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Inferno, pessimo inimico di Dio e de l'umana natura, la quale avanzava per grandezza senza comparazione tutte le bestie che vidi mai; dinanzi la cui grandezza non sapea simigliare a questa alcuna ch'io avessi mai veduta innanzi, ma in quello loco ch' io vidi, E VIDI GIA' SCRIVERE AD ALTRI: notar si deon bene queste parole, abbenchè non troppo dritte di sintassi.

Dunque non fu primo Tantalo a dar contezza al mondo di quella brutta bestiaccia! Ma che serve andare in cerca del primo e del secondo (1)? Alberico con men parole disse (§.9.): infinitae magnitudinis. Seguitiamo Tantalo: avea forma di corpo umano dal capo insino a li piedi, salvo che 'l aveva cento mani, ed erano lunghe cento palmi. È da osservarsi che Dante, Inf. canto XXXIV, v. 38, dice Lucifero con tre facce, cioè simile nel viso a Gerione; Tantalo lo rassomiglia a Briareo: gigante però sempre egli è, siccome tutti tre si accordano a riferirne; anzi: » E più con un gigante i' mi convegno, » Che i giganti non fan con le sue braccia:

Inf. c. XXXIV, v. 3o. e seg. Siegue Tantalo (ibid.): E intorno quello horribile stava grande moltitudine d'anime et de demonii, ch'alcuna persona de questo mondo non lo poteria mai credere ch'el mondo avesse mai producto tante anime. Era ancora tutto quello inimico de Dio ligato per tucte le membra con cathene di ferro molto affocate di foco . . . . et quando ha piene le mani le stringe et spremesele in bocca come fa el vino de l'uva, quando ha gran sete: et è sì grande la sua percossa delle mani, che non è alcuna anima che possa scampare, ch'ella поп abbia

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(1) In quanto al Lucifero che si rammenta nel Meschino, ed altre cose d'Inferno del medesimo, vedi la Lettera precedente di M. Bottari, pag. 139 e segg.

mozzo il capo e le mane e li piedi; et allora quasi sospirando soffia, et sparge tutte quell' anime in diverse parti del fuoco infernale .... et poi, retirando el fiato, ritornavano a se tutte quelle anime, che havea sparte suspirando ec.

Questa è pur bella! Lucifero di Dante ha fame, e macina i peccatori co'denti; Lucifero di Tantalo ha sete, e premesi il sugo dell'anime in bocca: quello però del Monaco e del Cavaliere godea di particolar prerogativa, cioè d'inspirare le anime come mosche, e di espirale infiammate come faville. Dante non ha ciò detto; ma egli lavorava d'assai più in grande. Quanto però la seguente terzina dell'Alighieri:

» A quel dinanzi il mordere era nulla

Verso 'l graffiar, che tal volta la schiena

» Rimanea della pelle tutta brulla.

Inf. c. XXXIV, v 58 e segg.

li

somigli alla descrizione delle anime malconcie dal Lucifero di Tantalo, se n'avvedranno tutti coloro che non il plagio in Dante, ma l'originalità per ogni dove ravvisano. Tormentavansi da questo animale (Tant. ibid. ) coloro che rinegano Dio, li falsi cristiani omicidiali et assassini, e discordi impazzatori di pace, falzarj et ingannatori, ebri, adulteri, ruffiani, superbi, arroganti, vanagloriosi, invidiosi... quelli che amano li figliuoli, parenti, et lo mondo più che Dio, et che falsamente s'appropriano 'l nome di Dio. . . . et brevemente tucti coloro che muoiono senza vera contrizione in colpa di peccato mortale. Non so dunque perchè altre sorta di tormenti per diverse classi di peccatori avea prima vedute? Ripiglia quindi (e ciò pure è da osservarsi con attenzione): Tucti questi tormenti son per prelati e guidatori dei popoli, quali vanno cercando e procacciando le signorie e grandi

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onori del mondo, e benefici o per cupidità, o per po tere fare danno ad altrui, et non per pura intenzione del nome di Dio.... et ancora coloro che procacciano la prelazione per simonia, o per lusinghe, o per minaccie, o per qualunque modo illecito, o ch'elli non siano degni, o che si reputano d'avere per sua bontate.... et coloro che giudicano falsamente per amore, o per doni, o per difetto di scienza . et chi vendono il Sacramento della Chiesa, et chi dice Messa per pecunia. . . . et chi le rendite della Chiesa non spendono in cose lecite, e non le distribuiscono a poveri di cui sono. O SIMON MAGO, O MISERI SEGUACI, ecco gride ranno molti; eccolo tal quale, ed ecco i versi 79 e segg. del canto XIX dell' Inferno; ecco il §. 26 di Alberico; e così pure griderebbero a molti passi di detta Visione di Tantalo, se noi qui ne recassimo altri, chè infiniti ve ne sarebbero, ma che i curiosi potranno osservare nell'Opera e luogo di sopra citato.

