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sorella. Bella ed affettuosa è la lettera del giovanetto, che è prima delle lettere stampate.

Bernardo per servire il suo Principe e per procacciarsi d vivere va a Pesaro, ad Urbino, a Venezia. Torquato lo segu e nel 60 si ferma in Padova a studiare leggi e filosofia: m figliuolo di celebrato poeta e poeta anch' egli, componeva u poema romanzesco in dodici canti intitolato il Rinaldo, e nel 6 lo stampa in Venezia, e lo dedica al cardinale Luigi d' Este: dopo questo comincia un altro poema che fu la Gerusalemm Nel 65 il Cardinale lo tolse al suo servizio come gentiluom e lo presentò nella Corte di Ferrara. Ecco dunque il giovin poeta di ventun' anno nella splendida Corte dove era il duc Alfonso II, fratello del Cardinale, e le sorelle Lucrezia ed Elec nora, che avevano intorno ai trent'anni, ed erano assai colte e si piacquero del giovane, ed egli delle principesse, specia mente di Eleonora. A persuasione di costei scrive versi e prose ed intende al poema, di cui mostra alcuni canti a Scipion Gonzaga in Padova. Nel 69 corre a Mantova dove gli muore padre, ed egli pel dolore si ammala. Nel 70 la principessa Lu crezia va sposa al duca d'Urbino, ed il Cardinale invita Tor quato a seguirlo in Francia dove egli aveva alcuni benefiz Prima di partire, Torquato scrive una specie di testamento ne quale prega un suo amico di raccogliere le sue poesie e pub blicarle; di vendere le robe che aveva in camera e altre ch aveva pegnorate, e porre un epitaffio a suo padre. Stette quas tutto il 71 in Francia, che trovò men bella dell' Italia; e infin disgustato prese congedo dal Cardinale, e tornò in Italia co la stessa veste con cui era partito.

Tornato adunque in Italia, venne a Roma, dove ricevè let tera che gli annunziava essere stato ammesso tra i gentiluo

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> mini il facciano morir disperato. Come Ella intenderà dal procuratore mio Scipione de' Rossi, mio zio cerca di maritar mia sorella con qualche povero gentiluomo, col quale forse abbia da stentar tutto il tempo de la sua vita ⚫ con isperanza di godersi il resto de la eredità di mia madre.

> Il dolor, Signora illustrissima, de la perdita de la roba è grande, ma » del sangue è grandissimo. Questo povero vecchio non ha altro che noi doi ⚫ e poichè la fortuna l'ha privato de la roba e de la moglie che amava quanto > l'anima, non consente che la rapacità di costui lo privi de l'amata figliuola nel seno de la quale sperava di finir quietamente questi ultimi anni de la vec chiezza sua. Noi non avemo in Napoli amici; chè per lo caso di mio padre sono nemici: V. E. sola può con la sua autorità » ognuno teme; i parenti ne sollevarlo di tanta miseria; e faccialo arditamente, poichè, considerata l' one» stà della causa sua, in suo favore hanno scritto gli illustrissimi Cardinali » di Trento, Santafore, Medici e Morone. La figliuola sta in casa di Giovan Giacopo Coscia parente di mio zio, dove non può persona nè parlarle nè darle » lettere. Gli è tanto dolore ch'io sento, Signora mia eccellentissima, che » siccome ho confuso l'animo, così queste lettere saranno confuse dal mio non

> saper dire il bisogno mio. V. E. conoscerà la grandezza de l'affanno. E pregando Dio per la sua felicità, farò fine. Di Roma, 1556. ›

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mini del duca Alfonso con provvisione di lire cinquantotto e soldi dieci marchesane il mese.» Va a Pesaro a vedere la duchessa Lucrezia, poi a Ferrara, dove è accolto amorevolmente; e qui egli in due mesi scrive l' Aminta, che è rappresentata nella primavera del 73. Che ebbrezza di amore e di poesia sentiva Torquato in quell'anno ce lo dimostra l' Aminta. Continua il poema con ardore febbrile, e sul finire del 74 lo compie.

