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Poich'entrati eravam nell'alto passo; Quando n'apparve una montagna, bruna Per la distanza, e parvemi alta tanto, Quanto veduta non n'aveva alcuna.

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152 nell'alto passo, nell'alte acque dell'Oceano. →→ altro, forse anche per errore di copista, legge il Vat. 3199. ←

133 134 montagna, bruna - Per la distanza: che per cagione della distanza appariva bruna, oscura. → Quanto è più sublime del virgiliano:

Quarto terra die primum se attollere tandem

Visa, aperire procul montes, ac volvere fumum. Veramente dove i due Poeti s'incontrano, quello che da Virgilio in più lussureggianti pennellate, dal Poeta nostro con un sol tratto, ch' assai più adopera, si ritrae. BIAGIOLI. - Molti degli antichi geografi, sulle tracce di Platone e di altri dotti Greci, hanno conosciuta una terra molto a noi occidentale detta Atlantide, perchè nel mare Atlantico. Di questa terra può esser che supponga qui Dante che fosse parte questa montagna. POGGIALI.

Tra i sentimenti varj de' teologi'intorno al luogo dove esistesse il terrestre Paradiso, riferisce Pietro Lombardo avere alcuni opinato esse paradisum longo interiacente spatio vel maris, vel terrae regionibus quas incolunt homines secretum, et in alto situm, usque ad lunarem circulum pertingentem; unde nec aquae diluvii illuc pervenerunt [a]. Piaciuto essendo al Poeta nostro il pensiero, ha finto in mezzo al terrestre emisfero sotto di noi un monte altissimo, attorniato d'ogni intorno da immenso mare, nel quale, oltre di avervi nella cima collocato, a tenore della prefata opinione, il Paradiso terrestre, vi colloca intorno alle falde anche il Purgatorio. Ed è questa la moutagna che dice qui veduta da Ulisse, e su della quale salirà esso Dante nella seconda cantica. Quantunque tutti i Comentatori da noi consultati concordino nell'opinione qui emessa dal Lombardi, ciò non pertanto il sig. Ginguenè asserisce essere questa opinione assai mal fondata, non trovandosi in alcun luogo della Divina Commedia chiara indicazione che la montagna scoperta da Ulisse sia precisamente quella del Purgatorio, ◄◄ [a] Sent, lib, 2. dist. 17,

Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto; 136 Chè dalla nuova terra un turbo nacque,

E

percosse del legno il primo canto. Tre volte il fe'girar con tutte l'acque;

Alla quarta levar la

poppa in suso,

E la prora ire in giù com'altrui piacque, Infin che 'l mar fu sopra noi richiuso.

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136 ci allegrammo, della nuova scoperta. e tosto: ha qui la particella e la forza stessa di ma. Vedine altri esempi presso il Cinonio [a].-tornò inpianto, ellissi, supplisci, l'allegrezza..

137 138 della invece di dalla, legge il Vat. 3199. ← un turbo, un burrascoso vento. →trombo, ha l'Ang., e forse sarà parola romanesca. E. R. il primo canto del legno, la parte anteriore, la prora, della nave.

139 il, pronome, vale esso legno. con tutte l'acque : la voce tutte non istà qui che per riempitiva; come in quelle parole del Boccaccio: incontanente il letto con tutto Messer Torello fu tolto via [b]; e vuole dire, che il prefato turbine crcò in quell'acque un vorticoso moto che aggirò tre volte la nave seco, imitando quel Virgiliano [c]:

ast illam ter fluctus ibidem Torquet agens circum, et rapidus vorat aequore vortex. 140 141 Alla quarta levar ec. Reggesi questo e il seguente verso dal verbo fe del verso precedente, come scritto fosse: alla quarta volia fe'levar la poppa in suso, e la prora ire in giù. - com'altrui piacque, a Dio: ma ne tace il nome, perchè così richiede il carattere di chi parla. VENTURI. →→→ Sembra agli Editori della E. B., che queste parole sieuo mosse da un certo sentimento di dolore del non avere egli, mentre visse, conosciuto e venerato il vero Dio, il cui nome non osa perciò di proferire in questo luogo.

[a] Partic. 100. 18. [b] Giorn. 10. Nov. 9. [c] Aeneid. 1. 116. e seg.

Fol. I.

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ARGOMENTO

Trattando il Poeta nel presente canto della medesima pena, segue, che si volse a un'altra fiamma, nella quale era il conte Guido da Montefeltro, il quale gli racconta chi egli è, e perchè a quella pena

condannato.

Già era dritta in su la fiamma e queta,

Per non dir più, e già da noi sen gìa Con la licenza del dolce Poeta: Quando un'altra, che dietro a lei venìa, Ne fece volger gli occhi alla sua cima, Per un confuso suon che fuor n'uscìa. Come 'l bue cicilian, che mugghiò prima Col pianto di colui, e ciò fu dritto,

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1 Già era dritta in su, e queta, cioè non più si piegava, nè si moveva, come fatto aveva mentre Ulisse parlava. Vedi il v. 88 del passato canto. in su la fiamma queta, il codice Ang. E. R.

