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La notte, ch'i' passai con tanta pièta.
E come quei, che con lena affannata

Uscito fuor del pelago alla riva,
Si volge all'acqua perigliosa, e guata;
Così l'animo mio che ancor fuggiva,
Si volse 'ndietro a rimirar lo passo,
Che non lasciò giammai persona viva.
Poi ch' ebbi riposato 'l corpo lasso,
Ripresi via per la piaggia diserta,

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Sì che 'l piè fermo sempre era 'l più basso: 30

detta sanguinis promptuarium et giammai persona viva - poichè

cisterna.

-

21. La notte ec.: il tempo dello smarrimento nella selva · Pièta vale affanno, dolore.

26-27. Lo passo, Che non lasciò giammai persona viva secondo alcuni è la selva dei vizii, perchè la vera vita sta nella virtù: secondo altri è l'esilio, il quale è cagione che l'uomo civilmente muoja. Il celebre Perticari scrisse a questo luogo la seguente osservazione. "Non è a pensare solamente al senso allegorico ove il senso proprio è piano ed aperto. Dante è entrato nella piaggia diserta, v. 29, in luogo ove non è uom vivo, e la sola ombra di Virgilio gli si presenta. Questo è dunque il primo verso col quale egli ci avvisa che penetrò nella terra de' morti: passò cioè quella selva, quel gran diserto, che divide il mortale dall'eterno. Ond' egli il chiama benissilo passo, Che non lasciò

mo

veramente nessuno vi giunge e il
varca che non sia prima morto. In
questo luogo il grande imitatore
di Virgilio ebbe in mente quel
dell'Eneide Libro VI Lucos
passo
Stygios, regna invia vivis, aspi-
cies ".

Su

30. Si che'l piè fermo ec. questo passo, cagione di tanti contrasti, dirò io pure alcune parole. E innanzi tratto dimando: che è piag gia? propriamente salita di monte poco repente, risponde il Vocabolario e ch' egli risponda bene me lo assicura il Boccaccio (g. 6 verso la fine); Le piaggie delle quali montagnette così degradando giù verso il piano discendevano. La piaggia è dunque un piano dolcemente inclinato. Figurati ora di essere Dante che prende la via per questa piaggia: spicca il piede dal piano orizzontale, e comincia a salire l'inclinato. Ad ogni passo che fai, non è egli vero visibilmente

Ed ecco, quasi al cominciar dell' erta,
Una lonza leggiera e presta molto,
Che di pel maculato era coperta.
E non mi si partia dinanzi al volto,
Anzi 'mpediva tanto 'l mio cammino,
Ch'i' fui per ritornar più volte vôlto.
Temp' era dal principio del mattino,

El Sol montava in su con quelle stelle,
Ch' eran con lui, quando l'Amor divino.
Mosse da prima quelle cose belle;

che il piè che si muove andando all'insù, necessariamente viene ad essere il più alto? La testimonianza dell'occhio, se non basta quella del raziocinio, te l'assicura. Dunque per inversa ragione se il più alto è sempre il piè che si muove all'insù, di viva forza bisogna che il più basso sia sempre quello che resta fermo, mentre l'altro salisce. Per lo contrario se dall' insù verrai all'ingiù, il piede che si ferma resterà sempre il più alto, e il piè che discende, diverrà alternativamente sempre il più basso. Se questa non è evidenza manifestissima, io non so più dove trovarla. E mi pare che Dante volendo in maniera tutta nuova e tutta sua, indicarci che quella via da lui presa era in declive, in salita, e dicendo: si che 'l piè fermo sempre era 'l più basso, non potesse meglio dipingere all'occhio del lettore il suo ingegnoso concetto MONTI. Per maggior chiarezza di questo

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Si ch' a bene sperar m'era cagione Di quella fera la gaietta pelle, L'ora del tempo, e la dolce stagione ;

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Ma non sì, che paura non mi desse

La vista che m'apparve d'un leone.

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Questi parea che contra me venesse tee.

Con la test' alta, e con rabbiosa fame,

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Sì che parea che l'aer ne temesse; Ed una lupa, che di tutte brame

Sembiava carca nella sua magrezza, E molte genti fe' già viver grame. Questa mi

porse tanto di gravezza,

Con la paura ch' uscia di sua vista,
Ch'i' perdei la speranza dell' altezza.

ma. In vece però di dire ch' era quella la stagione in cui fu creato il mondo, dice (che è lo stesso) che veniva il Sole alzandosi in compagnia di quelle medesime stelle ch' erano con lui quando da prima fu mosso dall' Amor divino, cioè da Dio, per effetto d'amore verso dell'uomo.

