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E letterati graudi, e di gran fama,
D'un medesmo peccato al mondo lerci.
Priscian sen va con quella turba grama,

E Francesco d'Accorso anco; e vedervi,
S'avessi avuto di tal tigna brama,
Colui potei, che dal Servo de' servi

Fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione,

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giali, di alcuni più moderni Comentatori, per onor del Clero, lo sforzarsi a dare un altro significato alla parola cherci; ma avendola così distintamente per denominazione di Ecclesiastici definita Dante stesso per bocca di Virgilio, sopra al v. 46. e segg. del c. vII., non rimane a noi che deplorare o l'atra bile di Dante contro gli Ecclesiastici, o la somma depravazione del Clero di quei tempi.

108 lerci, lordi, imbrattati. Vedi il Vocabolario della Crusca. d'un peccato medesmo, legge l'Ang. E. R. ←☛

109 Prisciano di Cesarea di Cappadocia, grammatico eccellentissimo, che fiorì nel sesto secolo, non si legge che fosse macchiato di tal vizio; onde alcuni Spositori vogliono che Dante ponga l'individuo per la specie, potendosi costoro facilmente abusare della lor professione d' insegnare a' giovanetti. VENTURI. →→→Ma è da stimare che Dante avesse notizie di Prisciano più che non ne aveva il Venturi; poichè sarebbe cosa troppo sconcia il pensare che il Poeta, per usare la figura di porre l'individuo per la specie, volesse alla cieca nominare quel grammatico in sì grave peccato, per infamare tutti i maestri de'giovanetti. PORTIRELLI. con quella turba grama, infelice, tapina, accennando la turba stessa, della quale erasi egli tolto per parlar con Dante.

110 al 114 Francesco d'Accorso, Fiorentino, giurisconsulto a' suoi tempi eccellentissimo. VENTURI. Morì nel 1229. Fu Professore a Bologna, e celebre per la sua Glossa alle leggi di Giustiniano. POGGIALI. e vedervi ec.; costruzione: E se avessi tu avuto brama di tale tigna, di tale noia [a], in veder costoro, potei per potevi [b], intendi, mentr'eri addietro.

[a] Cosi spiega qui tigna il Vocabolario della Crusca. [b] Vedi Cinon., de’verbi, cap. 5., e il Prospetto de'verbi toscani.

Ove lasciò li mal protesi nervi.
Di più direi; ma 'l venir, e 'l sermone

Più lungo esser non può, però ch'io veggio:
Là surger nuovo fummo dal sabbione.

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Gente vien, con la quale esser non deggio: 118 Siati raccomandato 'l mio Tesoro,

Nel quale io vivo ancora, e più non cheggio.

vedervi colui, Andrea de'Mozzi, Fiorentino, chiosando d'accordo tutti gli Spositori, che dal Servo de servi, dal Papa (che nelle bolle si appella Servus servorum Dei) fu trasmutato d'Arno in Bacchiglione, fu trasferito dal vescovado di Firenze, per dove passa l'Arno, al vescovado di Vicenza, per dove passa il Bacchiglione; dove lasciò i nervi mal protesi, cioè in mala parte distesi, perchè in Vicenza si morì. Così anche il Torelli. - « A A me pare che questa sia una pungente satirica locu»zione, colla quale il Poeta morde il vizio nefando di quel » Prelato. Onde penso che nervi mal protesi qui non significhi già tutto il corpo mal proteso, ma quella parte del corpo » che è bello il tacere, e di cui quell'attico monsignore fece » tanto mal uso. Togli quella frase di dosso a quel personaggio, » e Lasciar i nervi per Lasciar il corpo, ossia Morire, diven>> terà frase di sciocco sapore e indegna di Dante [a].» MONTI,

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117 nuovo fummo, nuovo polverio; e nuovo l'appella per rapporto a quello che già Brunetto suppone, almeno in parte, sedato, eccitato prima dalla sua comitiva.

118 Gente vien, con la quale esser non deggio, non potendosi a talento passare d'una in altra comitiva.

119 Siati ( così la Nidobeatina, e non Sieti, come l'altre edizioni leggono) raccomandato 'l mio Tesoro, il mio libro così intitolato; e forse per Tesoro intende anche l'altro libro intitolato Tesoretto [b].

120 vivo ancora, per fama. cheggio per chieggo, non però da chiedere, che vorrebbe chieggio, ma da chedere, verbo usato dal Barberino in più luoghi de'suoi Documenti d'amore, e da F. Guittone ancora [c].

[a] Prop. vol. 3. P. 1. fac. 164. [b] Vedi la nota al v. 30. [c] Vedi la tavola delle voci posta in fine del Barberini.