Ma nè Alberico da Tantalo, nè da Alberico Dante avean bisogno di tor queste idee: erano de' tempi. Se però desse eran giuste, lasciam che lo decidano i lettori. E lo stesso noi ripetiamo di tutti i passi testè riportati, e di altri che aggiunger potremmo, esaminando principalmente il Paradiso di tutti e tre. Speriam nulladimeno che quanti osserveranno i tre diversi scritti, converran con noi che Tantalo fu più stravagante di Alberico, nè questo però più ignorante di quello; Dante poi, vissuto in tempi più vicini a noi, dotto, anzi dottissimo delle stravaganze de' tempi del primo, corroborate dalla ignoranza de'giorni del secondo, si valse quanto potè per servire al suo fine, non cessando anch'egli di esser bizzarro e capriccioso; chè se tale però non era, sarebbe stato dal volgo del trecento creduto incredulo o pazzo.

Nè pertanto si creda che i tormenti dell'Inferno, le pene del Purgatorio e le felicità del Paradiso siano il soggetto della Commedia di Dante; chè ad esso soltanto han servito come lo scudo di Achille ad Omero, quello di Enea e gli Elisi a Virgilio, la coltre colla quale copriasi il talamo di Peleo e Teti a Catullo, l'antica e memorabil grotta di Merlino ad Ariosto ec. ec. I grandi poeti han prodotto sempre i lavori della lor fantasia sopra oggetti o reali o probabili; le arti della pittura, della scultura, del ricamo, le magiche ne' tempi in cui avevan fede, e le opinioni religiose quai sempre, sono state le ministre loro: la storia, i costumi, la morale, l'adulazion non poche volte, e non di rado il biasimo altrui ne furon però i soggetti veri; e tutti questi noi crediam che concorressero nel divino Poema, che per tali ragioni è creduto il più grande e il più misterioso che siasi letto giammai. » O voi ch'avete gl'intelletti sani,

» Mirate la dottrina che s'asconde
» Sotto 'l velame degli versi strani.

Inf. c. IX, v. 61 e segg. Così pure se si dicesse aver osservato l'instancabile sig. Abate Cancellieri, Originalità della divina Commedia, pagg. 36. e 37, che nel tempio di s. Maria delle Grotte, alle radici del monte Ocre, vicino a Fossa, diocesi di Aquila, e nelle due chiese Sabine di s. Pietro in Montebuono e di Fianello si veggono ancora, ad onta dell'ingiuria de' secoli, alcune pitture antiche, ed anteriori a Dante, che rappresentano l'universale Giudizio, non istaremo a rispondere che non vi sono argomenti che Dante visitasse quelle contrade; nè che il chiariss. sig. Guattani, Segretario dell'Accademia di s. Luca, dal quale aveva egli attinte simili notizie, ci ha schiettamente dichiarato che l'anno segnato nella pittura di Montebuono è molto incerto pel guasto delle lettere. E circa l'altra di Fianello

nella chiesa rurale di s. Maria, abbenche sappiamo dall' accurato Sperandio, Sab. sacr. e prof. (Appendice de' Documenti, pag. 393), che sotto la pittura si legga la seguente iscrizione, ancor essa corrosa nella data e nel nome dal Pontefice, sia dal tempo, sia da puerile malizia di qualche sciolo Sabinese, che si dasse a credere di spacciarla così per molto più antica:

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e che sia facilissimo il supplire al difetto dell'iscrizione, perchè Nicolò IV precedette Bonifazio VIII, che nell'anno 1300 rinnovò la celebrazione del Giubbileo, e perciò il Pontefice indicato nell'iscrizione altri non può essere che Nicolò V, che realmente nel 1450 celebrò l'anno santo con frequenza straordinaria di pellegrini; il che rimane anche più chiaro dall'Indizione restata intatta, l'Indiz. XIV cadendo appunto nell'anno 1451, cioè il primo dopo il Giubbileo, come l'iscrizione accenna, non vogliam farne argomento negativo; poichè ci si potrebbe rispondere d'altra parte che abbiamo sculture e pitture insigui che esistevano già in tempo dell' Alighieri.

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Riferisce, dicono, Giorgio Vasari, Vit. Pitt. Scult. Archit., che circa la metà del secolo XIII il celebre Nicola Pisano da Napoli tornando in Toscana, si fermò » Nicola alla fabbrica di s. Maria d'Orvieto; e lavoran» dovi in compagnia d'alcuni Tedeschi, vi fece di mar» mo, per la facciata dinanzi di quella chiesa, alcune figure tonde, e particolarmente delle Storie del Giudi» zio universale, e in esse il Paradiso e l' Inferno; e, sic» come si sforzò di fare nel Paradiso della maggior

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