41. Si ch' a bene sperar ec. Ecco a mio giudicio la costruzione di questo passo. La gajetta pelle di quella fera (il gajo e festevole suo aspetto), l'ora del tempo, cioè della mattina, e la dolce stagione. (la primavera), cose tutte di buon augurio, m' erano cagione a sperar bene. Il pensiere è tutto alle gorico, e vuol dire che i gentili costumi di Firenze, il tempo della

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E quale è quei, che volentieri acquista,

E giunge 'l tempo, che perder lo face,
Che'n tutt'i suoi pensier piange, e s'attrista; 57
Tal mi fece la bestia senza pace,

Che venendomi 'ncontro a poco a poco,
Mi ripingeva là, dove 'l Sol tace.
Mentre ch'i' rovinava in basso loco,
Dinanzi agli occhi mi si fu offerto
Chi per lungo silenzio parea fioco.
Quando vidi costui nel gran diserto,
Miserere di me, gridai a lui,

58. Bestia senza pace. Se in questa bestia credi rappresentata l'Avarizia, dirai che il Poeta accenna la natura di questo vizio, di non conceder mai pace a coloro che ne sono offesi. Se poi segui il Marchetti, dirai che il Poeta accenna la politica della Corte di Roma a que' tempi, notata anche da altri, di tener l'Italia divisa di terre, di opinioni e di affetti.

60. Dove'l Sol tace: catacresi che significa dove il Sole non risplende. 63. Chi per lungo silenzio parea fioco. Alcuni domandano, come mai potè Dante asserire che Virgilio parea fioco, s'egli non aveva ancora parlato? Or ecco, lasciando in disparte le altrui interpretazioni, quel che a noi pare di dover dire intorno a questo passo. Dante volea raccontare l'apparizione di Virgilio; come egli in sulle prime non lo riconobbe; e come poi ebbe da lui notizia dell' esser suo. E perchè,

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questo racconto interessasse più vivamente il lettore, gli conveniva da una parte tacere il nome, e lasciar che il lettore lo sapesse dalle parole medesime di Virgilio dalle quali anch' egli l'aveva saputo, e dall'altra parte poi far tal cenno del personaggio, che eccitasse la curiosità. Però considerando che le opere dei grandi scrittori sono come una voce colla quale parlano anche dopo la tomba, e che le opere di Virgilio per la rozzezza e barbarie dei tempi, non erano da gran pezza studiate, tolse di qui materia ad una perifrasi colla quale potesse caratterizzare Virgilio senza profferirne il nome, e disse essergli apparso tal uomo che, a giudicare dal lungo sílenzio in cui era stato, parea fioco. Appresso poi espone la sua dimanda e la risposta ch' egli ebbe; e soltanto dopo questa può ben intendersi quella perifrasi, appunto come Dante non

Qual che tu sii, od ombra, od uomo certo. 66 Risposemi: non uom; uomo già fui,

E li parenti miei furon Lombardi,
E Mantovani per patria amendui.
Nacqui sub Julio, ancor che fosse tardi,
E vissi a Roma sotto'l buono Augusto,

seppe chi fosse colui che gli si era offerto dinanzi agli occhi se non dopo quella risposta.

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che anco la madre fu Lombarda e Mantovana. Il pleonasmo consiste nell'aver detto I parenti miei, cioè i miei genitori furon Lombardi e Mantovani: e poi nell' aver soggiunto quell'inutilissimo amendui. Imperocchè i genitori non poteano essere nè più nè meno di due ; e i plurali parenti, Mantovani, Lombardi, rendono al tutto vano quell'amendui PERTICARI.

66. Od ombra, od uomo certo, cioè uomo vivo. Chieder si potrebbe, come non sapendo ancora di essere nel regno della morta gente, venisse qui in capo a Dante di chiamar ombra Virgilio: imperocchè que' morti spiriti in nulla dissimigliavano a vivi corpi; e il Poeta li chiama vanità che par persona. Ma è a considerare che qui Dante parla da uomo atterrito: nè deve recar meraviglia se veggendosi all'improvviso apparire Virgilio sotto Giulio, ma essendo morgilio in quella immensa solitudine il prenda quasi per un fantasma. Il quale accorgimento ci sembra proprissimo ad esprimere con evidenza gli effetti della paura.

70. Nacqui sub Julio. Per ragion di sintassi il fosse tardi deve riferirsi al nascere di Virgilio e non al regnare di Giulio. Nacque Vir

to costui mentr' egli era giovine, nacque troppo tardi per poter essere il suo Poeta, siccome lo fu poi di Augusto. Dicendo che sotto il buon Augusto visse, intende che ebbe la vita del nome, dell' opere e della gloria, che è la sola vita dell' uomo, secondo Dante, che gli uomini oscuri appella non vivi. Dicendo Virgilio ch' ei cominciò a vivere dopo i 25 anni, dà me

67–68. E li parenti miei ec. Il Casa riprese Dante di superfluità, perciocchè, disse, niente rileva se la madre di Virgilio fosse stata da Gazzuolo, o anco da Cremona. E il Lombardi riprende il Casa. A me sembra che il Casa avvisas-glio a conoscere che qui non parla se bene che qui è una superfluità: della vita animale, ma sì di quella ma che male si spiegasse, dicendo che si vive per opere grandi e per ch' ella consiste nell' aver detto virtù cittadine PERTICARI.

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