In tutto l'anno 75 egli attese a correggere il poema. Ne mandava alcuni canti per volta a Scipione Gonzaga in Roma, uomo di molto sapere, di fine gusto, e grande signore che poi fu fatto cardinale: il Gonzaga li rivedeva con Piero Angelio di Barga, Flaminio dei Nobili lucchese, Sperone Speroni, e Silvio Antoniano poi cardinale, e fattevi loro osservazioni glieli rimandava. Osservazioni giuste, pedanterie, scrupoli religiosi specialmente dall' Antoniano; risposte di Torquato ora sdegnose, ora dubbiose, ora docili, sempre giudiziose; suo studio perchè l'Inquisizione non vi trovasse nulla a ridire, tutto sta nelle lettere che egli scrisse in quell' anno. Mostra il poema ad altri gentiluomini in Padova, e domanda consiglio; ne legge gran parte a Lucrezia, già divisa dal marito e tornata a Ferrara, e ad Eleonora, poi va a Roma per godere il giubileo, e conversare coi revisori.

Nel 76 passando per Firenze torna a Ferrara: vuole andare a Venezia per stampare il poema, ed è impedito, perchè in Venezia è la peste: gode undici giorni del mese di luglio con Eleonora nella villa di Consandoli. Oh beato il Tasso! oh povero Tasso! le facoltà della mente troppo esaltate dalla poesia, dal lavoro e forse anche dall' amore, si turbano, ed egli mostra i primi segni di pazzia. Misero Torquato! l' Aminta e la Gerusalemme gli costano la perdita del senno: egli non può mai più stampare il suo poema. In un giorno di settembre un cortigiano gli dà una mentita, egli uno schiaffo: colui dopo alcuni giorni con due fratelli lo assale in una pubblica piazza, ei cava la spada, bravamente si difende, e li fuga. Questo fatto lo turba grandemente: si aggiunge la novella che alcuno vuole stampare la Gerusalemme, di cui molti canti erano sparsi manoscritti: egli pensa di farlo scomunicare, e scrive a tutti i principi che vietino nei loro Stati di stampare e vendere il poema; diventa cupo, malinconico, sospettoso, crede di aver perduta la grazia del Gonzaga, immagina che tutti gli sieno nemici, che i servitori sieno subornati per spiarlo, che sia stato denunziato all'Inquisitore, e si crede già caduto in eresia, e scrive all' Inquisizione dimandando un' esamina. « Dimani, tutto che sia l'ultimo > di carnevale, io voglio andare a starmene con l' Inquisitor > ferrarese per chiarirmi di questo dubbio. » E il dubbio era se l'episodio di Sofronia offendeva la pietà, come aveva detto

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l'Antoniano. A che fu ridotto quell' ingegno dalla reazione re ligiosa! Su quell' anima era stato messo un marchio indelebile nel vico dei Giganti.'

Il 18 giugno 77 Maffeo Veniero scriveva al Granduca d Toscana: Del Tasso le do nuova che iersera fu incarcerato » per avere in camera della Duchessa d'Urbino tratto un col > tello dietro ad un servitore; ma piuttosto preso per il disor » dine e per occasione di curarlo, che per cagione di punirlo » Egli ha un umor particolare sì di credenza di aver peccato di » eresia, come di timore di essere avvelenato, che nasce, cred' io » da un sangue melanconico costretto al cuore e fumante al cer » vello. Caso miserabile per il suo valore e la sua bontà.» Torquato dal carcere scrive e chiede perdono al Duca, il quale dopo al quanti giorni lo libera, e lo mena seco a Belriguardo: ma nè la Corte, nè l'aere della villa, possono calmarlo: egli torna a suoi dubbi di eresia, d'infedeltà, di tradimenti; onde il Duca non potendo altro, e per contentarlo, lo rimanda a Ferrara in un Convento di Francescani, che lo assistono. Ei dice volersi far frate, ma il giorno appresso, che fu il 20 luglio, fugge da Ferrara, e camminando a piedi ed evitando ogni luogo abitato, va tanto oltre, che per gli Abruzzi viene a Sorrento, si presenta alla sorella Cornelia, e sconosciuto le dice che Torquato sta male. La donna sviene, ed egli poichè si fa certo che la sorella lo ama, si scopre, ma per paura de'nemici vuol esser tenuto nascosto. La Cornelia lo assiste, lo cura, lo prega di rimanere ; egli torna a Roma, dove Scipione Gonzaga lo accoglie e lo dissuade dal tornare a Ferrara.