Vol. I.

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Poi si rivolse, e parve

di coloro,

Che corrono a Verona 'l drappo verde Per la campagna; e parve di costoro Quegli che vince, e non colui che perde.

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parve

121 al 124 Poi si partì, legge il Vat. 3199. di coloro, che su la campagna di Verona corrono il palio di drappo verde; il che la prima Domenica di quaresima soleasi anticamente fare: adesso più non s'usa. DANIELLO. - Correre (nota il Menzini) ha il quarto caso, non solo come il currere cursum de' Latini, ma anche della cosa, o segno, a cui si corre; voglio dire, senza la particella esprimente il caso del moto: onde dicesi piuttosto correre il palio, la giostra ec., che al palio ed alla giostra [a]. Il Menzini s'ingannò, giudicando secondo la lettera, e non secondo la ragione, che vuole che ogni relazione sia indicata dal segno relativo; e se questo vien tolto dall'ellissi, sta a chi legge a saperlo supplire. BIAGIOLI. e parve quegli che di (per tra [b]) costoro vince, cioè il più corritore.

[a] Costruz. irregol. cap. 10. [b] Cinon., Partic. 80. 11.

CANTO XVI.

ARGOMENTO

Pervenuto Dante quasi al fine del terzo ed ultimo girone, intanto che egli udiva il rimbombo del fiume che cadeva nell'ottavo cerchio, s'incontra in alcune anime di soldati che erano stati infettati dal vizio detto di sopra. Indi giunti ad una profondissima cavità, Virgilio vi trasse dentro una corda, di che Dante era cinto, e videro venir nuotando per l'aria una mostruosa ed orribile figura.

Già era in loco, ove s'udia 'l rimbombo
Dell'acqua, che cadea nell' altro giro,
Simile a quel, che l'arnie fanno, rombo;
Quando tre ombre insieme si partiro,

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1 → onde s'udia rimbombo, legge l'Ang. E. R. 2 Dell'acqua, di quel rivo, sulla sponda del quale camminava. nell'altro giro, nell'ottavo cerchio.

3 arnie sono le cassette da pecchie; ma qui il continente pel contenuto, l'arnie per le pecchie. Questo rumore che di presente, per essere ancora dalla ripa lontani, rassomiglia Dante al rombo delle api, fa poi in vicinanza crescer tanto,

Che per parlar saremmo appena uditi [a]. Rombo è qui voce onomatopeica, esprimente il rumore che fanno le pecchie, mosconi e simili, volando.

4 al 6 Quando tre ec.; costruzione: Quando da una tor

[a] Verso 93.

passava

Correndo, d'una torma, che Sotto la pioggia dell' aspro martiro: Venian ver noi; e ciascuna gridava: Sostati tu, che all'abito ne sembri Essere alcun di nostra terra prava. Aimè, che piaghe vidi ne' lor membri, Recenti, e vecchie dalle fiamme incese! Ancor men' duol, pur ch' io me ne rimembri. Alle lor grida il mio Dottor s' attese;

Volse 'l viso ver me, e, ora aspetta,

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ma, da una moltitudine di gente, che passava sotto la pioggia dell'aspro martiro, delle martirizzanti fiamme, si partiro tre ombre insieme correndo. Sembra al Biagioli questa costruzione dal Lombardi stravolta, e ne dà quest'altra: Quando tre ombre partirono sè insieme da una torma, che passava sotto la pioggia dell'aspro martiro, e, correndo, vennero verso noi. - Torma è voce presa dal latino turma, significante propriamente una brigata di cavalleria. Qui esprime in generale una moltitudine di gente. POGGIALI.

8 Sostati, fermati, derivato dal latino subsistere, e adoprato da altri ottimi scrittori. Vedi il Vocab. della Cr. all'abito, al modo di vestire. Accenna che avessero a que' tempi i Fiorentini una qualche foggia di vestire diversa dalle altre nazioni. 9 terra prava, maligna, perversa, intendi Firenze.

11 incese dee essere detto per incise, antitesi in grazia della rima bensì, ma fondata su la origine del latino incido, da in e caedo, il cui supino è caesum [a]. Chiosando il Venturi colla comune degli Espositori che incese vaglia formate dalle fiamme, solo ne aggiunge che inceso chiamasi la cottura del cauterio fatta con un bottone di fuoco. » Anche il Torelli spiega incese come il Venturi, cioè per la cottura del cauterio. Pensa il Biagioli che incese qui valga quanto fatte dai vapori incesi.

12 13 pur che, solo che. s'attese, porse orecchio, diè

retta.

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[a] Vedi Rob. Stef. Thesaur. ling, lat.

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