
Con la qual tu cadrai in questa valle.

[ocr errors]

nè certamente il fiero Ghibellino de' moderni era molto tenero dei Ghibellini antichi, quando diceva loro, che indegni erano di alzar l'Aquila per vessillo, e cantava :

Faccian li Ghibellin, faccian lor arte

Sott'altro segno, chè mal segue quello

Sempre chi la giustizia e lui diparte.

Ma noi potremmo pure concedere, in riguardo alla quistione di cui trattiamo, che Dante fosse stato ognora un Ghibellino ardentissimo. Che perciò? Non sappiamo, se possa tornar grato a taluni che s'affibbi all'antico Ghibellinismo il sacramento di ridurre i Pontefici senza terra e senza peltro; sappiamo però, che i Ghibellini lottaron co' Guelfi per più alte e vitali quistioni, nè certo per poche zolle di terreno largite a Santa Chiesa si divise in due grandi fazioni presso che tutta l'Europa. Arroge, che Cattolicismo e Ghibellinismo potevan tanto convenire in fra loro, che Uomini di Chiesa e personaggi segnalati per la loro pietà e religione si videro tener la parte de' Ghibellini; nè l'avrian tenuta, se sua mira fosse stata volta a spogliar Santa Chiesa de' beni suoi, mentre i Pontefici, depositari de' doni fatti al sangue di S. Pietro e de' Martiri, fulmiDavano tremende scomuniche a chi s' ardiva dar loro di piglio nè avria tenuta la parte de' Ghibellini quel Dante, il quale si protesta

ed al Seggio donde si avean ad insegnare agli uomini que' documenti che li conducessero a moralità ed al bene che ne

illa reverentia fretus quam pius filius debet patri, quam pius filius matri, pius in Christum, pius in Ecclesiam, pius in Pastorem, pius in omnes Christianam religionem profitentes; quel Dante, il quale, perchè Manfredi (che per aver osteggiata la terra de' Papi era stato scomunicato) morì in contumacia della Chiesa, fa che nell' uscir di vita si renda a Dio, e nondimeno il condanna a starsi fuori del Purgatorio uno spazio di tempo trenta volte maggiore di quello nel qual visse in sua presunzione. Insomma fu Dante, e sempre in sua vita, un fiero Ghibellino ? i Ghibellini volevano ritolte alla Chiesa le terre largitele dalla pietà degl'Imperatori? Dante era uomo che si ridesse delle scomuniche fulminate contro i nemici delle terre della Chiesa? Pare che no.

:

Or esaminiamo qual peso debba darsi alla tanto ricantata apostrofe a Costantino. Eccola :

Ahi! Costautiu, di quanto mal fu matre

Non la tua conversion, ma quella dote

Che da te prese il primo ricco Patre.

A chi ben guarda per entro questa sentenza, altro certo non appare, se non che Dante dice, che dal dono fatto da Costantino alla Chiesa derivarono molti mali. E qual meraviglia? Qual è quel bene quaggiù, onde un male non si derivi? Altro che dal dono di Costantino venner de' mali! Il libero arbitrio, che pur Dante esser disse il maggior dono che Dio facesse alla terra, produsse mali infiniti. Sì che colui il quale deplora i mali cagionati da un bene, non può risguardarsi, per ciò solo, com'uomo che reputi intrinsecamente non buona la cagione de! deplorato male: così chi dicesse ad Adamo - Ahil di quanto male fu madre, non la tua creazione, ma quella dote di libertà che avesti da Dio - 9 non diría con ciò, che vorrebbe ridotto lo spirito umano alla condizione dell'anima de' bruti: così, se un figlio venuto a grandi ricchezze donasse il padre poverissimo di una villa, e questi vi si abbandonasse all' intemperanza, chi dicesse che quel dono fu cagione di molto male, non direbbe con ciò, che vorria si ritogliesse dal figlio la villa al suo genitore. Noi poi, cercando il sacro Volume, troviamo che Dante ebbe per lodevolissima la pietà di que'generosi che donarono di beni temporali la Santa Sede; ed i mali che ne

deriva, con apertissima distinzione ne ragionò l' Allighieri, scrivendo: Opus fuit homini summo Pontifice, qui

derivarono non tenne nè per necessari, nè per perenni; e il dar loro rimedio, ritogliendo i beni alla Chiesa, reputò sacrilegio, sì che ne aspettava rimedio solo e sicuro dalla Providenza divina.

Difatti Costantino, il benefattor della Chiesa, si sta fra i beati di Giustizia nel Cielo, ed ivi

Ora conosce, come 'l mal dedutto

Dal suo bene operar non gli è nocivo.

Cos) Dante dichiara non solo, che quell'illustre Imperatore
Sotto buona 'ntenzion, che fè mal frutto,

Per cedere al Pastor si fece Greco ;

ma dichiara altresì buona l'opera di arricchire il Padre de' Fedeli; opera che ne libri de Monarchia aveva già dimostrata lecita sì in riguardo al donato che al donatore, e che nel Poema dichiara meritoria, qualunque male se ne fosse dedotto, qualunque mal frutto colto se n' fosse. Carlomagno poi si è beato nel Cielo di Marte, per la sua Magnificenza, e veramente per lui vennero a stato signorile i Pontefici. Nè Dante volle dimenticata la pia Contessa Matilde che lasciò erede di sue terre la Chiesa, ma dalla Guelfa famosa volle essere sommerso nel Lete, per innalzarsi, dimenticate le ire di parte, dal terrestre al celestiale Paradiso. Nè taceremo, che se bello ne parrà di vedere col Niccola Nicolini nella Matelda del Poema Sacro un Anello con cui volle il divino Poeta legare il Cielo e la Terra, nè parrà pur bello l'osservare al tempo stesso, che ciò piacque al Poeta, perchè la Contessa Matelda si fu quella generosa che dispensò i beni della Terra a Coloro che dispensano i beni del Cielo.

Or ci si dica: Avendo Dante biasimato (!) Costantino perchè arricchi i Papi, non è da credere ch'egli sia stato molto tenero di cotesta donatrice Matelda. Noi, leggendo queste ed altrettali baie, saremmo sospinti a dire, che dovrebberşi togliere dalle mani de giovani non le Cantiche di Dante, ma alcuni Comenti sul Dante, e ripetiamo volontieri çol Silvio Pellico: Giovani che giustamente ammirate quel Sommo, studiatelo col vostro nativo candore, e scorgerele che non volle mai esservi maestro di furori e d'incredulità, ma bensì di virtù religiose e civili. Torniamo a noi.

Dicemmo, che Dante non ebbe il male che si dedusse dal bene operare di Costantino nè per necessario, nè per perenne; e dicem. mo un vero imperocchè, non d'altro tacciando Dante la sua Roma, e si pure le Corti del tempo suo, che d' Ambizione, Ingerdigia e

« PreviousContinue »