Nel 78 il povero pazzo vaga per tutta Italia; torna a Ferrara e di nuovo improvvisamente fugge a Mantova, a Padova, a Venezia; di là a Pesaro ed Urbino; poi a un tratto va difilato in Piemonte, giunge alle porte di Torino, dove i custodi lo ributtano perchè lo vedono a piedi, male in arnese, e di aspetto strano; ma trovandosi a caso Angelo Ingegneri, che lo conosceva, fece in modo che fu lasciato entrare. Il march. d'Este, l'Arcivescovo di Torino, il duca Carlo Emanuele lo accolgono onoratamente. Comincia l'anno 79: ei non trova loco; torbido, inquieto, ripensa sempre a Ferrara, desidera tornarvi, crede sia una buona occasione il matrimonio del Duca con Margherita Gonzaga; e va, e giunge due giorni innanzi all'arrivo della sposa, mentre tutti pensavano a preparare le feste, e non potevano badare a lui. Egli si offende di questa accoglienza, prorompe in furori contro il Duca, la Corte e tutto il mondo. Per ordine del Duca, il 15 marzo 1579, è chiuso nell' ospedale di

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Sant'Anna. A trentacinque anni l'uomo più grande del suo tempo esce pazzo. La sua pazzia non era offuscamento ma esaltamento delle facoltà mentali; ond' egli nell'ospedale dei matti scrisse nobilissimi versi e prose, e mirabili dialoghi, e pietose lettere che non si possono leggere senza sentirsi stringere il cuore a tanta sventura. Egli scriveva lettere a tutti i principi del suo tempo, ai Seggi del popolo napoletano, a tutti gli uomini insigni, al Papa stesso, pregando avessero pietà della sua miseria: quelle lettere la maggior parte non ricapitavano ed erano conservate, ora si sono stampate, ed io vi confesso che non posso leggerle senza lagrime. Eppure sono scritte da tre secoli.

Nell'anno seguente, che fu l'80, scrisse vari dialoghi: il Gonzaga, il Messaggero, il Padre di famiglia, Della virtù femminile e donnesca. E seppe che una parte del suo poema fu pubblicato a Venezia da Celio Malaspina in modo guasto, onde ei ne fu addolorato.

Nell'81, il 1° di febbraio, l'Ingegneri pubblica l'intera Gerusalemme in Casalmaggiore ed in Parma. In sei mesi il poema fu ristampato sei volte in Italia, una volta in Francia; tutti se ne beavano, e intanto Torquato era tra i matti, viveva della pietà del Duca, ed aveva un altro fiero dolore. Il 19 febbraio moriva la principessa Eleonora dopo una lunga malattia, durante la quale egli aveva scritto al Padre Francesco Panigarola (lettera 143): « Se Madama Leonora migliorerà, come mi giova di credere e » come molto desidero, Vostra Paternità molto reverendo le › baci umilissimamente le mani in mio nome, facendole sapere > che m'è molto incresciuto del suo male, il quale io non ho pianto in versi per non so qual tacita ripugnanza del mio > genio E poi che Eleonora fu morta, tutti scrissero versi in sua lode, ed egli tacque. La sorella Lucrezia ne ebbe pietà, e in giugno gli mandò un saluto, e la promessa di liberarlo, e lo fece uscire un giorno e andare a visitare Marfisa d'Este, marchesa di Massa e Carrara, nella cui casa egli rivide Tarquinio Molza. Ma lo sventurato era affievolito nella salute, ed era ammalato, vaneggiava di folletti, di apparizioni, di spiriti, di malie. Intanto cominciavano i giudizi sul poema.