2 Per non dir più, perchè non diceva, non parlava più. BIAGIOLI.

3 con la licenza del dolce Poeta, di Virgilio, che prima l'aveva eccitato a parlare, canto preced. v. 83., e che detto aveva a quella fiamma: issa ten va, più non t'adizzo, come si suppone qui appresso, v. 21.

7 al 9 Sempre sorprende Dante il lettore colla novità e proprietà delle similitudini, producendo colle più semplici im

Che l'avea temperato con sua lima,
Mugghiava con la voce dell'afflitto

Sì, che, con tutto ch'e' fosse di rame,
Pure el pareva dal dolor trafitto;
Così, per non aver via nè forame

Dal principio nel fuoco, in suo linguaggio
Si convertivan le parole grame.

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magini e più naturali l'effetto stesso che altri per le più straordinarie cercano invano di produrre. BIAGIOLI. 'l bue cicilian, il toro di bronzo costruito da Perillo ingegnere Ateniese, e regalato a Falaride tiranno di Sicilia (detta dagli antichi Toscani Cicilia), acciò, tra i varj gusti che prendevasi costui nel tormentare gli uomini, avesse quello pure di udire quel toro muggire a forza di strida d' uomini che vi facesse dentro vivi abbruciare. Ma mugghiò prima, la prima volta, col pianto di Perillo stesso, cou cui volle Falaride fare la prima esperienza. - e ciò fu dritto, fu giusta ricompensa a sì perverso inventore.temperato con sua lima vale quanto, preparato colle sue mani, o lavorato co' suoi ferri.

14 15 Dal principio nel fuoco, la Nidobeatina; Dal principio del fuoco, l'altre edizioni: ma questa seconda lezione ha sempre intorbidata la costruzione talmente, che o hanno gli Espositori schivato di presentarcela, o vi sono riusciti malamente, capendo che dal principio valesse come dalla cagione, o simil cosa, e che il principio stesso del fuoco fosse quello che convertisse in suo linguaggio le parole. Mai no. Ciò che il Poeta siegue a dire: Ma poscia ch' ebber ec., dà chiaramente a conoscere che dal principio vale qui lo stesso che da prima, da principio [a], ed argomenta la necessità di leggersi nel fuoco, e non del fuoco, e di farsene la costruzione nel seguente modo: Così le parole grame (epiteto traslato dalla persona all'azione) dal principio, per non aver nel fuoco via nè forame (intendi onde uscirne), si convertivano in linguaggio suo, cioè dello stesso fuoco; non distinguendosi dal mormorio che fa la fiamma, cui vento affatica. Veggansi in maggior prova i versi 85. e segg. del precedente canto, e 58. e segg. del pre

[a] Dell'uguaglianza delle due particelle da e dal vedi ilCinon, cap. 7. u.

Ma poscia ch'ebber colto lor viaggio

Su per la punta, dandole quel guizzo,
Che dato avea la lingua in lor passaggio,
Udimmo dire: o tu, a cui io drizzo

La voce, e che parlavi mo Lombardo,
Dicendo: issa ten va, più non t'adizzo;

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sente. Ma il Biagioli sostiene che si debba leggere del fuoco, e spiega: così le parole grame, per non aver dal principio (non avendo da principio che proferivansi dall'anima chiusa in quel fuoco) via, nè forame per uscire del fuoco, si convertivano in suo linguaggio, cioè nel linguaggio del fuoco, che è quel mormorare che fa la fiamma che il vento affatica. L'E. R. sta qui col Biagioli. L'una e l'altra lezione, a parer nostro, può stare e sostenersi del pari. Il Vat. 3199 legge però con la comune, del fuoco.

16 colto lor viaggio, preso il loro andamento.

17 punta, della fiamma. — guizzo, vibrazione.

18 in lor passaggio, nell'uscir dalle labbra di chi dentro. della fiamma parlava.

19 al 21 o tu, a cui ec. Richiede il buon ordine di parlare, che avanti di dire a cui io drizzo la voce, specificasse questo nuovo spirito a chi la dirigesse; e però dee essere la costruzione: o tu, che parlavi mo Lombardo, dicendo ec., e a cui io drizzo la voce. Ripete questo spirito le sole ultime parole dette da Virgilio nel licenziare i due spiriti precedenti, non come un saggio di parlare diverso dal primo, e propriamente lombardo, nella guisa che mostrano d'intendere il Landino, il Vellutello ed altri fino ai più moderni, ma come le sole parole da esso lui intese, perocchè sopraggiunto allora di fresco, e nell'atto appunto in cui licenziava Virgilio gli altri due spiriti. La voce issa, ch'è la sola che potrebbe patire dell'eccezione, dee, come di sopra [a] si è discorso, riputarsi voce toscana; e Lombardo a que' tempi, secondo l'uso francese, praticato dal Poeta nostro medesimo [b] e dal Boccaccio [c], signi ficava talvolta ugualmente che Italiano, com'è qui di mestieri

[a] Inf. xxm. 7. [b] Purg xvi. 46. e 126. [c] Vedi i Deputati alla correzione del Boccaccio, num. 37. e 464.

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