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neque adhuc homines lucemque relinquo!» E Dante, Inf., X, 68: < non viv' egli ancora? Non fiere gli occhi suoi lo dolce lome? 7. Petr., S. LXXI, P. II: < Tornasi al ciel, che sa tutte le vie. >

77. v. 1-2. Un antico Poeta fa dire a un soldato di M. Antonio, il quale inavvedutamente aveva ucciso il proprio fratello in battaglia: « Nunc fortiter utere telo; Impius hoc telo es, hoc potes esse pius. 7-8. Petr.: Tal cor

73. v. 4. Petr., Sest., VI, P. I: «Che 'nterrompendo di mia vita il corso. 5. Conq.doglio e paura ho di me stesso. E Seneca,

<.... senza voce e immoto. » || 7-8:

<Così portato è l' uno e l'altro insieme, Quasi consorti sian ne l'ore estreme. >

74. v. 6. Conq.: « . . . . la smarrita mente.>

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Epist. 28: < Quæris quare te fuga ista non adjuvet? Tecum fugis: onus animi deponendum

est. »

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85.

Quale in membro gentil piaga mortale
Tocca s' inaspra, e in lei cresce il dolore;
Tal dai dolci conforti in si gran male
Più inacerbisce medicato il core.

Ma il venerabil Piero, a cui ne cale
Come d'agnella inferma a buon pastore,
Con parole gravissime ripiglia

Il vaneggiar suo lungo, e lui consiglia:

86.

O Tancredi, Tancredi, o da te stesso Troppo diverso e da' principii tuoi, Chi si t'assorda? e qual nuvol si spesso Di cecità fa che veder non puoi? Questa sciagura tua del Cielo è un messo: Non vedi lui? non odi i detti suoi? Che ti sgrida, e richiama ala smarrita Strada che pria segnasti, e te l' addita?

87.

Agli atti del primiero ufficio degno Di cavalier di Cristo ei ti rappella, Che lasciasti per farti (ahi cambio indegno!) Drudo d' una fanciulla a Dio rubella. Seconda avversità, pietoso sdegno Con leve sferza di lassù flagella Tua folle colpa, e fa di tua salute Te medesmo ministro; e tu 'l rifiute?

88.

Rifiuti dunque, ahi sconoscente!, il donc Del Ciel salubre, e 'ncontra lui t'adiri? Misero, dove corri in abbandono A' tuoi sfrenati e rapidi martiri? Sei giunto, e pendi già cadente e prono Sul precipizio eterno; e tu nol miri? Miralo, prego, e te raccogli, e frena Quel dolor ch'a morir doppio ti mena.

89.

Tace; e in colui dell' un morir la tema Potè dell'altro intepidir la voglia. Nel cor dà loco a que' conforti, e scema L'impeto interno dell' intensa doglia; Ma non così, che ad or ad or non gema, E che la lingua a lamentar non scioglia, Ora seco parlando, or con la sciolta Anima, che dal ciel forse l'ascolta.

90.

Lei nel partir, lei nel tornar del Sole,

forti umani avanza il male, E via più inferma, in medicando il core. || 6:

<Come d'agnel che langue al buon pastore.

86. v. 1-2. Ovidio, Epist. Deian. ad Ercol." <Cæpisti melius quam desinis, ultima primis Cedunt: dissimilis hic vir et ille puer. || 5. San Crisost., Omel. 34: « Adversitas nostra non est ira Dei, sed admonitio. E san Gio. Apocaliss., 3: < Quas amo, arguo et castigo. >

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Chiama con voce stanca, e prega e plora: | Membra ch'informò già la nobil vita:

Come usignuol cui 'l villan duro invole
Dal nido i figli non pennuti ancora,
Che in miserabil canto afflitte e sole
Piange le notti, e n'empie i boschi e l'ôra.
Alfin col novo di rinchiude alquanto
I lumi; e 'l sonno in lor serpe fra 'l pianto.

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Consolato ei si desta, e si rimette
De' medicanti alla discreta aita;
E intanto seppellir fa le dilette'

cis conjux, te solo in litore secum. Te veniente
die, te decedente canebat. Petr., Trionf.: « Ri-
spose in guisa d'uom che parla e plora.» || 3. Virg.,
Geor., IV, 510: «Qualis populea morens philomela
sub umbra Amissos quæritur fetus, quos durus
arator Observans nido implumes detraxit, at illa
Flet noctem, ramoque sedens miserabile carmen
Integrat et moestis late loca questibus implet.
E Petr., Son. XLIII: « Quel rossignol che sì soave
piagne Forse suoi figli, o sua cara consorte, Di
dolcezza empie il cielo e le campagne Con tante
note si pietose escorte. >

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91. v. 3-4. Petr., Trionf.: « Che tutta ornava, e non togliea lor vista. 5-6. Petr., Son. LXX, P. II: Con quella man che tanto desiai M'asciuga gli occhi. 7. Petr., Can., III, P. IV: Mi disse, amico, or vedi Com'io son bella. » 8. Petr., Son. LXIX, P. II: < Fedel mio caro, assai di te mi dole. >

92. v. 4.- · Dante, Parad.: «Che di salire al Ciel diventa degna. 5. Dante, Inf., VII, 96: Volve sua spera e beata si gode. || 7. Dante, Purg., XXX, 103: Voi vigilate ne l'eterno die.» 7-8. Petr., Son. LXXVII, P. II: Volando tanto su nel bel sereno: Ch'i' veggia il mio Signore e la mia Donna. >

E se non fu di ricche pietre elette
La tomba, e da man dédala scolpita,
Fu scelto almeno il sasso, e chi gli diede
Figura, quanto il tempo ivi concede.

95.

Quivi da faci, in lungo ordine accese,
Con nobil pompa accompagnar la feo;
E le sue armi, a un nudo pin sospese,
Vi spiegò sopra in forma di trofeo.
Ma come prima alzar le membra offese
Nel di seguente il cavalier poteo,
Di riverenza pieno e di pietate
Visitò le sepolte ossa onorate.

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