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Nell' 82 Aldo Manuzio lo visita, lo trova in senno, ma pativa fame ed era nudo. Si stampano anche le sue rime, dedicate a Lucrezia da G. B. Guarini, ed egli patisce fame ed è nudo! Nell' 83 e nell' 84 continua in questo miserrimo stato, ed è visitato da molte persone: chiede a tutti di esser liberato, fa voto di andare alla Casa di Loreto.

Nell' 85 sta un po' meglio, lo fanno uscire qualche giorno per godere le giostre e le mascherate del carnevale, ed eccogli nuovi dolori. La Gerusalemme era in gran fama, un canonico di Capua Don Camillo Pellegrino scrive un dialogo intitolato

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il Carafa, nel quale la pone sopra il Furioso, e accende un grande contesa.

I Fiorentini che avevano distrutto e fatto dimenticare il grand Boiardo, i Fiorentini che si arrogavano la suprema autorità nell lingua, e che allora facevano un loro concilio letterario, chia mato Accademia della Crusca, si avventarono al poema; ef pubblicata una stacciata, che fu del cavalier Leonardo Salviat nella quale si levarono i pezzi del poema, si parlò con dispre gio di Torquato, e, ciò che più gli dolse, di suo padre. Eg scrive la sua Apologia. Bastiano de' Rossi gli scrive contro un 'ettera. Nella mischia entra Galileo Galilei allora giovine: entr Bernardo Davanzati che fiorentinamente lo chiama il Tassing Anzi si giunse a tal punto, che nel carnevale dell' 86 in Firenz si fa una mascherata in cui si rappresenta la persona di Tor quato Tasso, e si recitano alcune stanze fatte contro di lui. L'Acca demia della Crusca nata nell'82 cominciava così. Intanto Torquat nella Settimana Santa dell' 86 usciva accompagnato da un gent luomo; visitava le chiese; andava agli uffizi, e si comunicava 1 Pasqua; e poi di volta in volta usciva per la città. Finalment viene in Ferrara il Principe Vincenzio Gonzaga, che chiede a Duca condurre seco il Tasso: ed il 13 luglio 1586 Torquat parte da Ferrara senza prendere commiato dal Duca. e va Mantova dopo sette anni e quattro mesi di prigionia.

In Mantova rimane oltre un anno, e scrive e pubblica il Tor rismondo, ma nell'ottobre dell' 87 parte con una valigetta d panni e poche carte, va a Bologna, poi a piedi a Loreto, dov si trova senza denari per proseguire il viaggio, e chiede pe elemosina dieci scudi a Don Ferrante Gonzaga. Va a Roma cerca vedere papa Sisto V, e non può.

Nel marzo dell' 88 viene in Napoli, ed è ospitato nel Con vento di Monteoliveto, e ci viene per ricuperare la salute e pe riavere i beni di suo padre e la dote di sua madre. Due gio vani cavalieri napoletani il Conte di Paleno e Giambattista Manso marchese di Villà, gli fanno ogni specie di carezze, di cortesie di doni: il Manso lo mena in una sua villa a Posilipo, e l donne di sua casa gli porgono quei conforti che soltanto 1 donne sanno porgere agli sventurati; poi lo mena seco nel l'ottobre nella sua terra di Bisaccio, dove il Tasso ristoravas in mezzo a quella buona gente, e pur di tanto in tanto usciva in suoi vaneggiamenti. In Napoli scrisse le Giornate del mond creato. Non riebbe la salute, non ebbe la dote di sua madre onde pensò di tornare a Roma, e pregare alti personaggi, per chè gli ottenessero dal Re di Spagna la restituzione dei ben di suo padre. E non ottenne mai nulla. Udite come scrive a medico Giovanni Antonio Pisani in Napoli (lettera 1031): « Aiu > tatemi, signor mio, com' eccellentissimo medico e come ot

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