13 Dà oggi a noi la cotidiana manna, Sanza la qual, per questo aspro diserto, A retro va, chi più di gir s' affanna. 16 E come noi lo mal, ch'avem sofferto, Perdoniamo a ciascuno, e tu perdona, Benigno, e non guardare al nostro merto. Nostra virtù, che di leggier s'adona, 19 Non spermentar con l'antico avversaro, Ma libera da lui, che sì la sprona, 22 Quest'ultima preghiera, Signor caro, Già non si fa per noi, che non bisogna, Ma per color, che dietro a noi restaro. 25 Così a sè e noi buona ramogna, Quell'ombre, orando, andavan sotto'l pondo, Simile a quel, che tal volta si sogna, 28 Disparmente angosciate tutte a tondo, E lasse, su per la prima cornice, Purgando le caligini del mondo. ᎠᎥ 31 Se di là sempre ben per noi si dice, qua, che dire e far par lor si puote Da quei, che hanno al voler buona radice? 34 Ben si dee loro atar lavar le note, SESSA 19 Adona. v. r. 28 Disparmente. v. r. DA FINO 19 S'adona, si vince. 25 Ramogna, prosperità. 30 Caligini del mondo, peccati. 34 Note, macchie. Che portar quinci, sì che mondi e lievi Possano uscire alle stellate ruote. 37 Deh! se giustizia e pietà vi disgrevi Tosto, si che possiate muover l'ala, Che secondo'l disio vostro vi levi, 40 Mostrate da qual mano inver la scala Si va più corto; e se c'è più d'un varco, Quel ne'nsegnate, che men' erto cala: 43 Che questi, che vien meco, per lo 'ncarco Della carne d'Adamo, onde si veste, Al montar su, contra sua voglia, è parco. 46 Le lor parole, che rendero a queste, Che dette avea colui, cu' io seguiva, Non fur da cui venisser manifeste: 52 E s'i' non fossi impedito dal sasso, Onde portar conviemmi'l viso basso; 55 Cotesti, ch'ancor vive, e non si noma, Guardere'io, per veder s'io 'l conosco, E per farlo pietoso a questa soma. SESSA 43 e 44 Elocuzione. DA FINO 41 Varco, passo. 58 I' fui Latino, e nato d'un gran Tosco: Guiglielmo Aldobrandesco fu mio padre: Non so se'l nome suo giammai fu vosco. 61 L'antico sangue, e l'opere leggiadre De' miei maggior mi fer sì arrogante, Che, non pensando alla comune madre, 64 Ogni uomo ebbi 'n dispetto tanto avante, Ch'i' ne mori', come i Senesi sanno, E sallo in Campagnatico ogni fante. 67 I'sono Omberto: e non pure a me danno Superbia fe', che tutti i miei consorti Ha ella tratti seco nel malanno: 70 E qui convien ch'i' questo peso porti, Per lei, tanto ch'a Dio si soddisfaccia, Poi ch'io nol fe' tra' vivi, qui tra' morti. 73 Ascoltando chinai in giù la faccia : E un di lor, non questi che parlava, Si torse sotto'l peso, che lo 'mpaccia: 76 E videmi, e conobbemi, e chiamava, Tenendo gli occhi, con fatica, fisi A me, che tutto chin con loro andava. 79 O, dissi lui, non se' tu Oderisi, SESSA 58 lo fui Latino. Latino, italiano; onde nell' Inferno d'un Romagnuolo: Questi è Latino. 68 Consorti, non solo del sangue, ma della fortuna e dei costumi. 79 Oh dissi lui. Dissi lui, quasi sempre senza l'a. DA FINO 63 Comune madre, morte. L'onor d' Agobbio, e l'onor di quell'arte, Ch'alluminare è chiamata in Parisi? 82 Frate, diss' egli, più ridon le carte, Che pennelleggia Franco Bolognese: L'onore è tutto or suo, e mio in parte. 85 Ben non sare' io stato sì cortese, Mentre ch'i' vissi, per lo gran disio Dell' eccellenza, ove mio core intese. 88 Di tal superbia qui si paga 'l fio: E ancor non sarei qui, se non fosse, verde in su la cima dura, 94 Credelte Cimabue nella pintura Tener lo campo: ed ora ha Giotto il grido, 97 Cosi ha tolto l'uno all' altro Guido La gloria della lingua: e forse è nato 100 Non è il mondan romore altro, che un fiato Di vento, ch'or vien quinci, e or vien quindi, E muta nome, perchè muta lato . 103 Che fama avrai tu più, se vecchia scindi Da te la carne, che se fossi morto Innanzi che lasciassi il pappo e'l dindi, 106 Pria che passin mill' anni? ch'è più corto Spazio all' eterno, ch'un muover di ciglia Al cerchio, che più tardi in cielo è torto. 109 Colui, che del cammin sì poco piglia Dinanzi a me, Toscana sonò tutta, Ed ora a pena in Siena sen' pispiglia, 112 Ond' era sire, quando fu distrutta La rabbia Fiorentina, che superba Fu a quel tempo, sì com' ora è putta. 115 La vostra nominanza è color d'erba, Che viene e va, e quei la discolora, Per cui ell' esce della terra acerba. 118 Ed io a lui: Lo tuo ver dir m'incuora Buona umiltà, e gran tumor m'appiani: |