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fronte; perciocchè io l'ho raccolte in un'operetta assai breve per assomigliar alcuni dottori cortigiani, i quali, non potendo sostener persona così grave, vestono di corto. E s' in questo abito potranno senza fastidio esser lette dagli amici, e da' parenti, non v' incresca di leggerle.

Nell' imitazione, o s' imitano le azioni degli uomini, o i ragionamenti: e quantunque poche operazioni si facciano alla mutola, e pochi discorsi senza operazione, almeno dell' intelletto; nondimeno assai diverse giudico quelle da questi e degli speculativi è proprio il discor rere, siccome degli attivi l'operare. Due saran dunque i primi generi dell'imitazione: l'un dell'azione, nel quale son rassomigliati gli operanti: l'altro delle parole, nel quale sono introdotti i ragionanti. E'l primo genere si divide in altri, che sono la tragedia, e la commedia, ciascuna delle quali patisce alcune divisioni; e'l secondo si può divider parimente. Ed Aristide, un de' più famosi Greci, i quali scrissero, e non parlarono, così parve che gli dividesse, dicendo che Platone avea comicamente rappresentato Ippia, Prodico, Protagora, Gorgia, Eutedemo, Bonisidoro, Agatone, Cinesia, e gli altri: e ch' egli medesimo chiama le sue leggi tragedia, e si confessa ottimo tragico; ma tra' moderni v'è chi gli divide altramente, cendone tre specie : l'una delle quali può montare in palco, e si può nominare rappresentati va, perciocchè in esse vi siano persone introdotte a ragionare cioè in alto, com'è usanza di farsi nelle commedie, e nelle tragedie: e simil maniera è tenuta da Platone nei suoi ragionamenti, e da Luciano ne'suoi; ma un'altra ce n'è, che non può montare in palco, perciocchè conservando l'autore la sua per

fa

sona, come istorico narra quel, che disse il tale, e 'l cotale: e questi due ragionamenti si pos sono domandare istorici, o narrativi, e tali sono per lo più quelli di Cicerone. E c'è ancora la terza maniera, ed è di quelli, che son mescolati della prima, e della seconda maniera, conservando l'autore la sua prima persona, e narrando, come istorico, e poi introducendo a favellar Spaμa Tins come s'usa di far nelle tragedie, e nelle commedie: e può e non montare in palco, cioè non può montarvi, in quanto l'autore conserva la sua persona, ed è come l'istorico: e può mantarvi in quanto s'introducono le persone rappresentativamente a favellare: e Cicerone fece alcuni ragionamenti sì fatti.

E quantunque questa divisione sia tolta dagli antichi, e paja diversa dall' altra, nondimeno l'intenzione forse è l'istessa; perchè la tragedia si divide in quella, che si dice tragedia propriamente, e nell'altra, nella qual parla il poeta: e tragedia si fatta compose Omero. E questa divisione, perchè è fatta in due membri, è più prefetta; nondimeno i dialoghi sono stati detti tragici, e comici per similitudine, perchè le tragedie, e le commedie, propriamente sono l'imitazioni dell' azioni; ma'l dialogo è imitazione di ragionamento, e tanto partecipa del tragico, e del comico, quanto in lui si scrive dell'azione: però tragici si posson chiamar sopra tutti gli altri il Critone, e 'l Fedone: nelÎ'un de' quali Socrate, condannato alla morte, ricusa di fuggirsene con gli amici: nell' altro, dopo lunga disputazione dell' immortalità dell' animo, bee il veleno. E comico è il Convito, nel quale Aristofane è impedito dal rutto nel favellare; ed Alcibiade ubriaco si mescola fra'convitati. Ma il Menesseno par misto di

queste due specie, perciocchè Socrate battuto dalla maestra Aspasia è persona comica; ma lodando i morti Ateniesi innalza il dialogo all' altezza della tragedia: pur questi medesimi dialoghi non son vere tragedie, ovvero commedie ; perchè nell' une, e nell' altre le quistioni, e i ragionamenti son descritti per l'azione: ma nei dialoghi l'azione è quasi giunta de' ragionamenti: e s'altri la rimovesse, il dialogo non perderebbe la sua forma. Dunque in lui queste differenze sono accidentali piuttosto, che altramente; ma le proprie si torranno dal ragionamento istesso, e da' problemi in lui con tenuti, cioè dalle cose ragionate, non sol dal modo di ragionare. Perchè i ragionamenti sono o di cose, che appartengono alla contemplazione, o pur di quelle, che son convenevoli all' azione: e negli uni sono i problemi intenti all'elezione, e alla fuga, negli altri quelli, che riguardano la scienza, e la verità; laonde alcuni dialoghi debbono esser detti civili, e costumati, altri speculativi: e 'l soggetto degli uni e degli altri, o sarà la quistione infinita, come: se la virtù si possa insegnare; o la finita che debba far Socrate condannato alla morte.

