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Senso Letterale Tav XII

DABO TENEBRAS IN TERRAM TUAM. Ezec.

PONAM EAM DESERTAM: NON POTABITUR ET NON FODIETUR; ET ASCENDENT VEPRES ET SPINA; IN SECULA SACULORUM NON ERIT TRANSIENS PER EAM.

Is.

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era in debito di celebrare i due Luoghi della MONAR· CHIA medesima consagrati a' due Misteri dell' IMPERATORE più famosi ed augusti; il Luogo ove s'innalza il Trono dell' UNO e del TRINO, ed il Luogo ove il FIGLIO redense la MONARCHIA. Quindi nel Poema il COLLE della Redenzione IN MEDIO TERRAE, e l'IRI SUPERIORE AD OGNI UBI; quindi dall'ARA DI DIO celebrata nel Canto primo noi ci alziamo al TRONO DI DIO celebrato nel Canto ultimo. Così colui che cecinit Jura MONARCHIAE cantar volle il SOGLIO onde emanano i Decreti del POTERE, e l'ALTARE su cui si consumò il SAGRIFIZIO per decreto dell' AMORE.

E, da si alto concetto facendoci a cosa tutta piana e didascalica, saria verisimile lo scendere all'Inferno senza cagione? o, perchè la discesa acquistasse credibilità, non sarebbe anzi necessità il dimostrare, come la cagione se ne stesse riposta dentro fatti precedenti ? È però da riguardarsi quasi un canone di Poetica, che le discese all' Inferno ( sì in uso, come provò l'Ozanam, presso gli antichi) sien precedute da un Racconto: se da un Racconto, da un Luogo di Azione; se da un Luogo di Azione, da' luoghi reali; se da' luoghi reali, daʼluoghi della Terra abitata; se da' luoghi della Terra abitata, da' luoghi, nel Poema di Dante, posti sulla superficie dell' Emisfero nostro. Qui ci vogliono Vie, Selve, Colli, Piaggie, Monti poeticamente veri; non ci vogliono nè baje morali, nè baje politiche, perche colui che asseri d'aver fatto un Poema

Al quale han posto mano e Cielo e Terra,

cantar dovea, e cantò, quanto ha il Cielo di più sacrosanto, e la Terra di più venerando (1). Oltre di che, e

(1) Dante non asserisce mai falso, non promette mai invano. Nel Canto di Ugolino, p. e., fa promettere al Conte, che s'udrà come la morte sua fu cruda; ed il suo racconto finisce appunto col quando egli spira per la vittoria del digiuno sul dolore, non col quando

gli è ben chiaro, che un Poeta, che raccontar voglia la sua discesa all'Inferno, dir ne debba dove passò per farsi presso all'uscio de' morti; e Dante non ommise di descrivere la via che tenne, e fu questa: Dalla Selva oscura alla Valle, dalla Valle al Colle, dal Colle alla Piaggia diserta, dalla Piaggia diserta alla Porta di San Pietro, dalla Porta di San Pietro alla Porta dell'Inferno. Convien studiar la sua via.

Necessità morale.

Dante, e ciò già dicemmo, cantò l' UNIVERSO; per cantarlo, dovea viaggiarlo; per viaggiarlo, non avea altre vie, che la Via diritta, e la Via lunga, e questa, appunto perchè lunga e perchè mirabilmente poetica, egli prescelse. Prescelta questa Via, nel suo Canto dovea necessariamente nascondersi un Trattato del Simbolo di questa Via, cioè un Trattato della Soddisfazione; e siccome la Soddisfazione necessariamente conseguita alla Contrizione ed alla Confessione, così per trattare di quella, dovea dire alcuna cosa di queste; e se quella era nel velo del Simbolo, dovea egli necessariamente velare anche queste. Dante ne cercò i veli ne' Libri Cattolici, ed imparò, che Simbolo della Contrizione è un compungimento del cuore nella Valle, che Simbolo della Confessione è un riposo del lasso fra le spalle del Colle; ed imparò ancora, che, se Simbolo della Soddisfazione è la Via lunga che passa pe' tre Regni, Simbolo dell'inizio della Soddisfazione, ossia il Loco della Penitenza, è la Porta dell' Inferno che sta nella Selva oscura. Imparato di ciò, necessaria

( secondo alcuri comentatori) si mette a mensa di orrido pasto. Poscia più che il dolor potè il digiuno

non significa altro, se non se -- Poscia, più che non potè il dolore a rinfocolare la mia vita, valse a spegnerla il digiuno —. Ed è modo tolto dalle Metamorfosi, laddove Ovidio narra i lagrimevoli casi di Niobe.

mente alla sua discesa alla Porta dell'Inferno dovette premettere il suo viaggio alla Valle ed al Colle, ed egli ci. fè sentire la necessità in cui era, cantando

Ma, per trattar del ben eh'ivi trovai,

Dirò dell'altre cose ch'io v'ho scorte

e, senza più, si fece a parlare della Valle e del Colle.

Necessità artistica.

Il Cantore della MONARCHIA DI DIO non potea non voler spendere tutti i colori del suo divino pennello, per adornare quell'UNIVERSO ch'ei presentava alle genti universe. Che non fu detto dell'Empireo? Eppur il Poeta lo abbella di una Rosa, che tal non s' infiora da' più gran Maestri in pittura nelle cupole più superbe, sol perchè le bellezze di Dante si trasmodano di là da loro. Quai meraviglie non vedete voi, o Giovani gentili, in quel Cielo ove fra Luce ed Amore gli Angioletti, distinti in nove cori,

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Tutti tirati sono e tutti tirano. -? Nel Cielo ottavo il TRIONFO DI CRISTO è sì magnifico, che la bellezza di quel Cielo non potea esprimersi che da un Dante, e questi la espresse con una delle più vaghe locuzioni della lingua umana

Ciò ch'io vedeva mi sembrava un riso
Dell'Universo

Il Ciel di Saturno è adornato dal Poeta di uno scaleo

Di color d'ora in che raggio traluce,

e di splendori, che scendono giù per li gradi, tanti e si vivi, che si crederia

ch' ogni lume,

Che par nel Ciel, quindi fosse diffuso. Nella facella di Giove un'Aquila è rappresentata da più di mille Luci, che, volitando, si fanno in figure vaghissime, sì che quel Pianeta

Pareva argento li d'oro distinto.

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