E perciocchè gran parte de' Platonici dialoghi sono speculativi, e quasi in tutti la quistione è infinita, non pare che lor si convenga la scena in modo alcuno, nè meno agli altri, che son de costumi, perchè son pieni d'altissime speculazioni. Anzi piuttosto non si conviene ad alcun dialogo, se non forse per rispetto dell' elocuzione, la quale alcuna volta pare istrionica, siccome disse il Falereo, avvengachè nella scena si rappresenti l'azione, o atto, dal quale son denominate le favole, e le rappresentazioni

ne

drammatiche. Ma nel dialogo principalmente si imita il ragionamento, il qual non ha bisogno di palco e quantunque vi fosse recitato qualche dialogo di Platone, l'usanza fu ritrovata dopo lui senza necessità. Perchè s' in alcuni luoghi l' elocuzione pare accomodata all'istriocome nell' Enfidemo, può leggersi dallo scrittore medesimo, ed ajutarsi colla pronuncia. Nè gli conviene ancora il verso, come hanno detto, ma la prosa; perciocchè la prosa è parlar conveniente allo speculativo, e all' uomo civile, il qual ragioni degli ufficj, e delle virtù. E i sillogismi, e le induzioni, e gli entimemi, e gli esempi non potrebbono esser convenevolmente fatti in versi. E se leggiamo alcun dialogo in versi, come è l'amicizia bandita di Ciro prudentissimo, non stimerem lodevole per questa cagione ma per altra: e diremo, che il dialogo sia imitazione di ragionamento, scritto in prosa senza rappresentazione per giovamento degli uomini civili, e speculativi: e ne porrem due specie, l' una contemplativa, e l'altra costumata e'l soggetto nella prima specie sarà la quistione infinita, nella seconda può esser l'infinita, o la finita; e quale è la favola nel poema, tale è nel dialogo la quistione : e dico la sua forma, e quasi l'anima. Però se una è la favola, uno dovrebbe essere il soggetto, del quale si propongono i problemi. E nel dialogo sono oltre di ciò l'altre parti, cioè la sentenza, el costume, e l' elocuzione; ma trattiam prima della prima .

Dico adunque, che la quistione si forma della dimanda, e della risposta; e perchè 'l dimandare s'appartiene particolarmente al dialettico, par che lo scrivere il dialogo sia impresa di lui; ma'l dialettico non dee richieder più cose d'uno;

o pur una cosa di molti; perchè s'altri rispondesse non sarebbe una l'affermazione, o la negazione: e non chiamo una cosa quella, c'ha un nome solo, se non si fa una cosa di quelle: come l'uomo è animal con due piedi, e mansueto; ma di tutte queste si fa una sola cosa: ma dell'esser bianco, e dell'essere uomo, e del camminare, come dice Aristotele, non se ne fa uno; però s'alcuno affermasse qualche cosa,non sarebbe una affermazione; ma una voce, e molte l'affermazioni. Se dunque l'interrogazione dialettica è una dimanda della risposta, ovvero della proposizione, ovvero dell'altra parte della contradizione: e la proposizione è una parte della contradizione; a queste cose non sarà una risposta, nè una dimanda. Ma se al dimostrativo non s'appartiene il dimandare, a lui non converrà di scriver dialogo. E par che Aristotele assai chiaramente faccia questa differenza nel primo delle Prime Resoluzioni fra la proposizion dimostrativa, e la dialettica, dicendo che la dimostrativa prende l'altra parte della contradizione; perciocchè colui, il qual dimostra, non dimanda, ma piglia; ma la dialettica è dimanda della contradizione: nondimeno nel primo delle Posteriori egli dice che s'è il medesimo l'interrogazione sillogistica, e la proposizione, e le proposizioni si fanno in ciascuna scienza, in ciascuna scienza ancora si posson fare le dimande: laonde io raccolgo che si posson fare i dialoghi nell'aritmetica, nella geometria, nella musica, e nell'astronomia, e nella morale, e nella naturale, e nella divina Filosofia, e in tutte l'arti, e in tutte le scienze si posson far le richieste, e conseguentemente i dialoghi. E se oggi fossero in luce i dialoghi scritti da Aristotele, non ce ne sarebbe peravventura dubbio alcuno. Ma leg

A

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